Con l’arrivo del periodo natalizio torna uno dei classici più amati della danza: Lo Schiaccianoci. Il balletto, sulle celebri musiche di Čajkovskij, sarà in scena all’Auditorium della Conciliazione il 18 e 19 dicembre alle 20:30 e il 20 dicembre alle 17:00. Si tratta della produzione originale del 2017 del Balletto di Roma, creata dal coreografo Massimiliano Volpini, con scenografie e costumi di Erika Carretta. Tra i protagonisti spicca Tommaso Stanzani nel ruolo di Drosselmeyer, affiancato da Giulia Strambini nel ruolo di Clara e Paolo Barbonaglia nel ruolo del principe. Lo spettacolo propone una versione moderna e suggestiva del classico, capace di incantare sia i giovani spettatori sia gli appassionati di lunga data. La magia della danza si unisce alla raffinata interpretazione dei protagonisti, regalando emozioni indimenticabili.
Noi di SuperGuida TV abbiamo intervistato in esclusiva Tommaso Stanzani. Il ballerino ed ex allievo di Amici ha parlato così del balletto che lo vede protagonista nel ruolo di Drosselmeyer: “Sento un po’ di responsabilità perché si tratta di un ruolo iconico. Nel balletto classico, la sua figura rappresenta quella del maestro o del patrigno di Clara, ed è proprio lui a regalarle lo Schiaccianoci, che dà inizio al sogno.In questa versione del balletto di Roma, invece, abbiamo reso il personaggio un po’ più mistico, quasi magico fin dall’inizio. Il mio compito è quindi quello di spiegare ai ragazzi quanto possa essere pericoloso il mondo esterno e, allo stesso tempo, quanto sia importante la famiglia, esserci l’un per l’altro e aiutarsi a vicenda. Il personaggio veicola quindi un messaggio molto importante, e quando c’è un messaggio del genere, bisogna impegnarsi davvero per riuscire a trasmetterlo al meglio”.
Ora Tommaso è un ballerino apprezzato ma all’inizio anche lui ha dovuto scontrarsi con i pregiudizi legati al mondo della danza: “Mi ricordo che, paradossalmente, quando dovevo andare a danza, indossando calzamaglia e mezze punte, cercavo di passare inosservato, senza farmi notare dagli altri ragazzi che pattinavano. Probabilmente era legato al fatto che il pattinaggio è considerato uno sport “molto virile”, e a me scattava questa cosa. A un certo punto, però, mi sono detto: “Ma chi se ne frega! È qualcosa che ti piace, indossi il body, e basta”. Ricordo anche un compagno delle elementari, un mio amico, che parlando mi disse: “Dai, è molto più maschile fare rugby che fare pattinaggio”. Da piccolo ci rimasi un po’ male, pensavo che forse avesse ragione. Per fortuna, però, i miei genitori erano molto intelligenti e aperti mentalmente. Mi hanno spiegato che “più maschile” secondo quale canone? E questo mi ha aiutato a vivere la mia passione senza complessi. Sicuramente il fatto di avere pregiudizi dagli altri, ma non in famiglia, ha reso tutto molto più semplice rispetto a ragazzi che, invece, si scontrano anche con i propri genitori”.
Stanzani ha ricordato la sua esperienza ad Amici: “Non riesco a ricordare un solo giorno trascorso a scuola ad Amici in cui non fossi sicuro di quello che stavo facendo. Ho cercato di vivere ogni singolo giorno, ogni singola lezione. Ora, devo ammettere, ho un difetto su cui sto lavorando: penso sempre a quando le cose finiranno. Sapevo che prima o poi anche il mio percorso ad Amici sarebbe terminato, e da lì credo sia stata la prima volta in cui mi sono detto: “Non pensare alla fine, vivi giorno per giorno queste esperienze che ti resteranno sicuramente nella vita”. Mi ricordo benissimo la mia entrata: l’emozione di girarmi e vedere il mio nome, Tom Maso, sul banco. Quando mi hanno dato la felpa, me la sono messa e ho guardato la maestra Celentano, come per dire: “Ok, sono qui, sono dentro e sono con la maestra Celentano, tutto è giusto”.
