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Frankenstein Junior, la recensione del Film a cura di Christian Fregoni

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Nel corso della storia della settima arte, il genere comico è sempre stato un pilastro fondamentale per enfatizzare la naturale tendenza umana alla ricerca dell’ameno. Non a caso sin dagli albori del cinema possiamo ritrovare in maniera costante chiari esempi di pellicole comiche e parodistiche della più svariata natura: dalle “slapstick comedy” di interpreti quali Buster Keaton, Charlie Chaplin, i fratelli Marx e Stanlio & Ollio, in cui la commedia risiedeva per lo più nella straordinaria abilità mimica e d’improvvisazione dei suoi artisti, passando poi per le commedie supportate anche da vere e proprie sceneggiature artistiche (come le “horror comedy” di Gianni e Pinotto, o gli irriverenti lavori di Jerry Lewis e Dean Martin), fino a giungere alla sfrontata necessità citazionistica tipica degli anni ’70.

In quest’ultimo quadro generale si inserisce, di prepotenza, un grandissimo rappresentante di questo genere come Melvin James Kaminsky (al secolo, Mel Brooks).

Correva l’anno 1974 e dopo aver ormai esordito nel mondo cinematografico con lavori quali “Per favore non toccate le vecchiette” e “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”, Brooks decise di mettersi in gioco prendendo in mano la sceneggiatura dell’amico e sodale Gene Wilder per realizzare quello che all’inizio poteva sembrare l’ennesimo film sul “figlio di, cugino di, cognato di” Frankenstein.

Quello che all’epoca non si sarebbe potuto minimamente preventivare, fu l’incredibile successo riscosso da un vero e proprio gioiellino del genere comico, campione di incassi nel 1975 e inserito al tredicesimo posto della lista AFI delle migliori cento commedie di tutti i tempi: stiamo parlando di Frankenstein Junior.

Frankenstein Junior, la trama del film

New York, anni ’30. Il professor Frederick Frankenstein (da pronunciarsi rigorosamente Frankenstin per rigetto della discendenza dal famoso barone) sta tenendo un’importante lezione di neurologia in cui sostiene l’impossibilità di riparare un sistema nervoso danneggiato e rianimare la materia inanimata.

Al termine della dissertazione, il docente riceve la visita del notaio Rosenthal, che gli comunica la sopraggiunta morte del nonno e l’avvenuta eredità del suo castello in Transilvania.

Recatosi quindi in Romania, dopo un iniziale scetticismo nei confronti degli abietti esperimenti del nonno, Frederick (interpretato da uno straordinario Gene Wilder) fa la conoscenza prima del gobbo servitore Igor (Marty Feldman), e poi dell’avvenente assistente di laboratorio Inga (Teri Garr) e dell’inquietante domestica Frau Blücher, il cui nome causa l’incontrollabile nitrito di ogni cavallo nelle vicinanze.

Perlustrando i più reconditi angoli del castello, il professore riesce a trovare il laboratorio segreto del nonno e a reperire i suoi personali scritti sul suo lavoro nel campo della rianimazione di corpi inanimati, per cui si convince della possibilità di riprodurre gli esperimenti precedenti.

Dopo aver recuperato un cadavere ed un cervello necessari per portare a termine la sua opera, Frederick dà vita a una creatura di incommensurabile forza e rara bontà, che esplode in rabbia furente solo alla vista del temutissimo fuoco.

Recensione Film Frankenstein Junior, a cura di Christian Fregoni

Frankenstein Junior, in originale “Young Frankenstein”, è uno di quei film che una volta visti si radicano profondamente nella memoria.

È doveroso comunque puntualizzare che il tema portante della pellicola non cerca di essere originale, trattandosi per l’appunto dell’ennesima riproposizione della storia di Mary Shelley e di una rivisitazione quasi pedissequa del film “Frankenstein” di James Whale del 1931. L’intento del duo Brooks/Wilder non è infatti quello di creare un soggetto innovativo, ma anzi basarsi proprio su immagini e figure ormai trite e ritrite per sconvolgerle completamente con i caotici meccanismi della commedia.

Va da sé quindi che un’opera sul nipote del celebre Victor Frankenstein, che inizialmente rifiuta vergognandosene ogni possibile collegamento con lo scienziato, ritenuto folle, per poi convertirsi totalmente e seguirne le orme è già una formula vincente.

Aggiungiamoci poi le incredibili performance recitativi di mostri sacri quali lo stesso Wilder e il geniale Feldman e il successo è garantito, ma trattiamo una cosa per volta.

Come già precedentemente scritto, il citazionismo morboso di Mel Brooks verso l’opera primigenia è indubbio: sin dalla realizzazione del film utilizzando un fantastico bianco e nero e adottando una fotografia e uno stile registico che rimanda puramente agli anni ’30 (tanto che gli interni del laboratorio nel castello sono gli stessi utilizzati per il film del 1931), il regista ci dice che la storia non vuole essere un capitolo scollegato, ma fondare la sua esistenza proprio sul non essere originale.

In questo modo l’opera non assume la tonalità univoca della parodia, in quanto incarna una vera e propria rielaborazione del “Frankenstein” di Mary Shelley, condito da un’irresistibile dose di ironia e freschezza di trovate comiche.

Mimetismo registico e raffinatezza stilistica elevano la pellicola al rango delle opere fondamentali per comprendere la genialità di un vero artista della risata quale Mel Brooks.

Contemporaneamente bisogna necessariamente parlare degli enormi caratteristi che popolano il film, su cui spiccano decisamente Gene Wilder e Marty Feldman. Entrambi comici di indubbia e prolifica carriera, trovano nel film la summa essenziale delle loro esperienze artistiche contribuendo a regalare alla storia una sequela interminabile di battute al fulmicotone.

Come dimenticare l’iniziale incontro tra i due personaggi, con le relative frecciate ironiche alla pronuncia dei rispettivi cognomi (Frankenstin e Aigor), la genialità della gobba di Igor che cambia di posizione varie volte durante il film (assolutamente improvvisata da Feldman), la spiacevole scoperta che all’interno della creatura “alta 2.20 metri e grossa come un armadio a due ante” è stato incautamente inserito un cervello AB Norme, così come abnorme è anche lo Schwanzstück del mostro!

film popolato da momenti esilaranti e indimenticabili

Così come già affermato in precedenza, il risultato finale è un film interamente popolato di momenti esilaranti e indimenticabili che guardano al classico non per farne oggetto di scherno in sé, quanto più per celebrarlo in tutta la sua grandezza e omaggiarlo di un differente punto di vista.

Il film di Brooks vive unicamente perché esiste l’originale di James Whale e al contempo pensare al classico intramontabile della Universal anni ’30, non può che evocare alla mente anche la sua controparte più faceta e spassosa. Questo reciproco raffronto ideale si crea qualora si riesca a comprendere che il risultato finale dell’operazione di rivisitazione dell’intera vicenda si riscontra quasi nella nascita di un classico/non classico, un film basato su un’opera antecedente che inevitabilmente si staglia sul panorama della settima arte come pellicola a sé stante, quasi andando a surclassare il concetto di partenza.

È oltremodo raro che si riesca ad ottenere un esito simile con una semplice idea di base quale la creazione di una parodia di un’opera cardine, ma in ogni caso non c’è da stupirsi perché il lavoro di Brooks è ormai divenuto estremamente notorio e riconoscibile, legittimando il suo posto tra i più grandi maestri del genere comico.

Il Voto al film

Voto: 8,5

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