Elena Di Cioccio, intervista all’autrice di “Cattivo Sangue”: “È bello non doversi nascondere. Non siamo pericolosi”

ELENA DI CIOCCIO
Credit Giorgio Serinelli

Stimata attrice e conduttrice, Elena Di Cioccio (profilo Instagram, Twitter e Facebookdopo anni di attività come speaker radiofonica per le principali emittenti italiane approda come inviata di punta de “Le Iene” nelle stagioni dal 2006 al 2010. Seguono poi la conduzione di programmi di successo tra cui  “Stracult” e “Scorie” su Rai 2, “La Malaeducaxxxion” su La7D, “Wanted” su Rai 5 e “Domani smetto” su Sky.

Il suo esordio cinematografico arriva nel 2010 come protagonista femminile nella pellicola “Nauta” di Guido Pappadà, l’anno successivo viene scelta dal maestro Giuliano Montaldo per il suo film “L’industriale” e successivamente partecipa alla commedia di Giovanni Veronesi “L’ultima ruota del carro”.

Tra un film e un’altro, la Di Cioccio partecipa anche a diversi programmi tv come: “Tale e quale show” di Rai1 e della prima edizione di “Celebrity Master Chef Italia” del 2016 su Sky. In Tv abbiamo avuto modo di vederla anche nella fiction di Canale 5 “Squadra Mobile 1” e “Squadra Mobile 2”. Ad Aprile è uscito il suo primo libro “Cattivo Sangue” edito da Vallardi editore, dove l’attrice racconta di essere sieropositiva. La rivelazione ha avuto una eco gigantesca che ha scaturito un’ondata di affetto e ha riaperto il dibattito sul tema dell’HIV.

Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato Elena Di Cioccio che il prossimo 22 giugno presenterà il suo libro alla rassegna “Passaggi Festival”. L’attrice e scrittrice ci ha raccontato della sua malattia, di come è riuscita a trovare il coraggio di raccontare la sua esperienza e di molto altro ancora.

Elena di Cioccio, l’intervista esclusiva

Elena il 22 giugno sarai a Passaggi Festival dove parlerai del tuo libro “Cattivo sangue”. Cattivo sangue perchè? 

“Cattivo sangue rappresenta tante cose, è un gioco di parole che intende un sangue cattivo e cioè un sangue infetto, quindi non è buono. Cattivo sangue inteso anche come albero genealogico, per tracciare una linea da dove arriviamo. Cattivo sangue anche perché una persona quando soffre si fa il cattivo sangue. La definizione aveva queste tre valenze e mi piaceva che avesse un titolo che sembra quasi quello di un film” 

Immagini questo libro già per un film quindi? 

“Questo libro nasce prima come diario personale, mi sono parlata attraverso la scrittura per mettere in fila i pezzi. Ad un cento punto ho dovuto dire basta, questo tentativo di nascondere la malattia, la doppia vita, e in qualche modo utilizzare delle scorciatoie perchè avevo paura della vergogna, dello stigma. Nel libro racconto la mia reazione alla notizia, perchè ero molto giovane, in un primo momento l’ho scritto per me, perchè per me la scrittura è uno strumento per fare un dialogo personale, poi ho deciso di trasformarlo in un libro, proprio per raccontare la verità. Non mi andava di perdere il mio tempo per raccontare la mia storia a tutti quelli che conosco, quindi ho pensato di scrivere un libro”.

“Quando l’ho scritto ho pensato al lettore e ho pensato di fare quello che so fare meglio e cioè raccontare delle storie, quindi mi sono separata dalla mia storia e l’ho raccontata come se fosse un’avventura. Mi sono raccontata con la voce della bambina, dell’adolescente, della giovane donna e quella dell’adulta. Quindi che avesse una struttura narrativa per immagini, che poi è come scrivo io, e che si avvicina molto a quello che è poi una sceneggiatura. Quindi sì: alla base c’è qualcosa che potrebbe diventare un film. Mi hanno anche chiesto a quale regista mi piacerebbe far dirigere questo film? Io sceglierei sempre e comunque Paolo Sorrentino. Come riesce a racontare lui le emozioni e il dinamismo non ci riesce nessuno. Se dovessi andare all’estero allora, ti direi Ron Howard per lo stesso motivo”. 

Mi hai detto il regista: e gli attori protagonisti? 

