Shining, la recensione del film a Cura di Christian Fregoni

Shining film

Shining: Oscure presenze nel labirinto della mente. Recensione e analisi a Cura di Christian Fregoni

Due sole parole: Stanley Kubrick! Il solo nome basta a far fremere tutti i cinefili più sfegatati, consci del fatto che il regista sopraccitato sia uno dei massimi esponenti della settima arte.

Consapevole della portata artistica del romanzo omonimo di Stephen King, Kubrick decise di prendere in mano il soggetto e scriverne una sceneggiatura a quattro mani, coadiuvato da Diane Johnson, riadattandola lievemente per poter meglio trasporre la propria personale idea di come dovesse essere reso un horror psicologico d’artista.

La vera forza nascosta del film sta proprio nella sua implicita diversità dall’opera di partenza: King non nascose mai troppo velatamente il proprio disprezzo per il film di Kubrick, definito “freddo e distaccato” e in questo peccò decisamente di presunzione, mancando di cogliere gli aspetti chiave che elevano il lavoro cinematografico su un gradino essenzialmente superiore rispetto alla sua letteraria fonte di ispirazione.

Trama di Shining

La trama è molto semplice: Jack Torrance (interpretato da un Jack Nicholson in stato di grazia) è uno scrittore che, ossessionato dall’idea di dover terminare il suo ultimo lavoro, decide di accettare l’incarico di custode dell’Overlook Hotel, un lussuoso albergo sperduto sulle montagne del Colorado. Durante il colloquio di assunzione, Jack viene informato dal direttore che la storia dell’albergo è popolata di strani ed inquietanti fenomeni, uno su tutti l’incidente che portò il custode precedente ad uccidere tutti i membri della propria famiglia per poi terminare la propria vita con un colpo di doppietta. Poco impressionato, Jack decide comunque di accettare il lavoro, convinto che un po’ di sano isolamento sia proprio ciò che serva a lui e alla sua famiglia per poter lavorare e vivere in santa pace.

Lo scrittore si stabilisce quindi definitivamente nell’albergo, assieme alla moglie Wendy (Shelley Duvall) e al figlioletto Danny (Danny Lloyd), il quale possiede una strana particolarità: ciò che all’apparenza sembra essere un “amico immaginario” di nome Tony, viene rivelato essere un dono soprannaturale chiamato “Shining” (in italiano, “luccicanza”). Questa peculiare capacità percettiva permette al suo possessore di poter rivivere avvenimenti successi molto tempo addietro, oppure di poter avere vivide premonizioni su ciò che potrebbe accadere in futuro. Danny condivide questa precipua abilità con il capo-cuoco dell’hotel, Dick Halloran (Scatman Crothers), il quale mette in guardia il bambino riguardo ai possibili demoni che possono celarsi fra le stanze e i sinistri corridoi dell’Overlook Hotel.

La situazione presto comincia a degenerare: Jack, incapace di trovare l’ispirazione necessaria a proseguire la stesura del suo romanzo, sprofonda sempre di più in un oscuro abisso di rabbia, rancore e follia, mentre Danny assiste a frequenti visioni da incubo: le porte dell’ascensore da cui esce una cascata di sangue, l’incontro con le figlie gemelle del custode precedente e la successiva manifestazione dei loro cadaveri martoriati, sino a giungere alla fatidica perlustrazione della camera 237.

Le oscure presenze che popolano l’Overlook Hotel sembrano prendere sempre più il sopravvento, popolando l’ormai alienata mente del padre, che intrattiene vivaci conversazioni con baristi e camerieri degli anni ’20 e viene convinto dal fantasma del suo passato collega ad attuare una punizione esemplare verso i suoi famigliari, colpevoli di essere la ragione della sua vita fallimentare.

Assistiamo quindi al totale tracollo di Jack quando la moglie, dopo aver scoperto con orrore ciò che il marito aveva scritto fino a quel momento, si sente fisicamente in pericolo e lo tramortisce colpendolo con una mazza da baseball per poi rinchiuderlo nella dispensa dell’albergo. Misteriosamente liberatosi dalla temporanea prigione, Jack si arma d’accetta, deciso a porre termine alle vite della sua famiglia.

Dopo un iniziale tentativo di uccidere la moglie, nascosta nel bagno della propria stanza, il marito viene allarmato dall’improvviso arrivo del capo-cuoco, giunto sul luogo dopo essersi messo in contatto telepaticamente con Danny, che viene rapidamente raggiunto e colpito a morte con la scure.

Inseguito dal folle padre, il bambino si addentra nel labirinto esterno all’albergo e riesce a far perdere le proprie tracce, scappando al feroce tallonamento del suo inseguitore assetato di sangue. Jack, in preda ormai alla follia più totale, rimane intrappolato all’interno del dedalo innevato e assiste impotente alla fuga della propria famiglia, morendo poi di assideramento. Il film chiude poi su una enigmatica inquadratura che ancora oggi popola il dibattito dei suoi più accaniti sostenitori.

Analisi e recensione di Shining

Giunto al termine dell’effettiva esposizione della trama, addentriamoci ora in una più approfondita (e personale) analisi: Shining è un film unico nel suo genere. Percorso per la sua interezza di angoscianti immagini in bilico tra il reale e l’onirico, spaventosamente rigoroso nella sua esecuzione, quanto imperscrutabile nella sua complessità.

