“I fantastici 5”, intervista a Raoul Bova: “In futuro sogno delle Olimpiadi in cui atleti paralimpici e olimpici possano gareggiare insieme”

Raoul Bova

Lo sport come veicolo di inclusione sociale. E’ questo il bellissimo messaggio che vuole trasmettere la nuova serie Mediaset “I fantastici 5”, in onda dal prossimo 17 gennaio. Protagonista della serie, Raoul Bova, nei panni di Riccardo, allenatore di una squadra di atleti diversamente abili che si preparano per il campionato europeo di atletica. Per Riccardo questa è l’occasione che stava attendendo per rilanciarsi ad alti livelli.

“I fantastici 5”, intervista a Raoul Bova

Noi di SuperGuida TV abbiamo video intervistato in esclusiva Raoul Bova. L’attore ci ha parlato del suo personaggio, Riccardo, e degli aspetti che lo accomunano a lui: “A Riccardo mi accomuna una po’ di follia positiva, quella voglia di sorridere, di vedere sempre il lato positivo delle cose, di non sprofondare troppo. Riccardo vive con la gioia che gli trasmettono i bambini e che lui ha trasmesso poi nell’approccio con gli atleti paralimpici”.

Nella serie, lo sport è inclusione, spirito di squadra. Ancora oggi però sembra esistere una netta discriminazione tra atleti olimpici e paralimpici. In futuro, Raoul Bova sogna delle Olimpiadi in cui tutti possano gareggiare senza distinzioni: “Credo che la disabilità fisica non debba essere presa in considerazione. Secondo me bisognerebbe fare le Olimpiadi tutti insieme, ciascuno nella loro categoria. La distinzione tra Olimpiadi e Paralimpiadi è già di per sé una discriminazione. Credo che l’entusiasmo che uno spettatore prova nel guardare una performance sportiva è esattamente lo stesso. Spesse volte alle Paralimpiadi mi sono ritrovato a fare il tifo per i nostri atleti perché sentivo lo spirito di condivisione con la nostra Nazione. E’ arrivato il momento che si abbattano le barriere”.

Prima di fare l’attore, Raoul Bova è stato uno sportivo. Ad un certo punto della sua vita però lo sport si era trasformata per lui in un’ossessione: “Sì è successo. Ho capito che si era trasformato in un’ossessione quando la vittoria era importante per fare contente le persone che mi erano vicine. Quando si è piccoli in particolare si tende a fare sport per compiacere i genitori o per venire accettato da un gruppo ma anche per essere maggiormente presi in considerazione. Crescere vuol dire avere qualcuno accanto che ti fa capire che lo devi fare in primis per te stesso, per divertirti. Spesse volte un campione non vince perché non è felice”.

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