Da principale favorito a grande sconfitto è stato un periodo a dir poco traumatico la scorsa stagione dei premi per Emilia Pérez, subissato da polemiche più o meno giustificate che ne hanno messo in secondo piano le pur notevoli qualità. Ed ecco così che dopo la pioggia di nomination – ben 13, un record per un film non in lingua inglese – la vittoria soltanto di due Oscar è apparsa come una sorta di beffa, per quanto ormai data per scontata.
Ma diatribe extra-cinema a parte, sulle quali preferiamo non concentrarci in fase di critica, l’ultimo lavoro del regista francese Jacques Audiard merita almeno una visione, con lo spettatore che poi si farà o meno una sua idea una volta informatosi sulla relativa shit-storm mediatica. Gli abbonati di Sky e di NOW possono recuperarlo proprio da oggi, con la trasmissione in prima serata sulla piattaforma televisiva a pagamento.
Emilia Pérez: essere o non essere – la recensione
La storia di uno spietato narcotrafficante messicano che intende cambiare sesso – e con esso vita – era sulla carta assai pericolosa e spinosa, con le potenziali controversie a venire. Che però più che dalla comunità trans sono arrivate invece da quella messicana, secondo cui il film avrebbe preso in giro e minimizzato non soltanto la cultura nazionale, ma anche quella tragedia che ben presto prende campo nel racconto.
Racconto che ha inizio con il personaggio dell’avvocata Rita Mora Castro, praticante in un piccolo studio legale, che viene rapita da alcuni uomini e condotta al cospetto di Juan “Manitas” Del Monte, un famigerato boss del cartello, che le offre un incarico ben pagato. Dovrà infatti organizzare un suo futuro intervento di vaginoplastica, in quanto Manitas ha sempre desiderato essere una donna: una trasformazione che gli permetterebbe anche di sfuggire alla legge. Ma per farlo Manitas – che rinascerà come Emilia – deve anche fingere la sua morte e separarsi dalla moglie Jessi e dai due figlioletti, all’ignaro di tutto e trasferiti in un casa in Svizzera.
La missione si conclude nel migliore dei modi, con Rita che viene ripagata con un’enorme somma di denaro e pensa di aver chiuso per sempre quel capitolo della sua vita. Ma pochi anno dopo Emilia ricompare chiedendole nuovamente aiuto…
A tutto ritmo
Un musical trascinante e originale, che si fa forza sulle esplosive canzoni – e balletti annessi – per sostenere un racconto che trova il modo di parlare al pubblico, affrontando tematiche inusuali con una certa sensibilità, anche laddove le polemiche ne hanno spesso frainteso le scelte. Perché Emilia Pérez è un film e come tale non cerca la verosimiglianza ad ogni costo, raccontando il dilemma universale di una persona che si ritrova a rivestire un doppio ruolo, con il passato e il presente che rischiano di influenzare quel futuro che, giorno dopo giorno, diventa sempre più incerto, tra rimorsi e rimpianti per ciò che era e non potrà essere più.
Anche il dramma delle persone scomparse che caratterizza la seconda metà di visione, con quella missione catartica che vede le due combattive protagoniste in cerca chi di tardiva redenzione chi di un obiettivo da perseguire, vive attraverso un’anima pop e colorata, tra tragedia e speranza, con dei pezzi che conquistano non soltanto le orecchie ma anche il cuore di chi guarda.
Sacrosanto l’Oscar dato a Zoe Saldana, che canta e balla come una furia piena di cinetica energia, con Karla Sofía Gascón – prima attrice trans a ottenere una nomination alla dorata statuetta – nelle vesti del personaggio principale e una altrettanto incisiva Selena Gomez nelle vesti di ignara moglie “vedova”.
Conclusioni finali
La tensione emotiva va di pari passo con l’energia del musical in un film straripante, a tratti eccessivo, ma al quale è impossibile restare indifferenti. Sin da quell’inizio nel quale Zoe Saldana si muove con passi frenetici e un ritmo incalzante, passando poi da ironie chirurgiche (La vaginoplastia) a quel dramma che prende sempre più il sopravvento relativo ai desaparecidos, Emilia Pérez è un fiume in piena, che cresce e straborda, perdendo un pizzico di mordente soltanto in quell’epilogo più “spento” del previsto.
Ma il racconto di questo boss del narcotraffico che cambia vita e sesso diventando la donna che ha sempre sognato, tra controversie e illusioni mancate, è un’opera senza compromessi, dove il regista Jacques Audiard ha piegato un genere alle direttive di un’estasi, estetica e sonora, che fa centro e che – polemiche a parte – merita almeno una chance da qualsiasi tipo di spettatore.