Gabriele Parpiglia racconta il suo libro ‘Sotto attacco di panico’: il rapporto con il Dottor Costanzo, le minacce di morte e il burnout. E sulla scelta del cast dell’Isola…| INTERVISTA

gabriele parpiglia

Gabriele Parpiglia si mette a nudo nel suo libro ‘Sotto attacco di panico – La mia storia, il mio burnout, la mia ripartenza‘. Duecentoventidue pagine in cui il giornalista racconta momenti delicati della sua vita privata (come quando ha rischiato di morire) ed esorta i lettori a non vergognarsi delle proprie fragilità. Noi di SuperGuidaTV gli abbiamo chiesto di approfondire alcuni capitoli del libro, una sorta di flusso di coscienza che spazia tra riflessioni intime e temi universali.

Intervista a Gabriele Parpiglia: giornalista, autore e produttore di serie TV

Giornalista, autore di programmi di successo come Verissimo, produttore di Serie Tv e scrittore. Tutti conoscono Parpiglia, ma in pochi sanno chi è davvero. Forse anche per questo ha deciso di mettere su carta alcuni dei suoi pensieri e di raccontare la sua personale esperienza. Al centro di ‘Sotto attacco di panico – La mia storia, il mio burnout, la mia ripartenza’ c’è una società che corre veloce, che ci vuole perfetti, pronti ad aiutare tutti ma che nel momento del bisogno spesso ti lascia solo, ti tradisce e ti fa sentire in colpa.

Una storia, con un focus su cosa vuol dire la sindrome da burnout, che potrebbe appartenere a chiunque e che invita a riflettere e a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé. Perché come scritto da Parpiglia verso la fine del libro: “È dal tuo valore che passano la salvezza, la guarigione, la ripartenza“. Ed è di ripartenza che vogliamo parlare.

Chi è Gabriele Parpiglia? Quali sono le sue passioni, i suoi hobby, le sue serie TV preferite?

Parto dalla più facile, dalla serie TV preferita che è Suits. Secondo me, chiunque approccia il mondo delle serie TV deve conoscere Harvey Specter. Harvey Specter è una sorta di Maria de Filippi delle serie TV, se così vogliamo chiamarlo. Ma è anche una serie formativa, cioè secondo me serve anche nel lavoro.

Tra gli hobby in questo momento non so dirti effettivamente quali sono se non la scrittura, perché per me è sia lavoro che passione. Quindi ti dico la scrittura come hobby e come prima passione della mia vita. Per il resto il libro, sì, sta viaggiando, sta camminando e sono molto, molto, contento. Sono più contento di quanto pensavo di essere contento“.

In Sotto attacco di Panico, lei racconta di quando ha scoperto di dover chiedere aiuto perché non è una debolezza e non bisogna vergognarsi del proprio stato di salute.

Assolutamente no. La battaglia che si fa è soprattutto quella di rendere questo libro un libro che possa essere di passaggio, di parola. Che possa arrivare lì dove non arrivano le istituzioni fornendo professionisti, perché mancano i fondi e non vengono tutelati gli stessi professionisti o messi a disposizione. Perché c’è la vergogna nel dire: io sono in burnout e c’è il 46% della popolazione che lo è. Però se vai in giro e fai ora una vox populi e chiedi cos’è il burnout? La gente non saprà rispondere ma magari lo ha, questo perché c’è disinformazione.

C’è mancanza di poter avere potere di parola e c’è soprattutto quello status di vergogna. Ti faccio un esempio, se ora prendo il mio telefono e guardo email, DM, messaggi, avrò circa mille storie di disagio di chi vive una situazione del genere e si confida magari più con me che con chi ha vicino, perché vicino non viene capito. Come allo stesso tempo quando tu magari hai questa patologia e stai male e chiami un ospedale e ti dicono, e ti giuro ho raccolto delle testimonianze, forse farò il sequel del libro con le testimonianze, fatti un giro del palazzo, bevi l’acqua e zucchero, non è niente, conta fino a 10 che ti passa. Non esistono patologie di serie A, di serie B, ogni patologia merita rispetto come questo“.

Si parla appunto di un lusso per pochi. Bisogna partire anche dalle scuole facendo educazione e la salute mentale.

Assolutamente sì. Io ora sono credente ma le scuole potrebbero sostituire l’ora di religione, che fondamentalmente a scuola io ancora non capisco a cosa serva, con un’ora di educazione alla salute mentale. Sai, quest’ultimo anno abbiamo letto tantissimi fatti di cronaca, dove poi tu quando vai a sviscerare le perizie psichiatriche, noti che alla base ci sono elementi come la rabbia, la depressione, l’ansia, insomma usano tutte diramazioni che provengono da questa patologia fondamentale. Io non so se magari con la parola giusta, con la guida giusta, si poteva salvare una vita, ma se in caso contrario una vita si poteva salvare, allora era già una piccola vittoria“.

