Intervista a Gegè Telesforo: “Quelli della notte ha segnato un nuovo modo di fare televisione. La musica di oggi non mi emoziona, manca la melodia”

Gegè Telesforo

A distanza di dieci anni dalla prima pubblicazione, in Italia è uscita la versione rimasterizzata di “Fun Slow Ride”, l’album del vocalist e polistrumentista Gegè Telesforo. L’album vede la partecipazione di oltre venti musicisti e cantanti di talento della nuova generazione, tra cui spiccano nomi come Alan Hampton, Joanna TetersSachal VasandaniMoses PatrouAinèGreta PanettieriAmeen SaleemMax IonataAlfonso Deidda e Pasquale Strizzi, oltre alla partecipazione di Ben Sidran come autore e voce narrante in Let The Children.

Noi di SuperGuida TV abbiamo intervistato in esclusiva Gegè Telesforo. L’artista ha parlato del progetto: “Fun Slow Ride è una produzione realizzata circa dieci anni fa per l’importante etichetta discografica americana RopDop, con distribuzione italiana affidata a una società con cui il contratto si è concluso da oltre cinque anni. Per questo, insieme a Roberto Ramberti, che è anche il mio produttore e agente, abbiamo deciso di ripubblicare l’album in Italia in una versione rimasterizzata. Non abbiamo toccato nulla dell’opera originale: nessuna traccia riaperta, nessun remix, ma solo un intervento sul suono per renderlo più contemporaneo e permettere soprattutto ai più giovani di vivere e apprezzare al meglio questa produzione straordinaria sui supporti attuali”. 

Con Gegè abbiamo parlato anche del successo di “Quelli della notte” di Renzo Arbore. L’artista prova un senso di nostalgia per quella televisione: “La nostalgia non riguarda il fatto che Quelli della Notte non si faccia più, ma piuttosto che non si producano più programmi di quel tipo. È la nostalgia di ritrovarsi tutti insieme davanti alla televisione, perché non vuoi perderti un’occasione speciale. Quelli della Notte ha rappresentato proprio questo: ogni puntata era diversa, unica, e accadevano cose assolutamente improvvisate, anche se si partiva da canovacci. C’erano personaggi allora sconosciuti e improbabili che oggi sono considerati protagonisti della televisione e dell’intrattenimento del nostro Paese, come Nino Frassica o la mia amica Marisa Laurito. Lo ricordiamo come una produzione straordinaria, eppure era composto da poche puntate, circa una trentina, andate in onda in appena quattro settimane. Eppure ha introdotto un nuovo linguaggio, un nuovo modo di fare televisione, di parlare e di rapportarsi al pubblico. Tutto questo grazie alla guida e alla visione di Renzo Arbore e di Ugo Porcelli, suo storico braccio destro, autore formidabile e tra i più attenti produttori radiotelevisivi in assoluto”. 

Proprio Arbore negli ultimi tempi è stato accostato parecchio a Stefano De Martino definito il suo erede. Gegè a tal proposito ha commentato: “Da un punto di vista artistico, siamo un po’ tutti eredi di Renzo, tutti suoi “figli”. Stefano è molto bravo: per fare televisione in quel modo e ottenere consenso bisogna esserlo. È vero però che, in programmi come Affari tuoi, questa eredità artistica emerge meno rispetto ad altre trasmissioni in cui ha dimostrato maggiormente la sua cifra personale”. 

Gegè Telesforo, intervista esclusiva al cantautore

Gegè, hai deciso di rimasterizzare Fun Slow Ride. Come mai e cosa hai apportato di nuovo rispetto all’originale? 

Fun Slow Ride è una produzione realizzata circa dieci anni fa per l’importante etichetta discografica americana RopDop, con distribuzione italiana affidata a una società con cui il contratto si è concluso da oltre cinque anni. Per questo, insieme a Roberto Ramberti, che è anche il mio produttore e agente, abbiamo deciso di ripubblicare l’album in Italia in una versione rimasterizzata. Non abbiamo toccato nulla dell’opera originale: nessuna traccia riaperta, nessun remix, ma solo un intervento sul suono per renderlo più contemporaneo e permettere soprattutto ai più giovani di vivere e apprezzare al meglio questa produzione straordinaria sui supporti attuali. 

