L’adolescente Quinn Maybrook e suo padre, il dottor Glenn Maybrook, arrivano nella cittadina di Kettle Springs sperando in un nuovo inizio dopo una tragedia familiare. La comunità è uno di quei classici centri urbani americani in declino economico, reduce dall’incendio alla fabbrica locale di sciroppo di mais che ha fatto perdere posti di lavoro e ricchezza.
In Il clown di Kettle Springs la tensione tra gli adulti e i ragazzi è palpabile e non si respira una bell’aria tra le strade. Quinn entra a far parte di un gruppo di coetanei capeggiato da Cole, ricco erede dell’impero Baypen, che trascorrono gran parte del loro tempo a girare video horror per YouTube usando come protagonista Frendo, la mascotte clownesca che un tempo rappresentava i fasti della cittadina. Ma quando un vero killer vestito da pagliaccio comincia a massacrare gli abitanti di Kettle Springs, il confine tra finzione e realtà si dissolve in un crescendo di violenza sempre più brutale.
Il clown di Kettle Springs: maschere e pugnali – Recensione
Una volta tanto uno slasher prende spunto da un romanzo: la storia alla base di Il clown di Kettle Springs nasce infatti sulle pagine scritte da Adam Cesare, autore americano alla sua prima incursione nel filone young-adult. Dietro alla macchina da presa troviamo invece Eli Craig, regista in passato di un altra opera affine e di discreto successo, ovvero Tucker and Dale vs. Evil (2010).
A tratti si cercano suggestioni metacinematografiche alla Scream, con il nucleo di figure principali che girano in prima persona finti video amatoriali di quell’assassino che poi diventerà fatalmente reale; un sottotesto interessante, anche se ovviamente non esplorato come nella lunga e intelligente saga di Ghostface. E allora qua la si butta sulla leggerezza, sempre e comunque considerando il contesto horror e quindi con dovizia di esecuzioni splatter in gran numero, con il sangue che scorre copioso senza però dar vita a scene mai effettivamente disturbanti, guardando allo stile anni Ottanta e Novanta per offrire un giocoso intrattenimento emoglobinico, accessibile a un più ampio range di pubblico.
Misteri e segreti a cavallo di generazioni
La stessa presenza dei clown, topoi ricorrente e ormai archetipico, viene utilizzata con una certa intelligenza, tirando in ballo tradizioni secolari che da tempo immemore governano le logiche di quella cittadina americana, anch’essa richiamante location volutamente stereotipate per ambientarvi la gustosa mattanza in divenire. Come ogni regola degli slasher, la maggior parte dei personaggi sarà sfruttata unicamente come carne da macello, concentrandosi su un paio di elementi principali e in particolare sulla giovane Quinn, effettiva alpha e omega del racconto interpretata con la giusta spontaneità dall’attrice canadese Katie Douglas.
Qualcuno potrebbe lamentare il fatto che la sceneggiatura, e di rimando l’opera alla base, sia estremamente derivativa, ma questo più che un limite appare come una scelta ben precisa, per accompagnare lo spettatore-fan in una vicenda dai toni tanto prevedibili quanto diabolicamente rassicuranti. Il clown di Kettle Springs non vuole raccontare nulla di nuovo e non era certo quello il suo intento, proponendosi come slasher “autocosciente” di cosa è di a chi si rivolge.
Conclusioni finali
Un ritorno allo slasher classico che funziona discretamente quando abbraccia le proprie radici di genere ma che prende dei piccoli inciampi quando cerca di essere più intelligente di quanto la sceneggiatura effettivamente nasconda tra le sue righe. Una serie di uccisioni ben orchestrate, un ritmo serrato quanto basta e l’ambientazione classica in una cittadina degli States dimenticata da Dio fanno il resto.
Il clown di Kettle Springs diverte a patto di non essere preso troppo sul serio, rinfocolando le regole più canoniche del filone tramite la figura archetipica del clown, babau per eccellenza, qui legato a tradizioni e segreti che aleggiano in quella comunità dove lo scontro generazionale non si limita a un castigo o a una nota sul registro.