Il film vive di differenti momenti temporali, scanditi da improvvisi stacchi neri che definiscono lo scorrere della narrazione. Parlare di linearità è pressoché impossibile: l’Overlook Hotel è una dimensione parallela, in cui il concetto stesso del tempo viene distorto e riproposto come ciclico.

Basti pensare al discorso tra Jack e il fantasma del suo defunto collega, che gli ricorda di non essere altro che una sua controparte in quanto il custode dell’albergo è sempre stato Nicholson, discorso ulteriormente confermato dall’ambigua fotografia mostrata alla fine del film che mostra un Jack Torrance sorridente, intento a posare per un impossibile scatto avvenuto decine di anni prima dello svolgimento degli eventi.

La distorsione del tempo è parallela allo stravolgimento della mente degli ospiti dell’hotel. Shining è tutto qui, una storia di ordinaria follia che porta al totale annichilimento dell’individuo.

Jack è uno scrittore fallito, preda di un’incapacità creativa interiore frutto della sua personale prigionia mentale (metafora abilmente richiamata dal labirinto esterno), magistralmente messa su carta dalle infinite ripetizioni ossessive della frase “Il mattino ha l’oro in bocca”.

Aggirandosi per i claustrofobici vani dell’albergo, si assiste al progressivo ed inesorabile tracollo della sua psiche, contemporaneamente alla sua crescente metamorfosi in moderno “minotauro”. L’incontro con l’agghiacciante inquilina della stanza 237 prima, i discorsi con lo spettrale barista (che in tutto e per tutto è raffigurato quasi come figura demoniaca) e il collega suicida poi, trasformano Jack da semplice custode di albergo a suo effettivo guardiano e protettore.

La famiglia è una seria minaccia a tutto ciò che l’Overlook Hotel rappresenta e per questo deve essere annientata. Il padre, armato con l’iconica scure, diventa quindi lo strumento principale per attuare il vero incarico che l’hotel gli richiede ed in questo senso la scena finale ambientata tra gli stretti passaggi labirintici rappresenta proprio una moderna trasposizione del classico mito di “Teseo e il Minotauro”.

Lo stile registico di Kubrick è semplicemente sublime: il film vive della totalità delle sue inquadrature, la geometria semplice e al contempo minuziosa della costruzione delle varie sequenze, i movimenti di macchina che simulano l’occhio curioso e attento dello spettatore, quasi partecipasse attivamente alla narrazione, contribuiscono a rendere perfettamente l’atmosfera di spettralità e incubo che aleggia nell’albergo.

Il tutto è reso possibile specialmente dall’introduzione dell’avveniristica tecnologia di ripresa a mezzo steadicam: l’inventore Garrett Brown collaborò infatti col regista per girare tutte le scene che coinvolgono l’esplorazione dell’hotel da parte di Danny a bordo del suo triciclo. La macchina segue pedissequamente il bambino, senza mai lasciarlo sfuggire dal centro dell’inquadratura, quasi fosse tampinato da uno degli spiriti che popolano il luogo maledetto. La qualità e bellezza espressiva trasmesse in questo senso sono da molti tuttora considerate insuperate e garantirono il giusto successo all’applicazione di questa ulteriore tecnica cinematografica.

Giusto poi notare il meraviglioso connubio creato tra girato e musica: la scelta di accompagnare determinati momenti con pezzi contemporanei o d’avanguardia, saggiamente riarrangiati in base alle esigenze, diventa altro vettore per creare quel tipico stato di ansietà e timore reverenziale che emana in tutto il film. I Dies Irae iniziali, che durante il prologo fanno da colonna sonora per il viaggio in macchina verso l’albergo, ad esempio, sembrano già richiamare lugubri e macabri echi spettrali che ritroveremo poi più avanti durante la visione.

È doveroso poi tessere le lodi del monumentale lavoro attoriale di Nicholson e della Duvall: entrambi subiscono un processo metamorfico incredibile, li vediamo mutare fisicamente in personaggi ormai deteriorati, il primo interiormente e la seconda nella sua apparenza. Attori mimetici senza paragoni, veicolano in maniera impeccabile l’effetto del lento sgretolarsi della psiche (la tremenda sequenza di Jack che fissa la propria famiglia con occhi vuoti e il viso deformato in un’arcigna espressione, l’indimenticabile discorso sulle scale della Sala Colorado, la scena dello sfondamento della porta del bagno, tanto per citarne alcune). Unica nota di demerito sta nell’interpretazione forse troppo piatta e forzata del giovane Lloyd, ma, data la sua candida età, è una pecca più che passabile.

Intriso di un misticismo unico, forte di una capacità imparagonabile nel scandagliare il dramma dell’alienazione mentale, Shining non può essere catalogato banalmente come “horror”. È un esperimento quasi senza precedenti, messo in atto da un regista senza pari e giustamente passato alla storia come capolavoro ineguagliabile nella sua spietata semplicità.

Kubrick volutamente non volle mai spiegare gli arcani enigmi che popolano la sua pellicola (la liberazione di Jack dalla dispensa, e l’inesplicabile scena finale), e ciò è di fatto valore aggiunto per siglare in modo definitivo l’idea che l’Overlook Hotel è quasi una dimensione parallela, un luogo dove il razionale e il surreale si fondono per portare alla creazione di fenomeni extrasensoriali e alla distruzione delle basi fondamentali dell’animo umano.

Il voto sul film Shining

  • Voto: 10.

A presto amici con la prossima recensione.

@RIPRODUZIONE RISERVATA
A cura di Christian Fregoni

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here