“In realtà non ci ho pensato. Sono un’attrice e quindi soffro un po’ di quella dinamica per cui scelgo gli attori prima di averli visti a un provino. Ci sono un sacco di attori che mi piacerebbe vedere”.  

Interpretarlo tu stessa? 

“No io l’ho già vissuta questa storia, non è necessario che la interpreto. Potrei fare un cameo. Vorrei una giovane attrice brava. Ci sono dei nomi che conosco, però mi piacerebbe farmi stupire dal casting. Facendo l’attrice, quando vado a fare un casting spero che quello che porto li faccia innamorare, che decidano che quella cosa che hanno scritto magicamente mi si cuce addosso. Vorrei farmi stupire. Un film nasce da una bella storia, dal desiderio di raccontare qualcosa, nasce come una missione. Ovviamente nasce nelle mani del regista insieme agli attori. La catena di persone che lavora a un film, porta qualcosa sullo schermo, quindi non è solo chi ha scritto la storia”. 

In questo libro ti racconti mettendoti completamente a nudo e senza sconti. Hai rivelato di essere sieropositiva da 21 anni, e di aver avuto una vita complessa costellata di abusi e di lutti. Ricordi il primo pensiero dopo aver scoperto della malattia?

“È stata un’esplosione. Molti mi chiedono il primo pensiero, ma io non ricordo nulla dei primi istanti dopo aver saputo della malattia. Non mi ricordo nemmeno come sono arrivata a casa. Mi sono ritrovata in casa, con un foglio sul tavolo con il mio compagno, in mezzo non ricordo cosa ci sia stato. Onestamente non vedo neanche a scavare per ricordare quei momenti. Una cosa che sta uscendo spesso, anche con la dottoressa Bini, che poi non è stato montato quel pezzo nell’intervista con Le Iene, è che oggi non vai a dare una diagnosi come una sentenza di morte, una condanna. La medicina ha bisogno di tempo, non si sa cosa succederà, come con il Covid, ci sono le sperimentazioni, la ricerca. Stessa cosa vale per le diagnosi di cancro. L’aspetto emotivo comincia ad essere importante per tutti, non basta più essere gestiti soltanto a livello medico, ma anche emotivamente e quindi le diagnosi non vengono più date come prima”. 

Il tuo approccio alla malattia prima e dopo la diagnosi? 

“Noi siamo comunque la generazione che ha visto nascere questa malattia, abbiamo visto i morti, Lady Diana che va negli ospedali. Le campagne dell’alone viola, lo stigma della gente che muore, questa malattia e per le persone brutte, sporche, promiscue, spaventose. Noi abbiamo avuto una grandissima campagna di comunicazione negli anni ’80 e poi il silenzio cosmico. Questo perchè, mentre la medicina consentiva alle persone malate di avere una vita migliore rispetto a quelle persone che hanno contratto il virus negli anni ’70, a un certo punto la medicina ha iniziato a dare delle risposte, ma la comunicazione è rimasta identica. Non ne hanno parlato più. All’estero le campagne sono state più veementi. Noi siamo persone con virus non rilevabile nel sangue, e quindi persone che non possono trasmetterlo, in Italia questa letteratura esiste solo da un paio di anni. Le persone non sanno che io non sono pericolosa perché non si è mai parlato”. 

A chi lo hai rivelato per prima? 

“A nessuno, alcuni dettagli poi non ho voluto raccontarli perchè non li voglio raccontare. Sono dati di tempistiche che al lettore e alle persone non interessano. Non sono importanti per la storia. Quando ho scritto il libro, ho detto non può finire su uno scaffale, la mia storia è uguale a quella di tantissima altra gente, ho voluto dirlo, come donna, sana ed eterosessuale. Mentre mi approcciavo alla scrittura del libro, mi colpì molto un libro che io lessi, e che raccontava la storia di un bambino di 11 anni, che era nato sieropositivo, questa storia mi ha spezzato il cuore”. 

La tua vicenda ha avuto una risonanza mediatica enorme. Il tuo discorso a Le Iene ha avuto una eco gigantesca: ti aspettavi tanto clamore? 

