I 5 film classici italiani da non perdere

FILM Rocco e i suoi fratelli del 1960

Proseguiamo il nostro percorso alla scoperta dei capolavori della Settima Arte con un nuovo speciale, questa volta dedicato ai film italiani da vedere almeno una volta nella vita. Solo cinque in quest’occasione (e quindi non deve stupire l’assenza di altri classici) che ripercorrono periodi storici, politici e sociali che hanno influenzato la storia del nostro Paese anche attraverso il mezzo cinematografico.

5 film classici italiani da non perdere

Eccovi un elenco di 5 film classici italiani da non perdere. Quelle scelti dalla nostra redazione sono: Roma città aperta, Rocco e i suoi fratelli, Deserto rosso, In nome del popolo italiano e Profondo rosso.

Roma città aperta (1945)

Nella Roma occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale si intrecciano le vicende di diversi personaggi: da una vedova amante di un partigiano a un ingegnere comunista fino a un simpatico prete che aiuta i movimenti ribelli.

Uno dei film simbolo del Neorealismo, diretto da Roberto Rossellini, è un crudo affresco di una delle pagine più nera della storia d’Italia. Girato in ristrettezze economiche, ma comunque perfetto nel suo minimalismo, è il ritratto mai così vero e spontaneo di un popolo, vista la recente fine del conflitto. Il lato romanzesco che viene appena accennato non travalica il forte sapore di denuncia e indignazione che traspare da ogni immagine, soprattutto nelle laceranti scene di tortura finali e il cast capitanato da Anna Magnani e Aldo Fabrizi è a livelli di pura eccellenza.

Rocco e i suoi fratelli (1960)

Una famiglia lucana si trasferisce a Milano, dove abita già da tempo uno dei fratelli. Tra liti, incomprensioni e crisi economica, ben presto i rapporti si compromettono inevitabilmente, fino a una tragica conclusione.

Melodramma sontuoso, intenso e potente, sorretto da un cast in forma straordinaria comprendente, tra i tanti, Claudia Cardinale e Alain Delon. Rappresentando le contraddizioni tra due mondi diversi, tra la difficoltà dell’integrazione e l’incomunicabilità di caratteri agli antipodi, Luchino Visconti ci regala una grande pagina di Cinema. La lunghezza corposa è necessaria per calare al pieno in questa storia a tinte forti, anche cause di censure e processi mediatici e non allo stesso regista. Ma le disavventure di Rocco e i suoi fratelli sono assunte a pagine immortale di un tempo che fu, non poi così lontano e diverso dall’Oggi.

Deserto rosso (1964)

Giuliana, moglie di un ricco industriale, è depressa da diverso tempo in seguito a un incidente automobilistico nel quale è sopravvissuta per miracolo. Quando in città arriva Corrado, manager collega e amico del marito, la donna trova forse qualcuno in grado di comprendere la sua situazione, che la spinge sempre più verso la pazzia.

Il primo film a colori di Michelangelo Antonioni, premiato a Venezia con il Leone d’Oro, è un’opera sull’alienazione che non ha paura di mostrare gli scheletri delle cosiddetta nuova borghesia, oscillando a tratti sul versante della commedia ma rimanendo in realtà un amaro apologo sulla condizione umana. Il deserto citato nel titolo non è altro il vuoto che Giuliana si ritrova intorno, e dove neanche l’affetto, vero o presunto, di famiglia e amici è in grado di colmare. Strepitosa Monica Vitti, che entra nella parte con una immedesimazione ammirevole.

In nome del popolo italiano (1971)

Un giudice incorruttibile indaga sulla morte di una giovane ragazza. Le prove conducono a un noto imprenditore, che mente perché ha qualcosa da nascondere.

Commedia drammatica, ricca di spunti satirici e cinici sulla storia di un Paese diviso tra fanatismo e potere. Una lotta tra due mondi, dove i soldi possono comprare qualsiasi cosa, ma non la passione di un uomo onesto nella ricerca della verità. Ugo Tognazzi e Vittorio Gasmann, i cui personaggi sono rispettivamente sotto e sopra le righe, sono come sempre impeccabili, vero e proprio valore aggiunto di un’opera che può contare sulla salda mano registica di un maestro come Dino Risi.

Profondo rosso (1975)

Un pianista inglese, residente da tempo in Italia, assiste all’omicidio di una sensitiva tedesca. Con l’aiuto di una giornalista, si mette sulle tracce dell’assassino e scopre un mistero legato a una vecchia villa abbandonata.

Il film simbolo di Dario Argento, l’ideale unione tra il thriller degli esordi e la svolta horror che presto avrebbe seguito. Teso, avvincente, ammantato di un fascino macabro e inquietante che si svela gradualmente nelle oltre due ore, con un finale di grande impatto. Ottimo il cast, soprattutto il protagonista David Hemmings, per un culto entrato pienamente nell’Olimpo del cinema, di genere e non. E la colonna sonora dei Goblin è divenuta immortale.

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