La ragazza delle renne, recensione (no spoiler) del thriller svedese su Netflix

La ragazza delle renne

Elsa appartiene alla tribù lappone dei Samì e come suo padre e i suoi avi prima di loro, fin da piccola ha cominciato a impegnarsi attivamente nell’attività che la sua famiglia porta avanti da generazioni, relativa all’allevamento delle renne. Un mestiere antico che rischia di scomparire nel “nuovo mondo” e che viene messo ulteriormente a rischio quando diversi animali della zona vengono ritrovati senza vita, barbaramente uccisi da qualcuno che ha interesse a minare per sempre il lavoro di quella piccola comunità che vive a contatto con la natura.

È ancora piccola quando Elsa è testimone di una di queste crudele mattanze e riconosce anche il colpevole, ma ha paura a denunciarlo in quanto è ammanicato con la polizia locale. Passano gli anni ed Elsa è ormai diventata una giovane donna, mentre le stragi di renne continuano senza sosta, rischiando di distruggere per sempre la cultura della sua gente: ora è decisa finalmente a intervenire per porre fine a quell’insensato massacro e fare giustizia.

La ragazze delle renne: piccolo mondo antico, la recensione

L’immagine di una renna nel mirino di un fucile apre questo atipico thriller svedese, che ci accompagna in un luogo e in un ambientazione poco bazzicata dal cinema mainstream. Peccato che l’approccio scelto per raccontare una storia in determinato contesto sia figlia di banali logiche tensive e commerciali, che impediscono di espandere a dovere il relativo background e folklore e lo sfruttino unicamente quale vezzo esotico per raccontare una vicenda di impianto fin troppo classico, vista e rivista nella medesima formula centinaia di volte.

Cattivi caratterizzati con l’accetta in un racconto privo di effettivi colpi di scena, che si trascina nella fiera dei luoghi comuni facendosi forza su un messaggio ambientalista più che condivisibile, con i poveri animali quali inermi vittime di uomini crudeli. Non manca naturalmente il discorso sulla società patriarcale che nega alla protagonista pari dignità ed ecco che il leit motiv dei luoghi comuni a tema è rispettato in pieni termini.

Sentieri selvaggi

I cento minuti di visione sono illuminati dalla bellezza dei paesaggi, con quella neve bianca e perenne che accompagna i destini degli uomini, anche in quella resa dei conti pre-finale che dimostra ancora una volta come “la natura vince sempre“, prendendosi a tempo debito le proprie rivincite. La ragazza delle renne è l’adattamento del romanzo di Ann-Helén Laestadius, ad oggi inedito nel nostro Paese, ma non possiede (almeno nella sua forma live-action, sul libro non avendolo letto non possiamo esprimerci) quell’atmosfera tetra e tensiva altrove tipica di molte produzioni scandinave, limitando inoltre la gestione dei colpi di scena al minino d’ordinanza.

Gli stessi rapporti tra i personaggi sono appena abbozzati, con la figura del padre che svanisce piano piano nel dimenticatoio e un villain di cartapesta. Certo lo spettatore è portato a tifare per le sorti di Elsa, racchiudente in sé diverse simbologie archetipiche, ma questo avviene con passaggi spesso forzati, e il film si ricorda più per i magnifici scorci di queste selvagge lande nordiche che per quanto in esse effettivamente avvenga.

Conclusioni finali su “La ragazza delle renne”

La natura selvaggia e incontaminata è l’elemento migliore di un drama-thriller che perde lentamente per strada i personaggi e le loro motivazioni, che risultano sì chiare ma mai sentite, schiave di una sceneggiatura che nell’adattare il romanzo alla base deve aver perso qualcosa. La ragazza delle renne si affida a un messaggio universalmente condivisibile sul rispetto per l’ambiente e per chi lo abita, nonché sulla preservazione di antiche culture che rischiano di scomparire, ma ne esce un risultato superficiale, appena abbozzato, incapace di scavare a fondo nei meandri di un microcosmo remoto e ancorato a tradizioni secolari, che avrebbe meritato un appeal migliore agli occhi del grande pubblico.

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