You è una serie di genere thriller-psicologico ideata dalla mente di Greg Berlanti e Sera Gamble, tratta dai romanzi di Caroline Kepnes (You e Hidden Bodies) e interpretata da Penn Badgley, Elizabeth Lail e Victoria Pedretti. Ora alla sua quarta stagione, la serie è disponibile in streaming su Netflix dal 2018.
You, la trama
Nella prima stagione di You, Joe Goldberg (Penn Badgley) è il gestore di una libreria. Un giorno incontra per caso Guinevere Beck, aspirante scrittrice: per la donna, Joe maturerà da subito grande interesse. Così grande da spingerlo a volerne sapere di più, in ogni senso: per questo, tramite ricerche su internet, l’uomo comincia a controllarne le interazioni sociali, poi a indagare sulla sua vita e a seguirla durante i suoi spostamenti. Quando Guinevere rischierà di perdere la vita in un incidente, cadendo sui binari del treno dopo aver bevuto un po’ troppo, a salvarla ci sarà Joe, che nel frattempo l’aveva pedinata. E così Guinever ricambia l’interesse dell’uomo, recandosi alla sua libreria per ringraziarlo dell’imprevisto salvataggio. Joe è, insomma, contemporaneo principe azzurro che salva la damigella in pericolo, sempre presente nel momento giusto al posto giusto (facile, d’altronde, quando si monitora costantemente qualcuno). E, come un principe che si rispetti, Joe dev’essere anche l’unico disponibile per Guinevere, che invece è già fidanzata con Benji. Ma non ancora per molto.
Nella seconda stagione Joe si ritrova costretto a cambiare identità e vita. Si trasferisce perciò da New York a Los Angeles e diventa Will. Ottiene, allo stesso tempo, un lavoro in un book café di direzione famigliare, dove fa la conoscenza della frizzante Love Quinn. Joe rimane colpito da lei: dopo aver opposto resistenza all’attrazione nei confronti di Love, durante un tour gastronomico preparato per lui l’uomo se ne infatua. Will, tuttavia, non è un’invenzione di Joe: è un uomo in carne e ossa rinchiuso in un magazzino, e sta aspettando di essere liberato.
Nella terza stagione di You, Joe è un uomo apparentemente felice: vive con Love e il loro bambino a Madre Linda, ma la presenza di Natalie rischia, per Love, di mandare tutto in frantumi. Joe, infatti, flirta ripetutamente con la donna, sebbene senza mai lasciare che l’attrazione sfoci in qualcos’altro. Love, però, conosce ormai bene Joe e comprende che è nella sua fase ossessiva: con un pretesto, chiama Natalie e risolve la situazione. Con le cattive.
Nella quarta stagione, Joe si trova a Londra e lavora come professore sotto il falso nome di Jonathan Moore. Durante una festa a cui viene invitato perde la vita Malcolm, brutalmente assassinato. I sospetti ricadono su di lui, anche se non ha memoria dell’accaduto.
You, perché guardarla
Guinevere è uno dei nuclei del ciclo bretone e uno dei nomi più emblematici della letteratura cavalleresca tutta: la sua storia prima illecita, poi tragica, con Lancillotto è diventata nel tempo il paradigma dell’amore cortese, ancor prima di Tristano e Isotta. Non è un caso che You se ne serva per denominare la sua protagonista femminile nella prima stagione, in cui il protagonista Joe se ne infatua perdutamente ancor prima di aver fatto la sua conoscenza. Perché You, a dispetto di quanto vorremmo credere riguardo questo protagonista maschile attorno cui ogni vicenda ruota, è semplicemente l’inversione dello stalker-thriller in senso classico e, allo stesso tempo, la decostruzione dei tropi sull’amore romantico che hanno caratterizzato le più grandi e conosciute opere, dagli albori della finzione come strumento di narrazione (dunque dagli albori dello storytelling) all’epoca moderna.
A costituire la prospettiva dello spettatore è proprio lo sguardo del Joe interpretato da un ottimo Penn Badgley, che è in grado di incarnare con perfezione maniacale (è il caso di dirlo) il persecutore manipolatore, l’unico a credere nel suo amore per Guinevere e perciò determinato nell’autogiustificazione e nell’autoassoluzione continua. Joe non arriva neppure a interrogarsi sulla natura delle sue azioni, tanto profonda è la sua sincera confidenza nel sentimento che nutre per l’immagine perfetta rimandata dalla donna del suo desiderio immacolato e idealizzato. Grazie a questa scelta, You mette in atto un’abile strategia che consiste nel posizionarci in ascolto del maniaco, non per permetterci di alimentare un’empatia (che invece viene erosa dalle azioni stesse del protagonista), bensì per consentirci di sperimentare su noi stessi il senso di profondo disagio e malessere che può essere generato da quelle stesse convinzioni sull’amore e sulle relazioni che ha plasmato le nostre stesse identità.
