Il problema dei 3 corpi, la recensione (no spoiler) della serie di fantascienza dell’anno

Il problema dei 3 corpi

Non esageriamo nel dire che Il problema dei 3 corpi è stata tra le serie più attese della stagione, e non soltanto dagli amanti della fantascienza. Partita con grandi ambizioni, è finalmente sbarcata su Netflix in otto episodi la prima stagione di un progetto ricco di spunti e idee, adattamento della popolare serie di romanzi, editi in Italia da Mondadori, di Cixin Liu: una trilogia che ha entusiasmato, pur con qualche voce fuori dal coro, milioni di lettori in ogni angolo del mondo.

Il problema dei tre corpi, la trama

La storia ha inizio a Pechino a metà degli anni Sessanta, in piena rivoluzione culturale. Ye Wenge, figlia di un accademico costretto a negare la teoria del Big Bang in quanto di matrice americana, vede il genitore essere ucciso davanti ai propri occhi, con una folla sbraitante che gli urlava contro mentre le guardie rosse lo percuotevano violentemente, portandolo al decesso. La ragazza viene poi deportata e mandata a lavorare in una misteriosa struttura al di fuori della città, dove avrà luogo un evento fondamentale per l’intera umanità.

Ai giorni nostri il detective Da Shi sta indagando su una misteriosa serie di suicidi: a togliersi la vita sono geniali fisici e scienziati, che uno dopo l’altro hanno deciso inspiegabilmente di farla finita. Le indagini lo conducono fino ad un gruppetto di amici e colleghi che hanno appena partecipato al funerale di una loro amica, scomparsa proprio in tali circostanze. Una di loro entrerà in possesso di un rivoluzionario dispositivo per la realtà virtuale, che la trasporta in un mondo immaginario dove durante i vari livelli dovrà risolvere il cosiddetto enigma dei tre corpi, al fine di salvare una generazione di individui. Nel frattempo altri strani fenomeni, come un inquietante countdown che compare davanti agli occhi di una sua amica e un fenomeno tanto suggestivo quanto inspiegabile nel cielo notturno, sembrano condurre a qualcosa di ultraterreno: una razza aliena è pronta a comunicare con noi, o forse l’ha già fatto?

Perchè guardare Il problema di tre corpi

David Benioff e D. B. Weiss hanno avuto carta bianca da Netflix e non poteva essere altrimenti dato che precedentemente erano stati al lavoro su una delle serie simbolo del ventunesimo secolo, ovvero Game of Thrones/Il trono di spade. Per quanto segnata da una stagione finale assai discussa, la loro epopea fantasy prodotta per conto di HBO ha entusiasmato il pubblico per anni e anni, ridefinendo i connotati del genere e segnando nuovi standard per i kolossal sul piccolo schermo.

Anche in questo caso i due mastermind hanno deciso di adattare una formula vincente già in forma letteraria: se già erano le epiche pagine di George R.R. Martin, qui è la contorta vicenda extraterrestre di Cixin Liu a fungere da base, in un’opera non certo semplice in fase di trasposizione. In primis perché i tre libri erano ambientati per gran parte in terra cinese, con un sacco di personaggi e riferimenti alla cultura autoctona, e in secondo per via del gran numero di situazioni e nozioni scientifiche potenzialmente indigeste al pubblico casual. Ne era già stata tratta un’ottima serie indigena prima che sulla piattaforma di streaming facesse la sua comparsa questa versione “occidentalizzata”, che sin da subito ha conquistato il primo posto dei titoli più visti sulla piattaforma.

Con un cambio di etnia e di identità per molti dei personaggi principali, chi ha letto il romanzo potrebbe rimanere inizialmente spiazzato ma va dato atto che la semplificazione, necessaria per arrivare a una platea più ampia possibile, è stata meno indolore del previsto, con gli eventi chiave ricreati con una certa fedeltà ed effetti speciali all’altezza. Allo stesso modo il senso di mistero e di scoperta regge bene per tutta la prima parte, complice i due piani temporali che si intrecciano, toccando l’apice nella quinta puntata, dove si svela infine il reale pericolo con il quale l’umanità avrà da fare per molto, molto tempo. Un calo fisiologico negli ultimi episodi, più concentrati sull’anima melodrammatica e sentimentale, fino ad una conclusione parzialmente incolore, che lascia ovviamente tutte le porte aperte in attesa di una seconda stagione che, come chi conosce già la storia ben saprà, avrà tanto altro da dire.
Due parole sulla messa in scena, di ottimo livello e con alcune sequenze davvero suggestive e con un inaspettato afflato poetico / visionario, con tanto di mondo virtuale rappresentato con dovizia di mezzi: tutto ciò che si poteva fare dal punto di vista estetico è stato fatto e lo spettacolo non manca di certo. E anche il cast, nonostante le succitate modifiche alle figure principali, può contare su interpreti di rilievo: su tutti citiamo Liam Cunningham, Jonathan Pryce e Benedict Wong, punte di diamante in un cast eterogeneo e per gran parte azzeccato, con qualche rara eccezione.

Il problema dei tre corpi, perché non guardarla

Già nel precedente paragrafo abbiamo introdotto alcuni degli spunti potenzialmente più deboli dell’operazione, a cominciare da un eccessivo snellimento di alcune matasse fisiche e scientifiche, che nel romanzo – ma anche nella stessa serie cinese – erano introdotte in maniera più approfondita. Proprio la sceneggiatura sembra rincorrere in maniera anche fin troppo esasperata le pagine del romanzo, con alcuni eventi “anticipati” e personaggi che assumono ruoli impensabili: è d’altronde una forzatura, comprensibile sì ma forzatura rimane, il fatto che la vicenda ruoti quasi unicamente intorno al nucleo di amici protagonisti, quando sulle pagine scritte il senso di universalità era ben maggiore e la connessione tra i diversi personaggi era meno facile e scontata, dando un’idea di maggior globalità e organicità del racconto.

Nel medesimo modo i repentini cambi di idee e prospettive di alcuni dei protagonisti sono schiavi di un’evoluzione obbligata in determinati paletti narrativi, fin troppo stringenti e assimilanti nella loro rigidità. La svolta sentimentale e retorica di un paio di puntate, per quanto efficace nella sua ricerca di emozioni struggenti, è la conferma di una gestione non sempre oculata dell’enorme materiale a disposizione, con la rincorsa all’evento clou della mid-season che ha poi lasciato le briciole alla conclusione di questa prima stagione, ad ogni modo promossa nonostante alcuni evidenti difetti che speriamo vengano smussati nel prosieguo.

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