A proposito di salvare una vita, lei parla di terapia con l’EMDR, che cos’è per chi non lo sa?

Non si può spiegare in due parole una cosa del genere. Sicuramente per quel che mi riguarda è qualcosa che mi ha salvato, sicuramente è una cura molto costosa che non è a disposizione di tutti, sicuramente non può essere predicata su TikTok da ragazze o ragazzi, per lo più ragazze di 20 anni che hanno un camice senza etichette e ti dicono i 10 trucchi per guarire. No, non si può, sicuramente l’ordine deve intervenire per disciplinare qualcosa del genere“.

Gabriele Parpiglia nel libro si parla di infodemia. Vediamo sempre più personaggi del mondo dello spettacolo dire di soffrire da attacchi di panico, da Fedez a Lavinia di Uomini e Donne. Anche nel mondo dello sport: Lando Norris, Gigi Buffon.

“No ecco, Fedez non va neanche citato, citandolo poi se ne parla, non bisogna parlarne di Fedez. Il punto è non parlarne o bisogna destrutturarlo, perché credimi, chi ha sofferto veramente di questa patologia e chi soffre non riesce. Cioè se tu hai un attacco di panico, se tu stai male, se tu sei in burnout, se tu hai la depressione, se tu hai l’ansia, non riesci a cantare su un palco davanti a 40-50 milioni di italiani, tu hai voglia solo di stare chiuso in una stanza al buio con la vena qui che senti che ti esplode, la palpitazione a mille, la salivazione, l’ansia, con una serie di problematiche che sicuramente non ti fanno portare alla voglia di esibirti e di cantare. Non usiamo questi falsi miti perché sono falsi e non miti“.

Del libro lei racconta anche il suo personale ricordo del Dottor Costanzo, definito la sua pillola anti-panico, il suo posto sicuro.

Questa è una delle prime fasi, forse la prima dell’EMDR, quando ti chiedono di individuare nella tua testa un posto sicuro. Quando tu individui quel posto sicuro, poi col passare del tempo quando decidi di avere una patologia e di essere ammalato, il tuo posto sicuro diventa il tuo rifugio. Quello è il mio posto sicuro“.

Lei ha raccontato diversi aneddoti relativi alla sua esperienza con Maurizio Costanzo, lo ha definito un maestro. Ha parlato anche del giornalismo di oggi dove tutto sembra concesso e lecito. Nel libro spiega che aveva uno scoop su una showgirl e non l’ha voluto rendere pubblico…

“È solo una delle notizie che avevo. Ieri, ero convinto di fare la rivoluzione con la penna, ma chiaramente avevo anche vent’anni, avevo voglia di sbranarmi il mondo. Ero convinto anche di far parte di una sorta di cerchio della fiducia, come dice Ben Stiller nel film ‘Ti Presento i miei’. Facevo parte di quelle tre magiche parole: Siamo una famiglia. Quando sentite quella parola, scappate, perché arriva proprio lì l’inc***a, in quel momento.

Ai tempi avevo troppa voglia ed ero troppo concentrato sull’obiettivo e non me ne fregava niente delle conseguenze. Oggi le notizie le pondero. Mi è successo proprio due giorni fa. Era da due settimane che avevo una notizia che non volevo dare, sulla rottura tra un calciatore della Nazionale e una showgirl. Avevo anche la foto di lui che baciava un’altra. 

Poi l’ha data, se non erro per primo, SportMediaset, però senza gli elementi. A quel punto un grande direttore mi disse che non esiste il freezer delle notizie. Se non la pubblichi tu, la pubblica un altro. Solo unicamente perché è venuta fuori, ho fornito gli elementi di cronaca per arricchirla. Perché è comunque il mio lavoro. Ma se non fosse uscita, come tante altre notizie, non le avrei date“.

Citando Costanzo, diceva che bisogna mangiare un cucchiaino di miele e uno di me**a. Lei ha subito anche diverse minacce, intimidazioni sui social, aggressioni…

“Anche fisiche. Soprattutto nel periodo dei No-Vax, quando ho accusato quei locali che in lockdown facevano feste private, poi quando rientrammo in zona gialla, fui picchiato. Avevo accusato proprio una discoteca che faceva queste feste. Mi trovai in un commando di otto persone, ma lì altro miracolo, non so come sono uscito vivo. Devo dire grande solidarietà da parte dei colleghi, zero. Sono stato picchiato e tra questi c’era anche Beretta. Vi consiglio di andare su Google per capire chi è, ex capo ultra dell’Inter che ora è in carcere come collaboratore di giustizia, per omicidio.

