Francia settentrionale, 1956. Amir, un giovane lavoratore marocchino alla ricerca di fortuna, accetta un impiego in una delle miniere di carbone più pericolose del Paese, soprannominata “L’isola del diavolo” per le sue condizioni di lavoro disumane e l’alto tasso di incidenti mortali. Qui si ritrova a far parte di una squadra multietnica di minatori guidata dal pragmatico Roland, un ex partigiano del Maquis.
Con loro scenderà il professor Berthier, un accademico che offre loro del denaro per accompagnarlo oltre i mille metri di profondità, al fine di prelevare alcuni campioni in una zona estremamente instabile della miniera. Una frana improvvisa chiude però ogni via di fuga, intrappolando i malcapitati in una sezione dimenticata della struttura, dove fanno una scoperta agghiacciante: un’antica cripta di origini ignote, sigillata da secoli. Senza saperlo, violando quell’antico sepolcro hanno risvegliato qualcosa che avrebbe dovuto rimanere sepolto per sempre e si ritroveranno in un incubo spaventoso.
The Deep Dark: nel cuore dell’abisso – recensione
Il cinema horror francese contemporaneo ha saputo ritagliarsi nel nuovo millennio uno spazio di tutto rispetto nel panorama internazionale di genere, forte di una tradizione che alterna una violenza viscerale ad atmosfere rarefatte. Mathieu Turi, già autore dell’affascinante Hostile (2017) e del claustrofobico Méandre (2020), conferma con The Deep Dark il suo interesse per gli spazi angusti e situazioni (al) limite, dove i protagonisti si ritrovano intrappolati in labirinti mortali senza alcuna apparente via di fuga.
Al cento del racconto, ambientato soltanto qualche anno dopo la fine del secondo conflitto mondiale, un microcosmo sociale ricco di tensioni, dove operai italiani, spagnoli, francesi e arabi si ritrovano a lavorare fianco a fianco nelle viscere della Terra, uniti dalla comune condizione di sfruttamento e divisi da pregiudizi razziali ancora radicati. Ma ben presto si scopriranno tutti uguali davanti al terrore e alla morte.
Sopravvivere all’ignoto
L’ombra di H.P. Lovecraft si agita in modo inequivocabile nelle sfumature narrative, con il quel continuo richiamo all’orrore cosmico, ad antiche divinità sepolte e alla fragilità della comprensione umana di fronte all’ignoto. Il regista vi costruisce sopra una storia che strizza l’occhio ai classici del genere “sotterraneo” – The Descent (2005) di Neil Marshall in primis -pur cercando di trovare una propria voce distintiva.
The Deep Dark ha un avvio parzialmente lento, ma è nella seconda metà che il film dà il meglio di sé, con la tensione che cresce pari passo con quell’orrore che prima si nasconde e poi si mostra in tutta la sua inquieta e disturbante brutalità. La creatura antagonista viene esposta con generosità, in tutta la sua mostruosa gloria, una scelta rischiosa ma a conti fatti vincente grazie anche agli ottimi effetti pratici di stampo vecchia scuola.
Si passa da momenti di quiete opprimente a improvvise esplosioni di sangue e frattaglie, mantenendo un ritmo in crescendo fino a quel finale forse un po’ sbrigativo ma chiudente bene il cerchio. E quella location sotterranea, dove “nessuno può sentirti urlare“, viene sfruttata con logica e decisione, intrattenendo con gusto il principale target di riferimento.
Conclusioni finali
Mathieu Turi dà alla luce, o meglio alle tenebre, un horror sotterraneo dalle atmosfere lovecraftiane che si muove con sicurezza nei territori del genere, forte di una regia essenziale e di una creatura effettivamente spaventosa infestante la claustrofobica ambientazione.
La sceneggiatura di The Deep Dark segue binari ampiamente codificati e non se ne vergogna, con dinamiche prevedibili e colpi di scena che non sorprendono particolarmente, ma risulta avvincente e priva di tempi morti nel corso dei cento minuti di visione, pur pagando una certa lentezza iniziale. Quando il terrore ancestrale si scatena tra le viscere della Terra, ha inizio un tensivo gioco del gatto col topo che regala solide e spaventose emozioni a tema.