L’antieroe di You non è quello di serie come Breaking Bad, Better Call Saul o Mad Men, focalizzati sulla metamorfosi di un personaggio colto nel difficile (e mai assoluto) passaggio dal bene al male. È, piuttosto, un villain con tutti i crismi del ruolo, ma che per qualche ragione connessa agli universali codici cavallereschi (su cui poggia tutta la narrativa e il concetto stesso, “romanticissimo”, di amore maledetto o negato), lo spettatore tende a voler discolpare – Joe è tossico, sì, ma tossico per amore – finché non è Joe stesso a rivelarsi, ogni volta, come vera e unica ragione che rende tutto ciò impossibile. Utilizzare ogni dispositivo tecnologico a disposizione, dal semplice telefono (simbolo di questo specifico sottogenere thriller da decenni) al social network, è una tattica attraverso cui You attualizza il discorso e rende ancor più ambigua la caratterizzazione dei personaggi, ma soprattutto il rapporto che instaura con il suo spettatore.
Nelle stagioni seguenti la serie allarga la lente e il suo piccolo universo di partenza, espandendo la riflessione sulle dinamiche relazionali di coppia in senso più ampio. Entra in scena Love Quinn (Victoria Pedretti), col suo nome talmente iperbolico da risultare quasi una beffarda anticipazione per antitesi di ciò che rappresenterà. You diventa una storia di possessione, gelosia, ricatto psicologico; manipolazione non più a senso unico, bensì ricambiata e addirittura potenziata a ogni colpo inferto, in un effetto boomerang dai risvolti paradossali. Quella che è nata come storia di un predatore maschio si trasforma nel racconto di una coppia di predatori di entrambi i sessi, che devono bilanciare i propri impulsi per mantenere in piedi il matrimonio attraverso compromessi estremi. You è semplicemente una delle serie televisive più avvincenti e ipnotizzanti presenti nel catalogo della piattaforma: il binge-watching è assicurato.
You, perché non guardarla
You promette di essere intrattenimento puro, ma per tenere fede alla promessa (e alle premesse) scende a patti con una necessità: quella di abbracciare, almeno in parte, i meccanismi di una serialità soapy, fatta di continui ribaltamenti e twist che possano garantire la fidelizzazione del pubblico. Non solo You potrebbe non riuscire ad accontentare lo spettatore in cerca di un racconto ampio, fondato su rivelazioni centellinate e graduali, ma potrebbe non riuscire più, nella progressione delle stagioni, ad appagare neppure quello già conquistato. Il problema risiede principalmente nella quarta stagione della serie, che si discosta dal nucleo della narrazione e dalle intenzioni originarie degli autori.
Dopo una seconda e una terza stagione tanto avvincenti quanto genuinamente disturbanti e inquietanti, la quarta stagione di You sembra aver perduto la sua bussola narrativa e aver trasfigurato il suo Joe nell’ennesimo protagonista che si dimena nel tentativo di risolvere un omicidio che sembra non avere né capo, né coda. Il cambio di ambientazione (siamo in Inghilterra), pur suggestivo, non aiuta: dall’Upper East Side di Manhattan ai ricchi sobborghi californiani nel nord, passando per la periferia di Hollywood nella seconda stagione, You ora sembra parlare un linguaggio che non sembra conoscere bene, nel tentativo di vendere ancor meglio la serie in Europa.
Le atmosfere della quarta stagione sono quelle di una tenuta di campagna britannica e della fumosa periferia londinese, in cui l’alta società viene rappresentata quasi come una caricatura: è il personaggio stesso di Joe a risentirne pesantemente, poiché viene inghiottito da una serie di cliché e scimmiottature di alcuni generi, cinematografici e letterari, poco riuscite. L’attenzione, inoltre, si sposta dal “you”, che conferiva il titolo alla serie, al “me”: a essere esaminate attraverso il filtro della satira non sono più quelle dinamiche interpersonali che giustificano i comportamenti sessisti (e anche razzisti), ricattatori e violenti adottati non del tutto consapevolmente, bensì un altro tentativo di fuga da un passato che non si riconosce come proprio. Nella quarta stagione, in sintesi, Joe Goldberg è solo un’altra vittima di altri.
You, il trailer italiano