Dedalus: un gruppo di influencer in un reality show mortale – Recensione

Dedalus

Sei aspiranti content creator – Michele, Tiziana, Leo, Antonella, Filippo e Belinda – vengono selezionati come finalisti per un misterioso contest esclusivo conosciuto come Dedalus e condotti in un luogo isolato, dove gareggeranno per ottenere il primo premio che garantirà al vincitore un milione di euro in denaro e visibilità online senza precedenti.

A fare gli onori di casa vi è il misterioso Master, colui che ha organizzato le prove ai quali i concorrenti verranno sottoposti. Inizialmente le sfide che li attendono appaiono relativamente innocue, tra giochi di squadra e test di abilità social, ma ben presto la situazione degenera in qualcosa di molto più oscuro e violento. Quello che inizialmente sembrava un qualsiasi reality show si trasforma in qualcosa d’altro e i protagonisti si ritroveranno a lottare per la sopravvivenza.

Dedalus: tutti contro tutti – recensione

Ci troviamo davanti ad una produzione italiana relativamente inedita e coraggiosa per il nostro Paese, che cerca di mostrare i muscoli in un mercato inflazionato generalmente da commedie e drammi vari: un thriller distopico che promette di indagare i lati oscuri dell’era digitale e della cultura dei social media, trasformando degli influencer in pedine inconsapevoli di un sadico gioco di vendetta. Con lo spettro di Squid Game alle spalle, sulla carta l’idea aveva le potenzialità funzionare, giacché la critica alla tossicità del mondo online è un magma narrativo assai fertile e attuale.

All’atto pratico, il film rischia però di perdersi in un groviglio di buone intenzioni mal realizzate, con la messa in scena di buon livello – movimenti della macchina da presa e cambi di situazione in primis – che non è adeguatamente supportata da una sceneggiatura “vorrei ma non posso“.

Chi sarà il primo?

Certamente il fatto che i partecipanti al reality show siano uno più odioso dell’altro, al punto da spingere chi guarda a tifare per la loro eliminazione, più o meno letterale che sia, è un elemento voluto, ma a tratti sin troppo calcato e caricato, tale da rendere quelle che avrebbero dovuto essere delle lucide caricature delle improbabili macchiette. Dalla sexy stangona alla oversized, dalla mammina amorevole ai tamarri da discoteca e così via, il parterre si adagia sui luoghi comuni di un’Italietta appena abbozzata.

Più interessante il colpo di scena che nell’ultimo atto tira in ballo un tema quanto mai sensibile come quello del revenge-porn, e che pone in una nuova ottica il personaggio di Marco Tognazzi, che sale in cattedra per innescare la resa dei conti finale.

Il regista Gianluca Manzetti, che aveva dimostrato già un certo stile nell’esordio Roma Blues (2023), fa di necessità virtù con un budget non esorbitante e la rappresentazione come detto è esteticamente apprezzabile, con alcune sortite cool quanto basta e alcuni momenti di pura cattiveria che guardano ad alt(r)i prototipi. Peccato che si viva su fiammate, con le buone intuizioni che vengono depotenziare da alcune leggerezze evitabili.

Conclusioni finali

Tra ambizioni internazionali e limitazioni produttive, Dedalus si rivela un tentativo apprezzabile ma non del tutto compiuto per portare il thriller distopico in salsa tricolore. Gianluca Manzetti e il team di sceneggiatori hanno colto spunti interessanti – la tossicità dei social media, la cultura della fama a tutti i costi, il revenge movie mascherato da reality show – e li hanno assemblati in una struttura narrativa confusa e poco incisiva.

Un film figlio dell’hype Squid Game, che si appoggia a personaggi bidimensionali, con la regia che oscilla tra momenti di genuina tensione e altri di grottesco involontario. I novanta minuti di visione scorrono tra sussulti di stile e cadute di tono, in un insieme senza dubbio coraggioso che avrebbe potuto però osare ancora di più.

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