L’Esorcista: analisi e recensione del Film a cura di Christian Fregoni

Locandina del film l'esorcista del 1971

Ci sono titoli che trascendono i limiti stessi del tempo e si imprimono nell’immaginario collettivo con tale veemenza da diventare classici. Non è un caso che, a parlare di cinema di genere horror, L’esorcista rappresenti proprio una di queste casistiche. Va doverosamente precisato che attuare una semplicistica e oltremodo riduttiva etichettatura del titolo nel filone dei titoli orrorifici è profondamente errato.

Il film di William Friedkin è qualcosa di radicalmente diverso: talmente legato a una narrazione di stampo realista, quasi documentaristica, da risultare il più vicino possibile a una naturale successione di eventi perfettamente credibili, seppur attorniati dall’inquietante ed insondabile atavica paura umana nei confronti dell’ignoto.

Nel 1971 lo scrittore William Peter Blatty lesse sul Washington Post di un presunto caso di esorcismo nei confronti di un ragazzo americano di 14 anni, per cui scrisse di getto il romanzo “The Exorcist”. Il libro riscosse sin da subito un enorme successo mediatico internazionale e la naturale conseguenza fu la stesura di una sceneggiatura, redatta dall’autore stesso, per poter trasporre la vicenda sul grande schermo.

Dopo alcuni tentennamenti per la ricerca del regista (si cercò addirittura di coinvolgere Kubrick nella lavorazione), l’arduo compito venne affidato all’allora pressoché esordiente William Friedkin. Certo, la scelta fu determinata anche in ragione dello straordinario lavoro precedente “Il braccio violento della legge”, film che pose nuove solide basi per la rielaborazione del poliziesco all’americana e che lanciò la carriera di Friedkin quale rilevante esponente della Nuova Hollywood.

Il connubio tra i due artisti fu sin da principio vincente e il prodotto finito, uscito nelle sale nel 1973, rimane tutt’oggi una pietra miliare imprescindibile per comprendere l’evoluzione del cinema dell’orrore.

La trama del film l’esorcista

In un desertico sito archeologico nei pressi dell’antica città di Ninive, nell’odierno Iraq, viene rinvenuta la testa di una piccola scultura raffigurante un’entità demoniaca (Pazuzu, nda). L’archeologo e sacerdote cattolico Lankester Merrin (Max von Sydow), anziano e malato di cuore, ne rimane profondamente sconvolto.

La scena si sposta negli USA, precisamente a Georgetown, sobborgo di Washington, dove si viene a conoscenza di Chris MacNeil (Ellen Burstyn), affermata attrice, e di sua figlia Regan (Linda Blair). La vita scorre con quotidiana normalità, fino a quando la piccola comincia a mostrare strani segni di disagio: rumori molesti notturni si fanno sempre più frequenti, la personalità della bambina subisce drastici mutamenti improvvisi, così come la sua indole, diventando progressivamente più aggressiva.

A nulla valgono i tentativi di ricercare una possibile patologia in atto, i medici curanti si rivelano completamente impotenti e spiazzati dalle stranissime manifestazioni comportamentali, fino a quando un tragico incidente, in cui perisce il regista amico di Chris, porta alla luce l’oscura eventualità che si possa trattare di un caso di possessione demoniaca.

La madre, ormai convinta di ciò, chiama in suo soccorso padre Damien Karras (Jason Miller), giovane gesuita specializzato in psichiatria, che constata con orrore la presenza degli estremi per richiedere un rituale di esorcismo, al fine di cercare di redimere la piccola Regan.

Raggiunto dal più esperto padre Merrin, i due affronteranno la malefica presenza nel corpo della bambina in un’epica quanto terrificante lotta tra il bene e il male.

La recensione ed analisi del film l’esorcista: un classico senza tempo, un immortale capolavoro

Non è semplice trattare di un titolo che ricalca perfettamente il concetto stesso della paura. Qui non ci troviamo assolutamente di fronte ad alcunché di sovrannaturale, per quanto il soggetto raffigurato possa essere più vicino alla finzione che alla realtà, poiché “L’esorcista” vive grazie alle suggestioni di cui è popolato intrinsecamente l’animo umano. La convinzione che, così come esista bene superiore, sia presente al contempo la sua controparte maligna e ingannatrice, ci spinge a guardare il film con gli occhi di chi sta affrontando un tormentato e pericoloso cammino di introspezione.

