In occasione del 40° anniversario del Live Aid, lo scorso luglio è uscito “Live Aid: Il suono di un’era”, il nuovo libro di Gabriele Medeot, storyteller in ambito musicale e musicista professionista da oltre 30 anni. Il volume, con la prefazione di Franco Zanetti, ripercorre il più grande evento musicale del secolo – il Live Aid del 13 luglio 1985 – restituendone tutta la potenza storica, culturale ed emotiva. Oltre 16 ore ininterrotte di musica, 1 palco a Londra e 1 a Philadelphia, 16 satelliti per una trasmissione globale con oltre il 90% per cento delle televisioni di tutto il mondo collegato nel corso dell’evento, oltre 70 artisti per un cast stellare tra Paul McCartney, Queen, David Bowie, Led Zeppelin, Madonna, U2 e tanti altri. Noi di SuperGuidaTv abbiamo intervistato l’autore e con lui abbiamo parlato del libro manche di cosa è oggi la musica a livello mondiale e soprattutto eventi di portata gigantesca come lo è stato il Live Aid del 1985.
Gabriele Medeot: “Live Aid: Il suono di un’era” – Intervista
Gabriele com’è nata l’idea di questo libro e cosa ci puoi raccontare sul Live Aid del 1985?
L’idea nasce dal voler rendere omaggio a quello che è stato l’evento più importante nel corso della nostra storia recente dal punto di vista musicale, culturale ma anche sociale. Nasce ovviamente anche dalla volontà di fare un focus specifico su quello che ritengo essere il decennio forse tra i più straordinari, se non il più straordinario del 1900 sempre dal punto di vista soprattutto musicale e culturale, senza trascurare quello che accade dal punto di vista tecnologico che è il periodo degli anni Ottanta. Quindi la volontà di accentrare in un libro quelle che sono le emozioni, i racconti di cronaca, i fatti e la tanta musica che identifica quel periodo, un’intera generazione ma molto di più. E il concerto più grande di tutti i tempi è il Live Aid.
L’evento ha rivoluzionato il mondo dei live. Tu cosa ricordi di quel periodo?
Allora di quel periodo ricordo molto perché ero un teenager che guardava il futuro con occhi sognanti, affascinato da quello che stava accadendo attorno a me. All’epoca già suonavo, studiavo pianoforte da molti anni e sapevo che la musica in un modo o nell’altro doveva scorrermi nelle vene e che sarebbe stata parte del mio futuro se non il mio futuro. Ricordo un decennio incredibile, il profumo di quegli anni fondamentalmente e di quel concerto ricordo bene proprio il concerto. Il fatto di essere stato attratto dalla televisione e di aver visto queste persone su quel palco. Non sapevo cos’era perché ero comunque giovane, non leggevo i giornali non era il mio compito quello di informarmi all’epoca di quello che stava succedendo attorno a me e quindi quando ho acceso, anzi non ho acceso, sono passato davanti alla televisione e mi sono accorto che c’era quel grande concerto non ho potuto fare altro che fermarmi e stare lì poi ad ascoltare e a scoprire un mondo affascinante.
Secondo te cosa ha reso iconico e irripetibile un evento del genere per la musica?
Lo spirito con cui è stato fatto, la determinazione con cui Bob Geldof ha portato avanti un’idea considerata da tutti impossibile la determinazione attraverso la quale non ha mai messo in dubbio il fatto che avrebbe fatto questa cosa qua. Forse c’è stato un istante nel quale un po’ ha traballato, non possiamo immaginare che sia sempre andato tutto bene e in realtà poi io nel libro ne parlo, racconto i risvolti che ci sono stati ma questa determinazione lo rende unico, questa volontà di usare per la prima volta nel corso della storia la musica per aiutare qualcuno con questa dimensione. Erano già stati fatti dei concerti di solidarietà prima, non è che il Live Aid è il primo, ma il Live Aid è il primo concerto globale, d’altra parte lo chiamano anche il jukebox globale, cioè siamo in diretta intercontinentale per 16 ore ed è visto da quasi 2 miliardi di telespettatori, numeri impressionanti per l’epoca e lo sono anche oggi.
