Narcos, la recensione no spoiler della serie tv che racconta di Pablo Escobar

Narcos 3

“Plata o plomo?”, una frase ripetuta spesso in “Narcos” e che più di ogni altra cosa rappresenta il clima di terrore che pervade la serie, un clima che mette a capo di tutto un uomo solo: Pablo Emilio Escobar Gaviria. Quella frase che significa “Argento o piombo?”, come a dire “la borsa o la vita” è il filo conduttore dell’intera narrazione: Escobar non si ferma davanti a niente e nessuno ed è disposto a uccidere, uccidere tanto, pur di ottenere i soldi, la fama, il potere, lo sfarzo tanto esagerato da mettere in soggezione chiunque. “Narcos” racconta tutto ciò riaccendendo i riflettori sulle vicende di uno degli uomini dal fascino criminale più spiccato; certo, lo fa in modo romanzato, ma il cambio del punto di vista è doveroso, puntando su una narrazione dal lato della polizia e non di Escobar. Riesce nel suo intento della non celebrazione dell’anti-eroe? Sì, ma la figura di Pablo è troppo ingombrante e non può non sovrastare le altre.

Narcos, la trama

Medellin, anni ’80: un giovane contrabbandiere di nome Pablo Escobar si fa strada nelle criminalità colombiana, ma ben presto la sua ambizione, la sua sete di potere e il suo genio criminale lo porteranno a una rapida e ripida ascesa fino alla cima di un’alta piramide che lui stesso ha costruito: il cartello di Medellin. Il resto è storia, una storia fatta di soldi e di sangue, di amori, di passioni, di corruzione, di violenza e di tanta, tantissima cocaina che risale la corrente per arrivare negli Stati Uniti d’America invadendoli letteralmente. Quel che non riuscì a fare Montezuma lo compie Escobar, che colonizza i caucasici yankee americani facendoli ammalare e morire mentre lui si arricchisce. La serie “Narcos” ripercorre in forma romanzata l’ascesa di Pablo, ne rappresenta la figura, la mente, l’anima realizzandone un ritratto che prende elementi reali e li unisce in un fittissimo mosaico come non era mai stato fatto in una serie tv.

L’opera di Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro mette appunto Escobar al centro, affidandone l’immagine a un monumentale Wagner Moura, un attore brasiliano dal talento eccezionale, ma gli fa gravitare attorno delle figure molto ben caratterizzate: in primis Juan Pablo Raba, che interpreta Gustavo, cugino e braccio destro di Pablo. Ma in linea teorica i protagonisti sono altri, ovvero Javier Pena (Pedro Pascal) e Stephen Murphy (Boyd Holbrook), due agenti della Dea (la polizia antidroga americana) realmente esistiti e che hanno giocato un ruolo fondamentale nella cattura di Escobar. La voce narrante è proprio di Murphy, un americano bianco, ben lontano dai tratti ispanici del suo collega Pena; si tratta di una scelta ben precisa, una metafora dell’occhio estraneo che entra in un mondo diverso e perverso, in cui un signore del male diventa capo popolo e da Medellin tenta di prendersi il mondo intero. E, forse, ci riesce.

Narcos, perché guardarlo

Che Narcos sia una serie fatta bene e che sia decisamente da consigliare a chi non l’ha ancora vista, è ovvio. Ma per convincere gli scettici è necessario argomentare e spiegare i motivi del successo di un’opera che no, non è la solita serie crime. L’errore, se così vogliamo definirlo, che commettono molte serie che parlano di criminalità è quello di portare lo spettatore a tifare per il cattivo di turno; Narcos invece cerca di spostare questi equilibri e tenta di farlo con un personaggio enorme com’è appunto Pablo Escobar. È possibile mettere Pablo al centro senza farlo essere il reale protagonista? Forse no, perché una personalità così forte non può non essere il protagonista della narrazione. Allora ecco l’escamotage per non renderlo un eroe, per evitare il tranello dell’imitazione: metterlo sì al centro, ma facendo risaltare il contrasto delle sue personalità. Wagner Moura rende perfettamente il Pablo ambivalente, quello sanguinario e spietato in contrapposizione a quello amorevole con la sua famiglia.

