Polly è una trentenne che naviga a fatica nelle acque torbide di un’esistenza complicata. Vive in una grande casa dove in una fredda notte invernale sente bussare alla porta. Si trova al cospetto di un’anziana donna che si è persa e le offre ospitalità, ignara delle conseguenze.
L’ospite infatti inizia a fare dei discorsi sempre più strani e inquietanti, tirando fuori una scatola misteriosa e annunciando alla protagonista di Vicious – I tre doni del male che morirà da lì a qualche ora: a scandire il countdown una clessidra dagli inquietanti poteri. Polly dovrà inserire tre oggetti, che simboleggiano ciò che odia, ciò che necessita e ciò che ama, prima che la sabbia si sia completamente esaurita.
Inizialmente scettica, la padrona di casa scoprirà ben presto come l’incubo sia reale e si ritrova coinvolta in una disperata lotta per la sopravvivenza.
Vicious: corsa contro il tempo – recensione
Il regista Bryan Bertino si era guadagnato un posto di rispetto nel panorama horror contemporaneo grazie a un cult come The Strangers (2008), efficace home invasion che ha ridefinito alcuni canoni del genere con la sua tensione minimalista e l’inquietante casualità della violenza. Ma anche i suoi successivi The Monster (2016) e The Dark and the Wicked (2020) avevano lasciato il segno tra gli appassionati, confermandolo come un autore da tenere d’occhio.
Vicious – I tre doni del male si rivela purtroppo l’opera più debole nella sua filmografia, un film pasticciato che cerca di recuperare umori e suggestioni archetipici senza il necessario equilibrio. Si vorrebbe esplorare la discesa agli inferi psicologica di una protagonista alle prese con i propri demoni, interpretata da una pur volenterosa Dakota Fanning, ma il risultato è un pastrocchio senza arte ne parte, indeciso tra rimandi spiritici e una violenza a tratti inutilmente gratuita.
Uno scavo nel rimosso fine a se stesso
Si vorrebbe rendere il soprannaturale una metafora tangibile del dolore esistenziale e del percorso autodistruttivo e nichilista intrapreso da Polly, ma non si riesce mai bene a comprendere come questa maledizione, che scopriamo poi “epidemica”, possa portarla infine ad espiare i propri sensi di colpa. Bertino, qui anche nelle vesti di sceneggiatore, tratteggia un caos narrativo che non ci accompagna mai a fondo nella vita di questa giovane donna ritrovatasi ad affrontare qualcosa di impensabile, che sia frutto o meno della sua immaginazione.
Le regole del mondo narrativo rimangono vaghe quando non addirittura contraddittorie: come funziona esattamente la scatola? Chi o cosa sono queste presenze maligne che la tormentano senza sosta? Quanto di ciò che vediamo è reale e quanto è invece allucinazione? L’ambiguità può essere un potente strumento narrativo, ma solo quando nasconde un disegno coerente sottostante e un’anima mystery in grado di aumentare la curiosità dello spettatore, che qui invece si trova sballottato tra jump-scare e sussulti splatter senza una reale cognizione di causa. E quelle telefonate atte a spiegarci l’anonimo background non fanno che peggiorare ulteriormente le cose.
In passato abile costruttore della paura e della tensione, qui Bertino si lascia andare a soluzioni sin troppo facili quando non ad effettacci veri e propri e Vicious – I tre doni del male è un film a corto di atmosfera e di significati, con le lancette che scorrono inesorabili fino ad un epilogo altrettanto poco soddisfacente.
Conclusioni finali
Bryan Bertino torna all’horror dopo l’ottimo The Dark and the Wicked (2020) con un’opera incapace di reggere le ambizioni di partenza, via via diluite in una sceneggiatura che si fa sempre più caotica, perdendo di vista quanto volesse effettivamente raccontare. Vicious – I tre doni del male vede Dakota Fanning schiava delle quattro mura di casa sua, diventata un palcoscenico degli orrori dopo che un’ambigua vecchietta le ha lasciato “in dono” una scatola misteriosa.
Su questa premessa pur ricca di potenzialità si srotola una storia che lascia troppe domande senza risposta, incapace di generare la giusta atmosfera in un gioco tensivo scontato e a tratti incomprensibile. La stessa messa in scena, tra facili spaventi ed eccessi di violenza auto-inflitta, latita a livello di stile e di idee, affossando definitivamente quello che si è rivelato l’inaspettato passo falso di un autore in passato ben più convincente.









