Esistono storie che, pur essendo profondamente personali, diventano lo specchio di un’intera epoca. Quella di Whitney Wolfe Herd, co-fondatrice di Tinder e poi creatrice dell’impero Bumble, ovvero l’app per incontri pensate per le donne, appartiene a questa categoria: una parabola di caduta e rinascita che si intreccia indissolubilmente con la rivoluzione digitale delle relazioni umane e con le battaglie del post #MeToo.
La regista Rachel Lee Goldenberg affronta questa materia sulla carta incandescente con Swiped, un biopic che sceglie la strada della semplicità nel tentativo di evitare le facili agiografie, riuscendo parzialmente a restituire la complessità di un personaggio sicuramente non privo di spunti di interesse, tra ombre e luci.
Swiped: un film a scorrimento veloce – recensione
Il film segue l’ascesa di Whitney (interpretata da una convincente Lily James) all’interno del mondo tossico e predatorio della Silicon Valley dei primi anni Dieci. La narrazione mette in scena con efficacia la cultura da “brogrammer” che ha portato alla nascita di Tinder, dominato dal sessismo sistemico e tendente ad escludere a celebrazioni o eventi clou proprio la figura di Whitney, che pur aveva contribuito enormemente a quell’enorme exploit.
Dalle stelle alle stalle quando la relazione con uno degli altri “capoccia” finisce nel peggiore dei modi, tra minacce dirette e il muro messole davanti dagli altri membri uomini del direttivo, consanguinei di quel subdolo ex. La misoginia strisciante all’interno della società rischia di metterla da parte, fino a quando la protagonista non decide di reagire e di riprendere in mano la propria vita prima che sia troppo tardi.
All’inferno e ritorno
Proprio nella seconda metà di visione, Swiped trova la sua vera anima, con la caduta – attacchi di panico e paranoie inclusi – che diventa il presupposto per il riscatto. Si racconta la genesi di Bumble non solo come un’astuta mossa di marketing, ma come un vero e proprio atto di fede: la creazione di uno spazio digitale dove la donna, per la prima volta, detiene il potere della prima mossa.
La sceneggiatura sottolinea come l’algoritmo dell’app sia la diretta conseguenza del trauma vissuto dalla sua creatrice, un tentativo di mettere dei paletti e delle regole in un mondo, quello degli incontri online, ricco di incognite, di pericoli e di predatori.
La tensione è palpabile soprattutto in certi passaggi dove si acuisce il senso di ingiustizia in una realtà apertamente sessista, ma a tratti si ha l’impressione che il racconto preferisca optare per soluzioni di facili effetto senza arrivare effettivamente al cuore della storia. Swiped è comunque una visione interessante e in grado di accendere la giusta curiosità sulla vera vicenda alla base, importante nel suo relativo microcosmo sociale.
Il film è disponibile nel catalogo di Disney+.
Conclusioni finali
Vengono sacrificate le sfumature di un mondo complesso quale quello delle app di dating online in favore di una narrazione più convenzionale ed edificante. Non ci troviamo insomma davanti ad un nuovo The Social Network (2010), bensì di fronte ad un bio-pic semplice e leggero, anche nei suoi momenti sulla carta maggiormente tensivi.
Swiped non è solo il ritratto di una donna che ha cambiato le regole del gioco, ma un’analisi su come la realtà degli incontri – siano questi semplici avventure o l’inizio di relazioni più serie – sia stata rimodellata, nel bene e nel male, da linee di codice. Lily James si impegna al punto giusto, in quasi due ore di godibile, ma mai trascendentale, intrattenimento “impegnato” a tema.









