The Nun II: un sequel horror prevedibile ma godibile – Recensione

The Nun II

Il The Conjuring Universe nell’ultimo decennio ha monopolizzato il filone dell’horror contemporaneo, con ben nove titoli usciti ad oggi che vanno a comporre questa saga raccogliente altre saghe – oltre all’omonima, ricordiamo la trilogia della bambola Annabelle, lo stand-alone ispirato al folklore sudamericano La Llorona e il dittico dedicato alla suora demoniaca.

E in quest’occasione siamo qui a parlare proprio di The Nun II, arrivato nelle sale a cinque anni dall’originale e recentemente sbarcato nel catalogo di Netflix. Un personaggio ormai entrato nell’immaginario comune, anche non strettamente cinefilo, quello di Valak, che dietro l’abito da religiosa nasconde quelle spaventose fattezze. Dal film precedente tornano anche i principali protagonisti, con Suor Irene e Maurice che si ritrovano a dover affrontare il Male ancora una volta.

The Nun II: sfida al diavolo – recensione

Il prologo ci accompagna nella cittadina che sarà il principale teatro degli eventi, ovvero la piccola comunità di Tarascon, in Francia. Siamo nel 1956 e la drammatica morte di un sacerdote, in circostanze sovrannaturali e crudeli, spingono la Chiesa a cercare di vederci chiaro, collegando il caso ad altre fresche morti di religiosi in giro per l’Europa. Per questo motivo viene chiesto a Suor Irene – che stava cercando di dimenticare le terribili esperienze vissute nel recente passato all’interno di quel convento dove ha trovato nuova pace – di intervenire personalmente, in quanto la sola ad avere sconfitto, almeno momentaneamente, il demone dietro l’incubo.

Scopre così che Maurice, che ora lavora come aiutante nel monastero locale, è legato direttamente alla vicenda e che la maledizione si è impossessata di lui, costringendolo a compiere violenze per conto del demone. E fermare Valak questa volta sarà ancor più complicato…

Le origini del male

In questo episodio, che si ricollega poi nell’epilogo direttamente ai futuri The Conjuring, viene tirata in ballo la leggenda di Santa Lucia di Siracusa, santa e martire cristiana patrona dei ciechi, e come scoprirà ben presto il pubblico la risoluzione dell’enigma ruota proprio intorno a una reliquia a lei relativa. The Nun II mischia sacro e profano con una certa irriverenza, avendo il merito di non prendersi troppo sul serio e di esagerare quando necessario, garantendo cento minuti all’insegna di un intrattenimento senza troppe pretese.

La sceneggiatura è certamente ingenua e non avara di forzature, ma la gestione dei jump-scare e delle atmosfere, con le scene madri che puntano su un senso di immaginifico coadiuvate da buoni effetti speciali, evitano tempi morti di sorta. Il gradito come-back dei personaggi di Taissa Farmiga e Jonas Bloquet non può che far piacere a chi ha apprezzato il capostipite, mentre Bonnie Aarons nelle diaboliche vesti di Valak ha sempre il suo perché.

Una struttura narrativa semplice, con figure secondarie che hanno un ruolo archetipico ben preciso e i momenti di paura che arrivano quando previsto, rendono il tutto sicuramente prevedibile e chi è in cerca di qualcosa di originale potrebbe restare deluso, ma sapendo già cosa aspettarsi il film svolge il suo compito spaventevolmente ludico con discreta efficacia.

Conclusioni finali

La suora demoniaca per eccellenza è tornata in un sequel che non si discosta poi molto dalle linee guida dell’originale, con tutti i pro e i contro del caso. Suor Irene deve riaprire le porte di quel passato con cui sperava di aver chiuso definitivamente in un racconto che non offre particolari sorprese ma è al contempo godibile nella sua verve familiare, tra jump-scare d’ordinanza e un immaginario religioso consolidato.

Qui “si scherza coi fanti, senza lasciare stare i santi“, anche se di ironico c’è ben poco in un racconto dove il Male minaccia la piccola comunità francese,  palcoscenico della resa dei conti tra la protagonista e la sua spietata nemesi. The Nun II compensa la scarsa originalità con un’atmosfera piacevolmente tetra e con giocosi jump-scare di stampo classico, tra croci infuocate e possessioni di routine, per un lineare divertimento di genere tra sacro e profano.

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