Tommaso Stanzani, intervista esclusiva
Tommaso, dal 18 al 20 sei all’Auditorium della Conciliazione nel balletto “Lo Schiaccianoci”. Che rapporto hai con questo balletto e quanta responsabilità senti nell’interpretare Drosselmeyer?
Sento un po’ di responsabilità perché si tratta di un ruolo iconico. Nel balletto classico, la sua figura rappresenta quella del maestro o del patrigno di Clara, ed è proprio lui a regalarle lo Schiaccianoci, che dà inizio al sogno. In questa versione del balletto di Roma, invece, abbiamo reso il personaggio un po’ più mistico, quasi magico fin dall’inizio. Il mio compito è quindi quello di spiegare ai ragazzi quanto possa essere pericoloso il mondo esterno e, allo stesso tempo, quanto sia importante la famiglia, esserci l’un per l’altro e aiutarsi a vicenda. Il personaggio veicola quindi un messaggio molto importante, e quando c’è un messaggio del genere, bisogna impegnarsi davvero per riuscire a trasmetterlo al meglio.
E’ stato il primo balletto che hai visto da bambino?
Me lo ricordo bene, ero a teatro a Reggio Emilia. Con la scuola avevamo una cosa bellissima: una sorta di convenzione con il teatro che ci permetteva di acquistare i biglietti con degli sconti. Ricordo che quell’anno presi i biglietti per uno spettacolo, e il primo fu proprio Lo Schiaccianoci. La prima ballerina di quello spettacolo era Anbeta, e rimasi completamente estasiato dall’eleganza, dalla storia raccontata. Anche se non c’è dialogo, la storia viene trasmessa attraverso i movimenti del corpo e la gestualità, e in questo modo lascia spazio anche all’immaginazione. Pensare ora di ritrovarmi a interpretare Lo Schiaccianoci dopo tanti anni… in effetti, ci ho pensato anch’io in questi giorni. Alla fine, è incredibile come tutto torni.
Nello Schiaccianoci c’è il mondo reale e quello onirico. Sei un sognatore?
Sì, sono sempre stato un sognatore. Mi è sempre piaciuto sognare, e sognare in grande, perché secondo me se uno sogna, deve sognare davvero in grande. Fin da piccolo ho avuto abbastanza chiaro quali fossero i miei obiettivi e ciò che mi sarebbe piaciuto fare. Crescendo, però, sono nate altre esperienze che non avevo programmato. All’inizio pensavo: “Cavolo, non avevo previsto di fare questo!”, ma allo stesso tempo mi è piaciuto tantissimo farlo. Mi sento quindi abbastanza fortunato: sono riuscito a realizzare molte soddisfazioni che da adolescente, a 15 anni, sembravano sogni irraggiungibili. Con impegno e costanza sono riuscito a raggiungerli, e nel percorso ho fatto anche tante altre cose che non mi aspettavo, che oggi posso considerare anch’esse dei sogni realizzati.
Si parla spesso di pregiudizi legati alla danza per gli uomini. Anche a te è capitato?
Devo essere onesto, all’inizio mi imbarazzava un po’ farmi vedere. Ho iniziato a fare danza verso i 15-16 anni, nello stesso contesto in cui pattinavo, principalmente per migliorare la postura. Andavo a fare un’ora di danza a settimana, quindi non era uno studio serio, ma comunque è stato il mio primo approccio. Mi ricordo che, paradossalmente, quando dovevo andare a danza, indossando calzamaglia e mezze punte, cercavo di passare inosservato, senza farmi notare dagli altri ragazzi che pattinavano. Probabilmente era legato al fatto che il pattinaggio è considerato uno sport “molto virile”, e a me scattava questa cosa. A un certo punto, però, mi sono detto: “Ma chi se ne frega! È qualcosa che ti piace, indossi il body, e basta”.