È un album che, all’epoca, mi ha dato molto filo da torcere: per realizzarlo coinvolsi oltre una ventina di musicisti e straordinari vocalist, americani e non, registrando in diversi studi tra Italia, New York e Londra. Due anni di lavoro intenso che oggi tornano finalmente disponibili su tutte le piattaforme, per il piacere di chi vorrà ascoltarlo. Una produzione ricca di temi importanti e di musicisti formidabili che, negli ultimi dieci anni, hanno confermato pienamente il loro talento e valore. 

E’ un album che affronta anche temi sociali. Come si integra tutto questo in musica? 

È quello che, in fondo, dobbiamo fare come artisti e come musicisti: trasmettere il nostro pensiero e le nostre emozioni. Lo facciamo attraverso la musica, così come gli scrittori lo fanno con i loro libri. Musicalmente è forse più complesso, perché alla musica ognuno può attribuire un significato diverso. Per questa produzione, però, abbiamo scelto di accompagnare la musica anche con testi importanti, come Let the Children, una composizione che ho scritto pensando al lavoro svolto come Goodwill Ambassador di UNICEF. È un brano dedicato ai bambini, con un testo ispirato a un passo di Khalil Gibran, poi rielaborato in modo originale da un grande musicista e autore come Ben Sidran, che ha fatto un lavoro davvero straordinario. Gli altri testi sono stati curati insieme a Greta Panettieri e ad Alan Hampton, che non è solo un compositore formidabile, ma anche uno dei migliori musicisti americani e, allo stesso tempo, uno dei miei cantanti preferiti. 

Nel 1985 debuttò la prima puntata di Quelli della notte di Renzo Arbore. Provi oggi un po’ di nostalgia? 

La nostalgia non riguarda il fatto che Quelli della Notte non si faccia più, ma piuttosto che non si producano più programmi di quel tipo. È la nostalgia di ritrovarsi tutti insieme davanti alla televisione, perché non vuoi perderti un’occasione speciale. Quelli della Notte ha rappresentato proprio questo: ogni puntata era diversa, unica, e accadevano cose assolutamente improvvisate, anche se si partiva da canovacci. C’erano personaggi allora sconosciuti e improbabili che oggi sono considerati protagonisti della televisione e dell’intrattenimento del nostro Paese, come Nino Frassica o la mia amica Marisa Laurito.  Lo ricordiamo come una produzione straordinaria, eppure era composto da poche puntate, circa una trentina, andate in onda in appena quattro settimane. Eppure ha introdotto un nuovo linguaggio, un nuovo modo di fare televisione, di parlare e di rapportarsi al pubblico. Tutto questo grazie alla guida e alla visione di Renzo Arbore e di Ugo Porcelli, suo storico braccio destro, autore formidabile e tra i più attenti produttori radiotelevisivi in assoluto. 

Il tuo primo incontro con Renzo Arbore lo ricordi? 

Ricordo molto bene il nostro primo incontro professionale, anche se in realtà credo di averlo incontrato già da ragazzino. Renzo è foggiano come me e mio padre, appassionato di jazz, suonava il sax tenore, proprio come Renzo suonava il clarinetto. Da giovani frequentavano lo stesso ambiente musicale e suonavano nella stessa band ai tempi del liceo. Così, da bambino, mi capitava di vederlo quando tornava a Foggia e passava a casa nostra: ricordo questo signore che raccontava storie di radio e televisione.  Anni dopo, a Roma, mentre fallivo la mia “missione” come studente di Economia e Commercio, perché di notte giravo per club e facevo più lezioni di musica che di statistica ed economia, rincontrai Renzo proprio in un locale. Fu lui a propormi di partecipare a un’audizione con il maestro Gianni Mazza come batterista per una sua produzione televisiva. Da lì è nata una lunga amicizia e una carriera condivisa, fatta di tanti momenti importanti: concerti bellissimi all’estero, in luoghi prestigiosi, spettacoli, molta televisione, sia come conduttore e co-conduttore dei programmi di Renzo, sia come autore. Collaboriamo così da oltre quarant’anni e, ogni volta che c’è l’occasione di tornare a lavorare insieme, lo facciamo sempre con grande piacere ed entusiasmo. 