Nel libro sottolinei proprio la forza della musica come motore per la solidarietà. Pensi che oggi esista ancora una musica militante con lo stesso impatto?
Penso che la musica esista e che lo stesso impatto sia intrinseco nella musica perché io credo che la musica sia il messaggio e il valore delle cose arriva attraverso quella musica. Il problema è il dove va questo messaggio, dove arriva, dove atterra. Cioè la nostra società, una società difficile, che ha cercato di rimettersi in piedi dopo quel periodo, che è il periodo del covid nel quale ci siamo tanto abbracciati, ci siamo tanto ritrovati nelle nostre famiglie, cioè in quel senso abbracciati, nell’intimità, eppure quando è finita quell’emergenza terribile forse le cose non sono tornate come prima ma sono tornate peggio di prima e quindi oggi come oggi la musica esiste, i tempi sono anche maturi, ma forse non lo siamo noi come esseri umani.
Il libro è tra un saggio, un diario e una playlist emotiva come lo hai costruito? Come ti sei indirizzato nella ricerca delle varie informazioni, dei vari aneddoti che ci sono all’interno?
Grazie per questa domanda perché mi permette di dire una cosa: l’ho costruito come costruisco ogni volta i miei progetti, cioè pensando sì alle persone che lo avrebbero letto ma pensando soprattutto a che cosa era importante per me in quel momento e che cosa trovo importante essendo io un curioso. Una persona curiosa che legge, che si informa. Ho pensato: che cosa è importante per una persona curiosa? Il trovare tante informazioni, non solo di un concerto, ma soprattutto del perché di quel concerto e del come si è arrivati a quel concerto e del che cosa quel concerto ci ha lasciato, cioè l’eredità che ci ha lasciato, e quindi sì, gli anni ottanta, il 1985 e il Live Aid. Si comincia prima, si comincia da un’Italia da bere ma è anche l’Italia degli anni delle stragi, delle quali tristemente si parla. I fatti di cronaca che sono accaduti nel mondo, le scoperte tecnologiche, i passi nei confronti della conquista dello spazio, le tragedie che sono accadute e per finire poi con la caduta del muro di Berlino. Un decennio che racchiude veramente un universo.
Quali sono stati secondo te gli artisti che hanno rappresentato meglio quell’epoca?
Da un punto di vista musicale io credo che ad esempio U2 che è una band che ha trovato a seguito dell’Live Aid una notorietà che probabilmente cercavano possano ben rappresentare quel momento storico. Ma lo possono rappresentare anche i vari David Bowie, Phil Collins, che in ogni momento della propria carriera sono stati capaci di essere iconici per quel momento. La musica racconta il tempo nel quale noi viviamo e quegli artisti raccontano la musica e raccontano quel tempo.
Ci racconti un aneddoto curioso, un dettaglio che hai scoperto durante le tue ricerche e che ti ha particolarmente colpito?
Ce ne sono tanti, qualcuno è un po’ più simpatico qualcuno forse meno. Sicuramente Bryan Ferry che fino all’ultimo era incerto sul partecipare perché aveva dei dubbi sulla gestione tecnica e tutto sommato la gestione tecnica non è forse una delle cose migliori, ma non ha importanza, perchè la cosa importante era che lui alla fine ha detto ci vado, tecnicamente magari andrà bene. In realtà non andò molto bene, mancò la corrente, il batterista bucò la pelle del tamburo, il suo microfono non funzionò, e quindi gli portarono un altro microfono, ne aveva due e non sapeva su quale doveva cantare. La sua performance è ottima ma è una performance che sicuramente ha avuto qualche inghippo tecnico.
Il libro parla anche ai giovani che però non hanno vissuto quel periodo. Come pensi possa dialogare con loro questo racconto?