“Il clamore lo immaginavo perchè per qualsiasi rivelazione di segreto c’è un certo clamore, soprattutto in questa sfera che è legata a una situazione di vergogna, alla ricerca della macchia sporca. Tutti pensano che nel mondo dello spettacolo sia tutto rosa e fiori, e in ogni caso io non ho mai fatto parlare di me, salvo quella stupidissima diatriba con Walter Zenga, per cui ho pagato e ho chiesto scusa. In venti anni che faccio questo mestiere non ho mai fatto gossip, non mi ha mai interessato. Sapevo che ci sarebbe stato clamore, ma non pensavo di ricevere così tanto affetto. Mi sono arrivate tantissime mail di persone positive o amici di positivi, che mi parlavano di quanto può aiutare tutto questo. Mi sono detta: caspita ho fatto una cosa bella. Ero contenta di averlo rivelato perchè non dovevo più nascondere nulla e avere la paura che qualcuno poteva scoprirlo. La sensazione è sempre quella di vergognarsi di esistere, ora non più”. 

Tu conduci una vita comunque normale?

“Io vivo una vita normale. Ogni volta che la medicina ci dava qualcosa in più, ci liberava di un pezzetto. Se prima i farmaci venivano conservati in frigorifero, e quindi il legame con il frigorifero era di vita o di morte, il che significa i limiti dei viaggi all’estero, il fattore della gravidanza, ecco, dal punto di vista tecnico è cambiato molto, dal punto di vista emotivo non è cambiato nulla. Io sto bene da diversi anni, all’inizio ho avuto diverse complicazioni, oggi sto una bomba. È semplicemente una questione emotiva e morale. Anche le terapie nuove non c’è niente che io non possa fare. Proprio perchè siamo così monitorati stiamo bene”. 

Hai raccontato anche di aver fatto uso di stupefacenti e di esserne uscita da sola. Come si entra e come si esce da questo giro? 

“Ci sono entrata perché sono cose che capitano a tantissime persone, arrivo comunque dalla periferia, dalla solitudine, da una famiglia disfunzionale. Impari delle cose. Non arrivo dal che bello ti scrivo a pallavolo e veniamo a vedere le partite. Tra le mille opzioni possibili c’era l’uso di stupefacenti. Ne sono uscita perchè un giorno mia madre mi ha scoperto. La sua delusione, mi ha toccato in un modo tale che mi ha fatto riprendere in mano la mia vita. La dipendenza è una struttura mentale, sopprimi quel buco emotivo con la sostanza, o l’alcol, il cibo, le gare in macchina, il gioco o le dipendenze affettive. La struttura delle dipendenze l’ho portata avanti fino a quando non l’ho risolta”. 

La tua sieropositività, come hai raccontato, è avvenuta con una relazione stabile. Hai dichiarato che poi sei entrata in una relazione tossica, lui ti picchiava e minacciava di rivelare la tua malattia: quanto è stato difficile sotto ricatto? 

“È stato devastante. Non sei più proprietaria di te stessa, sei di proprietà di un’altra persona. Il tema del ricatto è come un’equazione, più la persona è sprovvista di strumenti più la persona è esposta, più è preda facile”. 

Come vedi il tuo futuro? Quali sono i tuoi progetti? 

“La cosa bella è che il futuro è tutto da scrivere. Sto scoprendo come si vive in libertà e non non essere agli arresti domiciliari interiori. Molte persone mi scrivono, condivido finalmente con persone come me la nostra situazione. Ci si abitua talmente tanto all’autocastrazione che quando arriva la libertà non sai cosa fare. Come per chi sta agli arresti domiciliari e poi arriva la libertà e dici: adesso cosa faccio. L’altra sera sono andata in pizzeria, avevo fatto l’iniezione, ti lascia un po’ di dolore, per un secondo avevo pensato di non poterlo dire, poi mi sono resa conto che potevo parlarne”. 

“Come progetti lavorativi stiamo girando una serie internazionale, non posso ancora dire nulla. È molto bella, mi piace molto anche il mio personaggio, poi io amo recitare in bilingue. Sto scrivendo uno spettacolo che racconterà dal giorno dopo della mia rivelazione, è uno spettacolo comico”. 

Parteciperesti a un reality? Giovanni Ciacci proprio al GFVIP ha raccontato la sua di storia

“Non farei un reality per raccontare la mia storia, lo farei solo perchè mi piace farlo. Mi piace Pechino Express, L’Isola dei Famosi, mi piace Ballando con le Stelle. Mi piacciono le cose se c’è un percorso divertente, non andrei per raccontare la mia vita, l’ho fatto nel libro”. 

La conduzione? Quale programma ti piacerebbe condurre? 

“Mi piacerebbe una seconda serata stile Ellen DeGeneres he va in onda negli Stati Uniti, mi piacerebbe quel tipo di programma”. 

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