Oggi, si dice che De Martino sia il suo erede. 

Il fatto è che De Martino ha dichiarato apertamente il suo amore e la sua stima per Renzo, senza nascondere che i suoi programmi televisivi si ispirano a quel mondo. Di eredi, però, Renzo ne ha tanti: non c’è solo De Martino. Per me sono eredi tutti coloro che oggi fanno radio e televisione con una nuova mentalità e un nuovo modo di intendere il mezzo. Potremmo dire che anche Fiorello è un erede di Renzo, così come lo sono tutti quelli che fanno radio oggi con un approccio più libero, scanzonato e divertente, dove c’è spazio per l’umorismo, da Lillo e Greg a molti altri.

Se non ci fossero stati Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, probabilmente la radio oggi sarebbe ancora quella di una volta, fatta di testi scritti e presentazioni impostate. Invece la radio, nella maggior parte dei casi, si fa a braccio, fatta eccezione per alcuni programmi di informazione e notizie. Da un punto di vista artistico, siamo un po’ tutti eredi di Renzo, tutti suoi “figli”. Stefano è molto bravo: per fare televisione in quel modo e ottenere consenso bisogna esserlo. È vero però che, in programmi come Affari tuoi, questa eredità artistica emerge meno rispetto ad altre trasmissioni in cui ha dimostrato maggiormente la sua cifra personale. 

Nel 1986 avevi partecipato con Renzo Arbore al Festival di Sanremo. Che ricordi conservi di quell’esperienza? 

È stata un’esperienza divertentissima, anche perché non avevo la responsabilità di salire sul palco per cantare una mia canzone o di essere il protagonista. Accompagnavamo Renzo insieme ad altri amici: eravamo in quattro sul palco, il quartetto Senape, ovvero tre amici e il cognato, così ci presentava Renzo. Fu tutto vissuto come un gioco, un vero divertimento. Andammo lì con l’unico obiettivo di divertirci, senza immaginare minimamente che Renzo sarebbe arrivato secondo in quell’edizione, poi vinta da Eros Ramazzotti. 

La musica di oggi la segui? C’è qualche artista che ti piace?

La musica di oggi la seguo così come seguo quella di ieri, e sono attento anche a ciò che arriverà in futuro. Non seguo la musica perché la ascoltano gli altri: ho i miei percorsi e seguo gli artisti e i suoni che mi interessano e mi piacciono. Se mi chiedi della musica italiana o del pop contemporaneo, ti rispondo che non la seguo con attenzione; lo faccio solo distrattamente, ascoltando la radio, perché sinceramente non mi emoziona. Non è questione di essere “vecchio”: per me la musica deve prima di tutto emozionare. Ci sono artisti contemporanei di grande talento che mi sorprendono, ma quando ascolto una canzone voglio godermi il testo e una bella melodia. Purtroppo oggi spesso manca il senso della melodia: c’è solo cantilena, e ritmicamente e armonicamente trovo molte cose noiose. Lo dico senza problemi, semplicemente perché il cuore della musica, secondo me, è l’emozione. 

Progetti per il 2026? 

Ho appena concluso una tournée di 150 concerti in tre anni con la mia nuova produzione per la RopDop americana, l’album Big Mama Legacy. Ho chiuso il tour con grande soddisfazione all’International Jazz Festival in Bahrain, sul main stage, accanto a grandi artisti americani e colleghi di tutto il mondo. Due giorni fa ho già iniziato le prove per un nuovo progetto che partirà tra fine febbraio e i primi di marzo, nei teatri in Italia e all’estero. Questa nuova produzione avrà anche una seconda fase come vero e proprio show teatrale. Naturalmente resteranno possibili anche altre esperienze in radio e televisione, ma io cerco sempre di mantenermi libero di fare ciò che sento sulla pelle, scegliendo progetti che mi divertono e che mi permettono di esprimere artisticamente la mia gioia e il mio entusiasmo.

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