She-Hulk: Attorney at Law, recensione no spoiler della miniserie Marvel

She-Hulk Attorney at Law

Siamo nell’agosto del 2022 e, dopo la discreta accoglienza di Ms. Marvel, la casa di produzione di Kevin Feige ci riprova e continua il progetto televisivo MCU con il debutto dei primissimi episodi di She-Hulk: Attorney at Law. Creata da Jessica Gao su ispirazione del personaggio a fumetti ideato da Stan Lee e John Buscema, vede nel ruolo della protagonista titolare l’ottima Tatiana Maslany (Orphan Black).

Una miniserie composta da nove episodi che farà sicuramente felici le fan di sesso femminile, visto che She-Hulk sembra riproporre alcune caratteristiche del racconto post-moderno della generazione dei trentenni contemporanei, tra instabilità sentimentale e professionale, assieme a più di un riferimento narrativo a…Fleabag!

La trama di She-Hulk

Jennifer Walters (Tatiana Maslany), avvocatessa alle prime armi, entra casualmente in contatto con il sangue del cugino Bruce Banner (Mark Ruffalo) e acquisisce i suoi stessi poteri che le permettono di trasformarsi nella versione femminile di Hulk, pur mantenendo coscienza dei suoi alter ego. La donna, designata a causa di ciò a casi che vedono coinvolti superumani, cerca di affrontare la sua complessa vita da avvocato trentenne e single e allo stesso tempo di fare i conti con la sua nuova identità.

Perché vedere She-Hulk?

Perché la miniserie di Jessica Gao si riappropria di un semi-vuoto femminile all’interno dell’universo condiviso Marvel. Certo, c’è stato il lungometraggio sulla Vedova Nera di Scarlett Johansson, le serie Ms. Marvel con Iman Vellani e WandaVision con Elizabeth Olsen, eppure nessun prodotto Marvel si era mai avvicinato al linguaggio tutto contemporaneo della vita degli over 30 nella loro contemporaneità.

Tra vita sentimentale complicata e social network ingannevoli, She-Hulk racconta non soltanto le tribolazioni di una brillante avvocatessa in precario equilibrio tra vita professionale e privata e poteri “verdastri” acquisiti per puro sbaglio da suo cugino Bruce Banner, ma lo status quo di una generazionei di adulti non troppo adulti alle prese con una società sempre più fluida ed in costante cambiamento, anche affettivo. Il risultato finale è un mix irresisitibile tra female empowerment e trama da fumetto che ha fatto la felicità di tantissimi spettatori, per la maggior parte femminili ovviamente.

She-Hulk, perché non vederla

L’altra parte della medaglia però ci dice che la creatura televisiva di Jessica Gao non ha però del tutto convinto buona parte della critica, e questo perché? Forse la ragione è da ricercare nella struttura narrativa che la Gao utilizza per raccontare le tribolazioni private e pubbliche dell’avvocatessa Jennifer Walters: sembra difatti di assistere nuovamente a ciò che aveva reso straordinaria la comicità british di Fleabag e della sua protagonista Phoebe Waller-Bridge, ovvero la costante rottura della quarta parete del personaggio titolare per rivolgersi all’improvviso al suo pubblico di spettatori televisivi.

Un escamotage divertente ma di certo usurato di questi tempi in cui la produzione di serie televisive (di grande qualità) è veramente imponente; per questo la scelta di assegnare al personaggio interpretato da Tatiana Maslany la rottura frequente della cosiddetta quarta parete risulta quasi vetusta e decisamente fuori luogo rispetto alla trama supereroistica che si vuole alla fine raccontare. Un neo non indifferente per una miniserie di certo godibile ma tra le più discutibili dell’intero pacchetto tv Marvel Studios.

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