Fantasma in guerra: il thriller politico su un’infiltrata nell’ETA – Recensione

Fantasma in guerra

Spagna, anni ’90. Amaia è una giovane agente della Guardia Civil che accetta quella che si rivelerà essere la missione più lunga e psicologicamente devastante della sua vita: infiltrarsi nell’ETA, l’organizzazione terroristica basca che per decenni ha insanguinato la Spagna con attacchi, omicidi mirati e attentati. La sua missione è localizzare i depositi segreti di armi ed esplosivi che l’organizzazione mantiene nel sud della Francia, lontano dai radar delle autorità spagnole, e identificare i principali esponenti del gruppo che vivono nascosti oltre confine.

Per farlo assume una nuova identità e si immerge nell’ambiente criminale, dove non potrà fidarsi di nessuno e rimanere costantemente vigile, ogni piccolo errore potrebbe costarle la vita. Il tenente colonnello Castro è il suo unico contatto con il mondo reale, l’uomo che coordina l’operazione da lontano e che la guida attraverso anni di solitudine e paura. Ma più scorre il tempo e più il pericolo per la protagonista di Fantasma in guerra aumenta.

Fantasma in guerra: sola contro tutti – recensione

Il film ha il grosso handicap di arrivare a soltanto pochi mesi di distanza da Undercover (2024) di Arantxa Echevarría, altro thriller spagnolo basato su una donna che si infiltrava nell’ETA, un grande successo sia al botteghino che ai premi Goya. E mettendo a confronto le due opere, Fantasma in guerra esce sconfitto, anche se non con le ossa rotte.

La coincidenza temporale è inevitabile e messe a confronto le due pellicole è la prima a risultare maggiormente incisiva, ma la seconda può rivelarsi un intrattenimento godibile per chi non avesse visto il prototipo, anche considerando che a differenza del suddetto, ad oggi ancora inedito in Italia, Fantasma in guerra è visionabile da tutti gli abbonati Netflix.

Tra vero e falso

Pur ispirandosi a drammatici eventi reali che hanno sconvolto la società spagnola, la sceneggiatura fonde questo materiale così sensibile con elementi fittizi per creare un’opera che cerca di tenere alto il ritmo e il livello d’intrattenimento senza sacrificare l’impegno e il resoconto storico.

Ponderata è stata la scelta da parte del regista e sceneggiatore Agustín Díaz Yanes di privilegiare l’atmosfera e la tensione psicologica rispetto all’azione esplosiva. Si costruisce un film a fuoco lento dove la violenza, quando arriva, è frutto della calma che la precede, la classica quiete precedente la tempesta. Filmati d’archivio degli attentati e delle enormi manifestazioni di piazza si alternano per conferire una verosimiglianza cronachistica più o meno attinente al racconto.

Dove Fantasma in guerra è nella gestione dei personaggi, principali o secondari che siano. Nonostante l’impegno evidente di Susana Abaitua, la stessa Amaia è scritta in modo unidimensionale, priva di quelle sfumature emotive e psicologiche che una missione così cruciale ed estenuante dovrebbe comportare: vedere a riguardo il già citato Undercover, dove la protagonista aveva ben altra, tormentata, personalità. Una scelta che smorza anche la suspense e l’immedesimazione da parte del pubblico, conscio che di reali insidie la coraggiosa infiltrata nel correrà ben poche.

Conclusioni finali

Un thriller politico che racconta l’infiltrazione di un’agente della Guardia Civil nell’ETA durante gli anni ’90 e 2000, operazione durata oltre un decennio con l’obiettivo di localizzare i nascondigli dell’organizzazione terroristica basca nel sud della Francia. Uscito dopo il ben più riuscito Undercover (2024), quest’esclusiva Netflix privilegia l’atmosfera e la suspense psicologica rispetto all’azione.

Una storia con discreti spunti che paga alcune debolezze narrative, a cominciare dalla caratterizzazione della stessa protagonista fino a un contorno sin troppo limitato di “buoni e cattivi”. La tensione si mantiene in ogni caso su buoni livelli e Fantasma in guerra si rivela una visione godibile seppur mai trascendentale.

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