Ozark, recensione – no spoiler – della serie TV crime su Netflix

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Nato sulla scia di quello che fu Breaking Bad, per quello che riguarda temi e cinismo, Ozark è una delle più valide serie TV a sfondo crime disponibili su Netflix. La creano Bill Dubuque e Mark Williams, arriva sulla piattaforma nel 2017 e si conclude dopo quattro intense stagioni nel 2022, con la parabola criminale di Marty Byrde (Jason Bateman) e della sua famiglia che giunge a termine dopo numerose scie di sangue lasciate nella zona dei laghi del Missouri.

La trama di Ozark

Marty (Bateman) vive a Chicago con la sua famiglia. Ci sono la moglie Wendy (Laura Linney), con cui il rapporto è in crisi da diverso tempo, la figlia maggiore Charlotte (Sofia Hublitz) e il figlio minore Jonah (Skylar Gaertner). Durante il giorno Marty lavora come affermato consulente finanziario, ma è durante la notte che il suo talento spicca per davvero, cioè quando lo mette al servizio di un potente cartello della droga messicano per riciclare ingenti somme di denaro.

Quando le cose iniziano a mettersi male, perché è ovvio che inizino a mettersi male, Marty convince con la riluttante famiglia a trasferirsi nella zona del lago degli Ozarks, in Missouri. Persuade anche il temibile boss del cartello Del Rio (Esai Morales) che in questa regione sia possibile continuare il lavoro riciclando ancora più denaro di quanto Marty già non facesse in precedenza.

Ma anche qui le cose non andranno subito per il meglio. I Byrde incapperanno prima nella famiglia di criminali dei Langmore, dove nel corso delle stagioni a spiccare sarà soprattutto l’intraprendente Ruth (una bravissima Julia Garner), finendo poi per incrociare la via anche di un’altra potente coppia del luogo, Jacob (Peter Mullan) e Darlene (Lisa Emery) Snell. Tra continui sotterfugi, cambi di casacca, corruzione e anche un pizzico di fortuna, i Byrde nel corso delle quattro stagioni faranno affondare le loro ambigue radici in questa terra rurale e insanguinata.

Perché guardare Ozark

Come scritto in apertura di questo articolo, se siete tra gli orfani di Breaking Bad questa serie potrebbe fare al caso vostro. Sicuramente perché di mezzo c’è un nucleo tematico affine, i legami criminosi di un uomo in apparenza qualunque con i potentissimi cartelli della droga che calano la loro inquietante ombra ben oltre i confini del Messico. Soprattutto, però, perché Ozark fa del suo cinismo e della sua freddezza (sottolineata dai toni quasi completamente desaturati della fotografia) il perno sul quale ruotano eventi in continua mutazione.

Nell’arco delle quattro stagioni attorno ai Byrde cambia tutto. I primi a cambiare, a guardar bene, sono in fondo proprio i Byrde. I figli crescono e prendono coscienza di quello che stanno davvero facendo i genitori, mentre le crepe nel rapporto tra Marty e Wendy un attimo prima si rimarginano e un attimo dopo paiono farsi abissali, con il primo che resta ingabbiato nella fiducia che ha nei suoi calcoli e con la seconda che invece è decisa a ritagliarsi il suo piccolo angolo di potere personale.

Si modifica la morfologia criminale di un luogo in apparenza pacifico e che invece nasconde insidie in ogni angolo, che si rivela contaminato fino al midollo dall’avidità e dalla sete di profitto. In questo Ozark è magistrale. Costruisce un dedalo di sporcizia che si propaga da coloro che sono più in basso nella piramide (i Langmore ne sono un esempio) fino a risalire a un vertice fatto di politica occulta e di accordi siglati con l’FBI. Non sembra esserci mai per davvero un punto di fuga, una scappatoia da una vita che episodio dopo episodio si fa sempre più corrotta, sempre più calata in un abisso dal quale tornare è poi impossibile.

Ozark, perché non guardarlo

Se Ozark ha tanti pregi, su tutti il non risparmiare mai nulla ai suoi personaggi che celano zanne affilate e con cui empatizzare a un certo punto è davvero scomodo, nel corso delle quattro stagioni che la compongono emergono fuori anche alcuni difetti. La quarta stagione, ad esempio, è la più debole. Chiamata a chiudere i conti con le tante ramificazioni a cui la serie si era aperta, e con quattro episodi in più a disposizione rispetto al solito (quattordici invece di dieci), questo ultimo appuntamento prende svolte narrative ancora più audaci rispetto al solito dell’opera.

In questa sede chiaramente non vi anticipiamo nulla, ma basti sapere che il numeroso gioco di rimbalzi nel mezzo del quale i Byrde finiscono, e che forse orchestrano, chiama a sospendere l’incredulità in maniera un po’ eccessiva rispetto a come il resto di Ozark aveva abituato. Tutti i nodi infine vengono al pettine, ma alcuni si districano con una facilità anomala, la polvere viene spazzata sotto al tappeto con la complicità di alcune problematiche che vengono sommerse in controtendenza alla lucida spietatezza del passato.

Non sono problemi, questi, che compromettono la visione. Ozark è una serie estremamente godibile e puntuale. Basti sapere che a un certo punto, con l’incedere di situazioni divenute molto complesse e con un esaurimento, forse, del bacino delle idee, c’è un po’ di flessione nel racconto e sul suo esito. Nulla che debba spaventare, perché Ozark è e resta uno dei prodotti originali Netflix tra i più validi in catalogo.

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