Marco d’Amore, monologo a Le Iene: “il palcoscenico ha placato la mia turbolenza. Sono Nessuno, uno che inventa storie per campare e esorcizzare il male” | Video Mediaset

Marco D’Amore, il celebre Ciro di Gomorra, è stato protagonista di un intenso monologo durante l’ultima puntata de Le Iene Show. Ecco le parole pronunciate dall’attore e regista.

Marco D’Amore a Le Iene: il suo monologo

La puntata de Le Iene di martedì 5 marzo 2024 ha visto Marco D’Amore protagonista di un monologo in cui ha parlato delle sue paure, insicurezze e di come il palcoscenico sia stato salvifico per lui. Il celebre Ciro della serie cult Gomorra si è raccontato a cuore aperto raccontando una parte inedita di se:

«Da bambino ero irruente, prepotente, scalmanato, ingestibile, sfrenato, come dannato. Poi un giorno ho poggiato i piedi su uno strano rettangolo di legno a pochi centimetri sul livello del mare, un luogo in cui era possibile sognare, immaginarsi re, cavaliere, parlare lingue mai udite, vivere altre vite».

Non solo, l’attore e regista confessa come il palcoscenico sia stato importantissimo nella sua vita a placare il suo animo ribelle: «il palcoscenico ha placato la mia turbolenza, mi ha insegnato a convogliare le mie energie, avere pazienza per orientarmi quando giro disperato intorno senza trovare il mio posto nel mondo»

Marco D’Amore, il Ciro di Gomorra si racconta a Le Iene

Il monologo di Marco D’amore, il regista di film come “L’immortale”, è proseguito a Le Iene così:

«Tutte le volte che dicevano che ero sbagliato, che ero ingrassato, che avevo troppi capelli da ragazzo e adesso in testa non c’ho nulla là sono tornato. La mi sono rintanato, ho sentito più comprensione e amore tra i fantasmi nascosti nelle quinte, nel sottopalco, sul loggione che nella frenesia dell’esistenza nella sua indifferenza. Quanta gente come me ho incontrato, inmalinconita dalla vita, additata perchè diversa, bandita».

Sul finale l’attore e regista ha spiegato come il suo mestiere sia il posto più sicuro dove tornare, sempre:

«Ma se ha ragione d’essere il mio mestiere, se raccontare storie accende una luce e a loro che voglio dar voce. A quelli che non hanno alcun potere, non sono eroi, che si rialzano pur tornando a cadere. A quelli parlo, a quelli sono più vicino anche se in realtà io sono Nessuno. Solo uno che inventa storie per campare, per esorcizzare il male che sogna le avventure, le armi, gli amori, le passioni accese da bollenti furori. Uno che al terzo atto, prima del finale, proteso verso la platea attenta ad ascoltare sussurra “ho solo amato, amo ed amerò anche ora che muoio. E adesso buio».

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