Ricordo anche un compagno delle elementari, un mio amico, che parlando mi disse: “Dai, è molto più maschile fare rugby che fare pattinaggio”. Da piccolo ci rimasi un po’ male, pensavo che forse avesse ragione. Per fortuna, però, i miei genitori erano molto intelligenti e aperti mentalmente. Mi hanno spiegato che “più maschile” secondo quale canone? E questo mi ha aiutato a vivere la mia passione senza complessi. Sicuramente il fatto di avere pregiudizi dagli altri, ma non in famiglia, ha reso tutto molto più semplice rispetto a ragazzi che, invece, si scontrano anche con i propri genitori.
La popolarità è arrivata grazie ad Amici. A distanza di anni che ricordi conservi di quell’esperienza?
È stata un’esperienza bellissima. Non riesco a ricordare un solo giorno trascorso a scuola ad Amici in cui non fossi sicuro di quello che stavo facendo. Ho cercato di vivere ogni singolo giorno, ogni singola lezione. Ora, devo ammettere, ho un difetto su cui sto lavorando: penso sempre a quando le cose finiranno. Sapevo che prima o poi anche il mio percorso ad Amici sarebbe terminato, e da lì credo sia stata la prima volta in cui mi sono detto: “Non pensare alla fine, vivi giorno per giorno queste esperienze che ti resteranno sicuramente nella vita”. Mi ricordo benissimo la mia entrata: l’emozione di girarmi e vedere il mio nome, sul banco. Quando mi hanno dato la felpa, me la sono messa e ho guardato la maestra Celentano, come per dire: “Ok, sono qui, sono dentro e sono con la maestra Celentano, tutto è giusto”.
A proposito della maestra Celentano, viene spesso criticata per essere severa.
La maestra Celentano è una professionista veramente molto competente nel suo lavoro. Si vede che ha una grande passione per la danza, e quando parla trasmette tutta la sua energia e carica. La danza è una disciplina precisa, con tanti stili diversi, e ciascuno ha la sua tecnica specifica. Insegnare ai ragazzi è molto difficile: bisogna aiutarli a crescere, far loro capire i limiti senza illuderli, ma allo stesso tempo non far credere che i limiti siano una condanna. La danza è così vasta che secondo me è fondamentale solo instradare i ragazzi, guidarli verso ciò che possono sviluppare al meglio.
Io mi sono sempre trovato d’accordo con ciò che la maestra Celentano mi ha insegnato, anche se a volte non condividevo alcune modalità del suo approccio verso chi non rientrava nei suoi canoni. Tuttavia, raramente ho sentito qualcosa da lei con cui non fossi d’accordo: nella sostanza, la ragione ce l’aveva sempre. Credo che il suo metodo derivi da una generazione in cui l’insegnamento era più severo, rigoroso e distaccato. Anche mia madre, con il pattinaggio, ha avuto insegnanti con quel tipo di approccio. Oggi le cose sono un po’ cambiate: la mia generazione e quella dei ragazzi di oggi sono un po’ più sensibili. Non è un difetto, è solo necessario adattarsi, aggiornare il linguaggio e i modi di comunicare, per riuscire a trasmettere la disciplina senza perdere efficacia.
Con Maria in che rapporti sei rimasto?
Sì, siamo rimasti in contatto. Dopo Amici, mi è capitato, per esempio, quando lavoravo con Fiorello, che lui la chiamasse, dicendo: “Guarda chi c’è qua!” Ho rivisto Maria in quei momenti, e ho avuto modo di rivivere un po’ di quell’esperienza del mondo Amici. Per me, Amici resta speciale: se ci penso, è stata davvero la mia prima casa, il mio primo approccio al mondo dello spettacolo. Rimarrà sempre un posto molto importante nel mio cuore.
Per un periodo dopo Amici avevi lasciato i social per i commenti negativi. Oggi sei riuscito a trovare un equilibrio?