L’ultima minaccia social mi è successa una settimana fa. Io e l’avvocata di Sempio siamo stati minacciati di morte dalla stessa persona. Perché ho visto che poi lei ha pubblicato le foto di armi, vere, non prese da Google, perché poi ho fatto fare la perizia dai miei legali. Di questa persona che ha minacciato sia l’avvocato di Sempio, la Taccia, che me.

Però ti ripeto, sulle minacce social ormai non dico che ci fai il callo, perché comunque ti toccano sempre. Soprattutto poi quando sfiorano anche la tua cerchia familiare. Però ho abbastanza resistenza. Non dico che scivolano, ma mi tutelo legalmente come meglio. Passo la giornata al telefono 70% per lavoro, 20% con gli avvocati. Tutti i giorni. Quelle fisiche chiaramente non dovrebbero mai verificarsi e spero non si verifichino“.

Lei ha raccontato di prendere esempio dalla tecnica di Adriano Galliani, poi un capitolo c’è sulla sua esperienza alla Triestina. Ha postato una storia su Luciano Spalletti che si dovrebbe dimettere dalla Nazionale. Gabriele Parpiglia spazia dal gossip allo sport, alla cronaca nera. (L’intervista è stata registrata sabato 7 giugno, prima dell’esonero del ct).

Guarda, se tu fai il giornalista devi sapere di tutto un po’. Questo lo diceva proprio Costanzo, il dottor Costanzo. Devi essere misto fritto di te stesso. Devi collocare l’alto e il basso. La politica, la cronaca, lo svago, la bolla dei Ferragnez, queste robe qui. Devi riuscire un po’ a parlare di tutto. Poi se mi chiedi il mio parere dal punto di vista sportivo, su Spalletti e Gravina che guadagnano fior di soldi e che rischiano di non farci partecipare ancora una volta al Mondiale. È questione di meritocrazia, se io sbaglio nel mio lavoro, pago e tolgo il disturbo.

O mi fanno togliere il disturbo. Io non capisco perché ci sono situazioni, a prescindere da Spalletti e da Gravina, che è un esempio gigante, nel senso della non meritocrazia. Non capisco perché in alcune situazioni (mi verrebbero tanti nomi, tantissimi nomi) non ci sia quella meritocrazia. Vedi, chi fa i reality e floppa, e fa chiudere i programmi, sbaglia a scegliere i cast, o scelgono persone che poi arrivano lì e ti dicono io sono all’Isola dei Famosi ma non so nuotare.

Allora, un conto è se dici che vai all’Isola dei famosi, non sai nuotare ma vuoi sconfiggere una paura. No, ma io sono all’Isola dei famosi, non so nuotare, non faccio le prove, ma cosa ca**o la prendi a fare? Che già è sconosciuta di suo. O Chiara Balistreri, la ragazza che comunque ha avuto il coraggio di denunciare il suo aggressore che è stato condannato a 6 anni e 3 mesi e che merita una seconda opportunità nella vita dopo quello che ha subito. E se non l’avesse fatto via social, chissà cosa sarebbe successo.

E poi ti ritrovi una che è uscita da un programma, non trash, perché io il trash lo faccio, lo racconto, ma un programma oltre, che non voglio neanche citare per non fare pubblicità, che dice tu sei qui per visibilità. Ma tu una così la devi prendere, la devi cacciare a calci nel culo. Cioè non puoi lasciarla in prima serata, dopo che vai in piazza e fai le manifestazioni, dopo che leggi che pochi giorni fa è morta una ragazza di 14 anni. Perché lasciare un messaggio così? Perché per forza cavalcare l’onda di farla rimanere e poi magari riprovo, che poi ne scatta la rissa perché qui si vuole arrivare. Però finché non lo capiscono di certo mi metterò io a farglielo capire. Ma di certo io non smetterò di farglielo notare.

Nel suo libro lei parla anche della sua esperienza personale. Ci sono due elementi che sono quasi uno spartiacque. Quando ha 17 anni lei descrive di essere diventato uomo per aver sbattuto fuori casa la persona che l’ha concepita, così lo definisce. E quando stava per morire a Napoli, per sbaglio, che aveva assunto una boccetta di acido per verruche.