La tensione viene mantenuta costante per tutta la durata della pellicola: sin dalla magnifica sequenza di apertura in Iraq, in cui la figura del demone Pazuzu che si staglia in controluce, allungando la sua minacciosa ombra verso la figura del macilento padre Merrin, fa capire che nulla può la luminosa potenza della fede contro l’abissale e oscura perfidia del Male puro.

La sensazione che ci sia una presenza malefica ad aleggiare sulle vicende della famiglia protagonista permane dal principio, merito delle scelte registiche di Friedkin e del suo straordinario comparto tecnico: una regia di stampo prettamente documentaristico, più vicina alla distaccata esposizione di supposti fatti di cronaca, che alla ricerca di una reale partecipazione emotiva nella vicenda. Le inquadrature si susseguono fredde e geometriche, pochi i virtuosismi e gli eclettismi stilistici, per cui lo spettatore si trova a precipitare lungo una rapida e inevitabile discesa nel baratro del terrore, quello ancestrale che vive dentro di noi sin dalla notte dei tempi.

Non esistono figure di riferimento salvifiche a cui fare appiglio per trovare un conforto morale: padre Merrin è troppo anziano e debole per costituire un serio ostacolo alle nefandezze del Maligno; padre Karras, dal canto suo, è egli stesso sconfortato nei confronti di quella fede che dovrebbe aiutare ad infondere in chi cerca in lui un piccolo sostegno spirituale, pieno di rimorsi per la dolorosa perdita della madre;  e infine la stessa idea della possessione di una innocente bambina, simbolo di candore e purezza, al fine di trasformarla in quanto di più bestiale e inumano esista. Non c’è alcun momento di redenzione, il Male si insinua ovunque e dentro chiunque in quanto è parte stessa di noi.

Il film è popolato di misticismo simbolico altamente evocativo, volto a creare sensazioni di disagio interiore che amplificano le recondite paure di chi guarda: i sinistri avvenimenti che circondano il ritrovamento della statuetta all’inizio, la profanazione di una statua della Vergine Maria all’interno di una chiesa, la straordinaria e spettrale sequenza onirica che coinvolge la madre di Karras, la celeberrima scalinata esterna all’abitazione MacNeil (ripida ascesa/discesa verso la redenzione/dannazione) e infine tutte le inquietanti immagini subliminali raffiguranti il volto del Demonio che il regista ha voluto inserire in alcuni frames per destabilizzare la coscienza del suo pubblico.

Inoltre, non per divagare in inutili concetti pleonastici, va da sé menzionare la strabiliante messa in scena della possessione stessa. Il crescendo tensivo, anche in questo ennesimo caso, si mantiene vivo e pulsante: dapprima subdolo e latente, manifestandosi con subitanei mutamenti di personalità, poi sempre più fisico e bestiale, con accessi che esulano in toto dalla sfera umana e fanciullesca della bambina (l’iconica e spaventosa “spider walk” di Regan dalle scale, il linguaggio ben oltre i limiti del blasfemo, quella dannata testa che compie rotazioni inconsulte…).

E per concludere, è opportuno riconoscere il merito anche alla colonna sonora, anch’essa ormai entrata nella storia, con il motivoTubular Bells” di Mike Oldfield, che detta i ritmi e accompagna l’incalzante avanzare della suspense, in un’armoniosa e melodica sinfonia dell’inquietudine.

Classico senza tempo, immortale capolavoro che ritrova forse solo in “Rosemary’s Baby” di Roman Polanski un suo degno precursore, “L’esorcista” ha cambiato per sempre il modo di vedere e fare cinema horror. Nel 1973 il pubblico non aveva assolutamente idea di ciò a cui sarebbe andato incontro affrontando la visione della pellicola, e lo testimoniano i numerosi casi di attacchi di panico e malessere destati dalle prime visioni in sala.

Al contempo, lo stratosferico successo del film, causato anche dalla fierissima e spietata censura attuata in un primo tempo, catapultò presto il titolo fra i cult assoluti della settima arte, ed è specialmente grazie ad esso che successivamente videro la luce infiniti epigoni, più o meno riusciti, in tema di possessioni spiritiche e demoniache.

Voto: 9,5

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