Penso che possa dialogare con loro perché ha una caratteristica che è quella di essere narrante. È un racconto che, come tu hai perfettamente detto prima e ti ringrazio anche di quella sottolineatura, è una sorta di ibrido fra un saggio ma non è un saggio, fra un racconto romanzo ma non è un romanzo. Questo libro è abbastanza in realtà una playlist. Questi tre elementi insieme a tanti altri convergono all’interno di 240 pagine che scorrono veramente in maniera vorticosa, e lo dico perché anche mentre lo scrivevo mi sono ritrovato in alcuni momenti nei quali mi sono dovuto fermare proprio perché il carico emotivo che arrivava dalle informazioni che cercavo di mettere per iscritto era talmente alto che c’era bisogno di fermarsi un attimo e magari ascoltare una canzone.
Tu nel tuo percorso hai esplorato diverse volte il potere della musica. Quanto questa visione ha influito nella scrittura di questo libro?
Beh totalmente perché io sono convinto che con la musica si possano cambiare delle cose. Non è la musica a cambiare le cose, quelle sono cambiate dagli uomini, dagli esseri umani. La musica agisce sugli esseri umani, sull’animo delle persone e quindi le rende più sensibili. Una persona sensibile guarda alle cose in maniera diversa e quindi può cambiarle.
Se dovessi scegliere una canzone che accompagni la lettura di questo libro quale sarebbe?
Questa è una bella domanda. Perché sceglierne una su migliaia di quel decennio è difficile. Mi viene in mente una canzone che lo accompagna ed è anacronistico non perché rappresenta gli anni 80 ma rappresenta tutto questo ed è I don’t like mondays di Bob Geldof, che è la canzone con la quale lui in qualche maniera dà il via a questa attività, a questo progetto e a questo grande concerto. Ce n’è però ancora una che ancora una volta non è una canzone del Live Aid ma è una canzone degli anni ottanta che identifica secondo me il sogno di quel periodo che è Don’t Stop Believin, una canzone che ha all’interno del proprio titolo e del proprio testo un grande energia, tutta quella che vuole essere la positività, il sogno e la voglia di vivere un periodo straordinario che era la voglia che avevano i giovani e non solo i giovani in quel periodo.
Nella storia recente c’è stata la possibilità di creare un nuovo concerto di quelle dimensioni legato a qualcosa che è successo e che magari ecco avrebbe fatto la differenza?
È una domanda molto bella articolata perché che un evento faccia la differenza sì, cioè gli eventi possono fare la differenza. Che ci siano state delle opportunità certamente ci sono state delle opportunità, che poi ci sia un’efficacia mi riallaccio a quello che dicevo prima, su questo io sono un pochino più meno speranzoso mettiamola così. Cioè, mi piace pensare di cambiare idea, mi piace pensare che anche oggi un evento del genere potrebbe cambiare davvero le cose, ma non lo so se davvero questo possa accadere, perché un evento del genere come dicevo prima, si basa sulle persone e quindi devono essere le persone pronte, la musica è pronta da sempre, da quando è nata. Noi l’abbiamo sempre usata in base a quella che era la nostra esperienza di esseri umani, prima battendoci sul corpo, poi cominciando a battere su altri elementi, fino a inventare strumenti e oggi usare l’intelligenza artificiale per produrre della musica. Siamo noi che siamo limitati, non è la musica e quindi siamo noi a essere limitati anche nel saperla usare e nel saper come usarla.
A cosa stai lavorando? Cosa ti piacerebbe raccontare in un prossimo libro?
C’è una cosa alla quale sto lavorando da un po’ di tempo, così come lavoravo sul Live Aid, e che ha sempre a che fare proprio con la musica e con molte delle cose che ci siamo detti oggi. Cioè di come poter usare davvero la musica per comunicare, per agire e per far in modo che le cose che noi facciamo siano cose che fanno stare bene e quindi sono cose che fanno stare bene gli altri e quindi noi stessi, perché nel momento in cui tu attraverso la musica o altre forme d’arte, io conosco la musica quella è il mio linguaggio, attraverso la musica tu fai stare bene qualcuno, poi stai bene anche tu.