“Sì, ti dico la verità, essere cresciuto con mia madre e con mia sorella non è qualcosa che giudico come un meno. Anzi per me è un valore aggiunto perché comunque da bambino rincog***nito quale ero che viveva nella famiglia del Mulino Bianco, mi sono svegliato di colpo e mi sono fatto carico e mi sono fatto delle promesse nella mia vita. Tra l’altro una di queste si è verificata pochi giorni fa con mia sorella che è diventata mamma, io sapevo già che non avrei costruito una famiglia, nel senso largo della parola, speravo lo facesse lei, quindi una vittoria me la sono portata a casa. Perché alla fine le vittorie che contano sono queste.

E per quanto riguarda l’acido delle verruche. Una signora che mi dava una mano, allora quando tu sei ipocondrico, prima di partire, non pensi alle mutande, alle calze, pensi ai farmaci, ok? L’unica volta nella mia vita in cui ho chiesto alla signora che mi dava una mano a casa di darmi una mano e di farmela lei, ha confuso due boccette. Quindi quando ho messo in bocca il liquido, improvvisamente ho sentito tipo la gola che esplodeva, ero pieno di macchie e quel liquido era un acido delle verruche che il podologo, il dottor Cotroneo, bravissimo, a Roma, di Ilary Blasi, aveva fatto questa sua formula che mi ha salvato il piede e io l’ho ingerita.

Poi mi sono svegliato in ospedale e da lì c’è stato uno switch off totale della mia vita, proprio completo, perché la prima telefonata che ho fatto dopo colon, gastro, dopo che mi sono salvato per miracolo, per ammissione medica non perché lo dico io, è stata chiamare Piero Armenti e dirgli guarda non c’è un timbro sul passaporto. Ho 45 anni, devo venire a New York immediatamente e da lì a due mesi ero a New York.

Ecco lei ha raccontato che il suo libro inizialmente doveva parlare di un farmaco associato ad ogni persona, ci sono delle persone che le cita all’interno del libro come per esempio Maurizio Costanzo, Selvaggia Lucarelli. Non c’è mai Maria De Filippi, è voluto?

No che c’entra, io ho lavorato più per il dottor Costanzo, quindi è giusto che cito il dottor Costanzo. Selvaggia in un periodo in cui dovevo fare delle scelte è stata molto importante, quindi si merita, sono felice di averle dedicato un capitolo perché mi ha veramente con poco, perché a volte bastano quei consigli anche diversi dalle tue idee, che però quando sei predisposto ad ascoltare e a non pensare di essere un supereroe ti fanno ragionare, e quindi questi sono gli esempi positivi.

Sì l’idea iniziale era quella di associare un farmaco a una persona e a un fatto, che poi ahimè è uno switch off negativo, solo che non era quello il focus del libro, il focus del libro è un altro, e giustamente la casa editrice mi ha detto così non va bene, non te lo pubblichiamo. Io ho incassato e mi sono rimesso a riscrivere e ci siamo, e oggi il libro sta andando bene“.

Gabriele Papiglia che progetti futuri ha?

Sto scrivendo un altro libro che uscirà dopo l’estate ma è un’inchiesta che sto seguendo da tempo. Stiamo facendo una serie tv, ma come sai ci sono gli NBA e quindi non si può dire niente. C’è Verissimo, c’è la radio, c’è quella volontà ancora di cercare i talent da lanciare, ma che siano talent e che non siano fake creator.

Poi c’è la newsletter che per me è il mio giornale, quando siamo partiti eravamo solamente io, Selvaggia e Stefano Feltri, adesso vedo che un po’ cani e porci hanno la newsletter. Però meno male che si fa un’abbastanza scrematura su chi seguire, e sono convinto che evolverà sempre più, perché se pensi che in America gli scrittori pubblichino i libri sulle newsletter, un capitolo alla settimana e fatturano milioni di euro, sono convinto che anche in Italia si andrà piano piano verso quella direzione.

Viaggi anche in futuro?

Assolutamente sì, anzi dal 19 novembre al 24 novembre insieme con Stefano, un ragazzo che ho conosciuto in Islanda nel viaggio che ho fatto da solo, organizziamo un viaggio dove proprio si chiama ‘Volete partire con me?’ Chiaramente questo non è un lavoro, non sarà mai il mio lavoro, non intendo trasformarlo in lavoro, però intendo far sì che nella mia vita almeno quattro volte l’anno ci siano quattro viaggi.

Poi io ti dico, fin da piccolo studiavo la cultura vichinga, i troll, la cultura troll, gli gnomi,  sono sempre rimasto affascinato da tutte le storie relative all’aurora boreale quindi se io potessi mi trasferirei domani. Il problema è che poi vai lì e che fai, a me è anche questo, ma se potessi lo farei, solo che in questo momento ho tante responsabilità che non sono solo io, ma con me c’è una squadra di persone che lavora e non sono poche. Per ora sarò ancora qui, per ora, poi chissà nel futuro, non lo so”.

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