Questo contrasto così netto fa sembrare la sua parte cattiva ancora più cattiva e anche quando accarezza suo figlio non si può non pensare a quanta malvagità ci sia nell’animo di quell’uomo. Lo spettatore viene dunque senza dubbio rapito dal fascino di Escobar, ma finisce per fare il tifo per il duo Pena-Murphy, i veri eroi. Si prova dunque frustrazione quando Pablo elude gli interventi della Dea, quando da ricercato si scatta una foto davanti alla Casa Bianca, o quando Forbes lo inserisce nell’elenco degli uomini più ricchi del mondo. Una frustrazione che si fa concitazione, attesa spasmodica della conclusione della caccia all’uomo, che culmina così come la vera storia ha voluto. Non è dunque uno spoiler rivelare che Pablo viene catturato e ucciso, si tratta di cronaca. Ed è proprio questo stretto rapporto col corso storico degli eventi che dà forza alla serie, il contatto con la realtà senza lasciare che le necessità cinematografiche (seppur presenti) prendano il sopravvento.

L’atmosfera ci trasporta in Colombia, mentre il clima anni ’80 ci tiene per mano come in una docu-serie libera ma vera. In Narcos non ci sono solamente colpi di pistola e frasi a effetto, ci sono le contaminazioni dei grandi classici del crime come “Quei bravi ragazzi”, c’è una grande scrittura dietro e una gigantesca interpretazione ben visibile e tangibile. L’azione, il thriller e il crime si mescolano dando vita a un racconto fedele e intenso, da guardare tutto d’un fiato e che ci farà venire una gran voglia di farci crescere un paio di baffi canticchiando canzoni spagnole. “Soy el fuego que arde tu piel…”.

Narcos, perché non guardarlo

Per quanto si tratti di una serie assolutamente consigliata, Narcos non è esente da critiche che possono portare lo spettatore più scettico a rifiutarne la visione. Diciamo la verità, dopo la morte di Pablo nulla è più come prima. Se nelle prime due stagioni la figura del signore del male è centrale e fondamentale, come si può pensare di fare una terza stagione senza di lui? Il tentativo è apprezzabile e di certo porta dei lati positivi; senza Pablo, l’attenzione si sposta sul cartello di Cali, approfondendo le figure di don Gilberto e della sua banda permettendoci di conoscere altre sfaccettature delle organizzazioni malavitose della Colombia degli anni ’90. Al tempo stesso è Pedro Pascal, ovvero l’agente Pena, a prendere il comando della serie ed è qui che l’attore brilla ritagliandosi lo spazio che il suo carisma gli fa meritare pienamente.

La terza stagione è controversa, perché se è vero che centra questi punti è anche vero che non può non lasciare in bocca il costante sapore del ripiego, della necessità di rispondere alla domanda “E ora che si fa senza Pablo?”. E improvvisamente ci si accorge che, per quanto Pedro Pascal sia un bravo attore e che la Dea tenti di essere la protagonista, Escobar non può non essere la figura centrale dell’intera serie; serie che appunto viene un po’ meno con l’uscita di scena del re dei narcos. Un altro motivo per cui qualcuno potrebbe trovare faticosa la visione della serie è la lingua: tutto è in spagnolo. Vengono doppiate solo le parti in inglese, mentre per tutto il resto bisogna adattarsi con i sottotitoli.

A primo impatto, per chi è abituato a guardare le serie rigorosamente doppiate in italiano, è un piccolo choc perché seguire con attenzione le scene risulta complicato se nel frattempo si deve star dietro ai sottotitoli che scorrono in fretta. Bisogna abituarsi e andare avanti, fidandosi che ne varrà la pena, perché è proprio la lingua originale a rendere ancor meglio la piena atmosfera e a trasmettere la passionalità dei personaggi e dell’ambientazione. Non siamo tra quelli che prediligono esclusivamente i prodotti in lingua originale disprezzando i doppiaggi nostrani (tra l’altro tra i migliori al mondo), ma in questo caso sposiamo al 100% la scelta dei produttori, che così ci catapultano in Colombia e ci permettono di imparare una cospicua quantità di parolacce e imprecazioni in spagnolo, che possono sempre servire.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here