The Fakenapping: un finto rapimento nella commedia saudita – Recensione

The Fakenapping

Sattam è un uomo perseguitato dalla malasorte, con ogni impresa tentata finita miseramente in bancarotta. Imprenditore fallito, padre e marito in difficoltà, sommerso dai debiti che crescono giorno dopo e sembrano non lasciargli scampo. Al punto che quando lo spietato strozzino Abu Ateeq minaccia di portargli via non soltanto la casa ma anche la dignità, al protagonista di The Fakenapping non rimane che tentare una soluzione tanto disperata quanto paradossale.

Sattam decide infatti di inscenare il finto rapimento di suo padre, uomo ricchissimo e notoriamente avaro, per nulla desideroso di prestare soldi a quel figlio che considera uno scansafatiche. Lo scopo è quello di estorcere denaro al resto della famiglia attraverso una finta richiesta di riscatto: ingaggia così i rapitori, dei giovani sbandati, e gestisce con loro quelle trattative in realtà ampiamente organizzate, all’insaputa dell’ignaro genitore realmente sequestrato. La situazione finirà inevitabilmente per complicarsi in modo imprevedibile.

The Fakenapping: il gioco delle parti – recensione

Produzione saudita sbarcata in esclusiva come original nel catalogo di Netflix, The Fakenapping si inserisce in quella crescente ondata di produzioni mediorientali che stanno conquistando visibilità internazionale attraverso le piattaforme streaming. La sceneggiatura parte da un’idea tanto semplice quanto potenzialmente azzeccata per una commedia degli equivoci dall’approccio universale.

Un thriller criminale combaciante con una farsa familiare dove nessuno vuole essere il primo ad ammettere l’evidenza: una carta sull’idea vincente, che però si ritrova ben presto a fare i conti con evidenti ingenuità non soltanto di scrittura, ma anche di messa in scena e di performance attoriali, che danno vita a un insieme troppo debole e incapace di reggere il peso dei già scarsi ottantacinque minuti di visione.

I soldi (non) fanno la felicità

In un contesto dove la ricchezza e l’opulenza sono una sorta di marchio di fabbrica, il finto rapimento diventa un atto di disperata creatività: se non si possono risolvere i problemi attraverso i canali convenzionali e i legami di sangue, perché non inventarne di nuovi, per quanto assurdi? Ma quanto si mette mano in ambienti e in logiche criminali senza la necessaria esperienza è facile pagarne il conto, come scoprirà il malcapitato Sattam e chi ha deciso di aiutarlo in quel folle piano senza capo né coda, fino al colpo di scena nell’epilogo che mette in mostra il vero vincitore di questa diatriba generazionale.

The Fakenapping sin dal titolo dichiara la sua anima leggera, il ché non sarebbe necessariamente un male se supportata da un’idea di cinema almeno coerente: qui invece gag e siparietti vengono affastellati alla rinfusa, con un senso di perenne confusione narrativa a far sembrare che la vicenda si trascini per inerzia, giungendo a quella resa dei conti finale che guarda ai classici del filone gangsteristico, con nessun pro e tutti i contro del caso.

Conclusioni finali

I personaggi ringraziano l’onnipotente all’incirca ogni cinque minuti ma lo stesso non può fare lo spettatore, che avrà poco da gioire nel corso dell’ora e mezzo di The Fakenapping (un titolo, un programma) intento ad assistere all’improbabile finto sequestro organizzato dal protagonista, a caccia del patrimonio paterno per pagare i debiti con uno spietato strozzino.

Questo film saudita non riesce a parodiare il genere con le dovute accortezze, scadendo di sovente nel ridicolo involontario e risultando del tutto incapace di riflettere sulle dinamiche familiari e sociali al centro del racconto, pur in un contesto dove il contrasto tra ricchezza e povertà è quanto mai accentuato.

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