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Wake Up Dead Man – Knives Out: la morte può attendere? – La Recensione

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Wake Up Dead Man – Knives Out è il terzo capitolo della saga giallo/mystery creata da Rian Johnson, ora disponibile per tutti gli abbonati streaming dopo un’uscita limitata nelle sale a fine novembre. Ritroviamo l’ormai iconico detective Benoit Blanc di Daniel Craig alla prese con un nuovo caso, ma questa volta il mistero dell’omicidio serve da pretesto per un’indagine ben più ambiziosa, almeno sulla carta.

La sceneggiatura, curata ancora una volta dallo stesso regista, esplora – o almeno ci prova – cosa significhi davvero guidare una comunità di fede(li). Quale chiesa vuole la gente e quale tipo di pastore dovrebbe esserne a capo? Domande che Johnson – cresciuto nell’evangelismo americano ma da tempo distaccato da movimenti organizzati – affronta nello stile ormai consolidato della saga da lui costruita, cercando di rendere il tipico whodunit un qualcosa di inaspettatamente contemplativo. Ci sarà riuscito? Scopritelo con noi.

Wake Up Dead Man – Knives Out: finché morte non li separi – recensione

Il giovane reverendo Jud Duplenticy è un combattente. Ex pugile prima di entrare in seminario, ha abbandonato il ring per donarsi alla vocazione sacerdotale anche se sembra non aver perso le vecchie abitudini: quando lo incontriamo per la prima volta è infatti finito nei guai per aver istintivamente tirato un pugno a un diacono durante una discussione.

Gli viene comunque offerta una provvidenziale via d’uscita e viene assegnato come assistente pastorale sotto la guida di Monsignor Jefferson Wicks, leader spirituale della diocesi di Our Lady of Perpetual Fortitud, nelle campagne vicino New York.

Wicks è un predicatore fondamentalista che sputa sentenze spietate dal pulpito, sfruttando la vergogna e i sensi di colpa come strumenti di controllo sulla sua ridotta comunità. Omofobia, disprezzo per le madri single, condanna feroce del mondo che avanza: Wicks incarna quella destra cristiana d’Oltreoceano che Johnson vuole esplicitamente prendere di mira, proprio come nei film precedenti aveva puntato il dito contro razzismo, classismo, miliardari e magnati della tecnologia.

Quando Wicks viene ritrovato senza vita durante la celebrazione di una messa, il principale sospettato finisce per essere proprio Jud, con il quale aveva avuto diversi scontri per via delle inconciliabili diversità di vedute. Toccherà al detective Blanc, chiamato in loco, scoprire la verità prima che sia troppo tardi.

Salvezza o dannazione?

L’eterno scontro tra ragione e religione, tra ciò che è terreno e ciò presuntivamente divino, viene osservata da un duplice punto di vista, quello del detective che si definisce fieramente eretico, campione della logica e del metodo deduttivo e quello di Jud, uomo di fede per eccellenza per quanto reduce da un passato controverso.

Questo dualismo offre alcuni gradevoli spunti leggeri nella gestione di gag e battute, ma l’impressione è che le due ore e mezza di visione siano state eccessivamente tirate per le lunghe, al solo scopo di inserire un folto cast di guest-star e di procedere su un accumulo più o meno riuscito di colpi di scena.

Certo non si arriva alla baraonda caotica e gratuita del precedente Glass Onion: Knives Out (2022), ma chi avrebbe voluto un ritorno alle atmosfere del primo film, il più raffinato e centrato nel suo omaggio ai gialli classici, resterà probabilmente deluso. L’impressione è che lo stesso protagonista sia diventato una sorta di macchietta, al punto di non avere paura di prendersi in giro e scadere in una verve a tratti farsesca.

Morire dal ridere

La serietà potenziale è stata del tutto soppiantata da una leggerezza che dice poco o nulla di sostanzioso, limitandosi a un’investigazione dove si affastellano rivelazioni in serie col solo intento di giocare sulle aspettative dello spettatore, spesso ingannandolo con false piste o inquadrature ad hoc che rimettono costantemente in discussione colpe e colpevoli.

D’altronde già il titolo suggerisce il principale cliffhanger, quindi atteso da tutti e poi risolto sbrigativamente prima di quella conclusione che trae le sue fondamenta da un lontano passato, esplorato superficialmente in un una manciata di flashback.

E così il pubblico finirà per divertirsi maggiormente nella prima mezzora, quando l’entrata in scena del folto numero di figure al centro del caso celebrerà la portata stellare del casting: Craig è infatti affiancato da interpreti del calibro di Glenn Close, Josh Brolin, Jeremy Renner, Andrew Scott, Mila Kunis, Kerry Washington, Thomas Haden Church e Josh O’Connor, quest’ultimo nelle scomode vesti del sacerdote suo malgrado alpha e omega di accuse e sospetti.

Ma la parata di star non va di pari passo con la qualità della scrittura e la pur solida regia di Johnson non basta a nascondere quel senso di adagiamento sugli allori del franchise che, continuando su queste premesse, rischia di esaurire a breve le proprie cartucce.

Conclusioni finali

Non è rimasto illuminato sulla via di Damasco l’infallibile detective di Daniel Craig, alle prese con un nuovo arzigogolato caso che lo vedrà addentrarsi niente meno che tra i segreti indicibili nascosti tra i fedeli di una diocesi che nasconde più menzogne che fioretti.

Wake Up Dead Man – Knives Out prova a farsi punto di incrocio tra il caotico secondo episodio e il capostipite, ad oggi il più riuscito della saga, ma il moltiplicarsi di personaggi e situazioni impedisce alla storia e all’atmosfera di crescere coerentemente con le aspettative, trascinando il pubblico in un tourbillon sempre più concitato di eventi che riflettono in maniera relativamente superficiale sul contrasto tra fede e ragione.

E quando tutti sono sospett(at)i, la rivelazione ha bisogno anche di essere credibile per non risultare vana espiazione del canonico colpo di scena finale, cosa che non si può dire in questa sceneggiatura puntante più all’accumulo – di intrallazzi, battutine e guest-star – che al contenuto.

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