Sì, oggi sono sicuramente più equilibrato. All’epoca, invece, non ero preparato a gestire certe situazioni, soprattutto quando hanno iniziato ad attaccare la mia famiglia. Non avevo gli strumenti per affrontare tutto quel tipo di pressione. C’è stato un periodo in cui arrivavano mail su mail da parte di una signora che inventava anche cose su di me, dicendo ad esempio che mi vedevano far serata ubriaco, cosa che praticamente non succede mai. Vedere mia nonna preoccupata e agitata per queste cose mi ha fatto stare davvero male. A quel punto ho capito che dovevo imparare a tutelarmi. Avevo solo 18 anni. Oggi, invece, cerco di condividere il mio lavoro con chi mi segue, perché ho notato che ho una sorta di “famiglia social” che mi segue da quando ho iniziato. Mi sembra rispettoso nei loro confronti mostrare cosa faccio, anche perché chi mi segue ha capito che ho condiviso molto della mia vita personale in passato, ma ora tengo la mia parte privata per me. Così c’è rispetto reciproco: il mio pubblico comprende che ci sono limiti, e va bene così.
Poi è arrivato Viva Raidue. E ti sei ritrovato a lavorare con Fiorello.
Ogni giorno è stata una lezione per me. La danza è sempre stata la mia passione, ma sono sempre stato attratto anche dal mondo dello spettacolo e della televisione. Avere la possibilità di lavorare con lo showman per eccellenza in Italia è stato un grande piacere e un grande onore. Vivere l’esperienza di Viva Rai 2 è stata una vera scuola sotto ogni punto di vista. Gli orari erano impegnativi, ma anche questo ci ha aiutato: oggi scommetto che nessuno di noi che ha lavorato lì ha problemi a svegliarsi presto. Ogni giorno era una diretta, e dovevamo portare idee sempre nuove insieme al coreografo Luca Tommasini.
Non c’era mai un giorno in cui si potesse rallentare un po’. Ci chiedevano tanto, ma noi stessi volevamo dare il massimo, perché eravamo consapevoli dell’importanza del progetto e ci piaceva tantissimo parteciparvi. È stata una palestra incredibile: ho imparato tantissimo, non solo tecniche di danza, ma anche come funziona un programma televisivo. Ho capito l’importanza dei tempi, dell’inquadratura, dei dettagli. In televisione, raramente i ballerini hanno la possibilità di provare a lungo in studio, come invece si faceva un tempo. Ogni dettaglio era studiato con cura, mentre oggi tutto è molto più veloce. Lavorare in questo contesto mi ha aiutato a comprendere come gestire questi ritmi e come stare sempre al passo.
Quanto il gossip è stata un’arma a doppio taglio per te?
Quando a 18 anni ho deciso di vivere tutto in modo molto leggero, non sapevo bene a cosa stessi andando incontro e non ero pronto a reggerlo. Poi, quando le cose hanno iniziato ad andare bene, è ovvio che l’attenzione mediatica sia aumentata: quando va bene c’è attenzione, e quando va male, c’è ancora più attenzione. A quell’età, vivendo tutto così intensamente, non ci pensi.
Mi sono ritrovato un po’ capovolto da tutto. Ho capito che dovevo imparare a condividere la parte artistica e il lavoro che mi piace, mentre dovevo proteggere la mia vita personale. Non è stato facile, perché alcune persone, poche in realtà, ma ci sono, ti seguono proprio per sapere cosa fai la mattina o con chi esci. Inevitabilmente, ho perso una parte del pubblico che mi seguiva solo per questo. All’inizio ero ansioso, ma poi ho capito: devo riprendere in mano la mia direzione, capire cosa voglio fare, e chi rimane sarà interessato a me come artista. Chi non rimane, semplicemente, non è importante che resti.
Reality li faresti? Pechino Express?
Sì, farei Pechino Express, perché lo trovo una situazione divertente. Mi piace viaggiare e scoprire posti nuovi, anche se ammetto che io mi fermerei spesso solo a guardare il panorama. Comunque lo farei, mi divertirei. Altri reality invece li trovo un po’ più difficili, perché richiedono dinamiche diverse che non mi convincono del tutto.
Un augurio per il 2026?
Per il 2026, il mio augurio è continuare a fare questo lavoro, continuare a lavorare su me stesso a livello personale, per vivere al meglio tutto ciò che mi capita. Anche se ho solo 23 anni, sento spesso la pressione di gestire tutte le emozioni, le ansie, in una società così frenetica. Mi auguro di non avere paura di continuare su questa strada, perché quando si trova un equilibrio interiore, tutto il resto diventa più semplice.









