Raoul Bova ad Atreju sugli audio privati: “Ho pagato il rifiuto di un ricatto con una pubblica esecuzione. Occhi spaccanti? Una parola che è diventata più discussa di una guerra”

Raoul Bova

Raoul Bova ha partecipato ad Atreju, dialogando sul palco con Arianna Meloni, sorella della Premier, e Francesca Barra su temi legati a internet, privacy e social network. L’attore, recentemente al centro dell’attenzione mediatica a seguito della vicenda di Martina Ceretti riportata da Fabrizio Corona, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera di aver accettato di partecipare all’evento in quanto luogo di incontro tra cittadini, politici, artisti e giornalisti di ogni età, favorendo il confronto di idee senza distinzione di orientamento politico. Un invito che, ha precisato, non era arrivato né dalla Premier né da sua sorella, ma da un membro dell’organizzazione.

Raoul Bova ad Atreju sugli audio privati e sulla parola occhi spaccanti

Durante il panel dedicato al deep fake e all’odio social, Raoul Bova ha parlato in modo dettagliato di quello che gli è successo la scorsa estate: “La mia vita è cambiata da un giorno all’altro. Ad un certo punto ho maturato dubbi anche su me stesso perché mi chiedevo cosa avessi fatto di così grave. Sicuramente sono una persona che ha sbagliato, ha commesso degli errori, me ne pento. Ma tutto questo mi ha messo nelle mani di una singola persona che disponeva di audio e chat private e che ha scelto di usarli a scopo di lucro, monetizzando, diffamando e cercando consenso per aumentare il proprio bacino di utenti o di colleghi. Ha completamente dimenticato cosa stava facendo: cercava di accrescere la sua popolarità distruggendo pubblicamente una persona”.

Tutto è partito con un ricatto, ha proseguito: “Hanno tentato di chiedermi dei soldi in cambio di quelle chat. Per tre giorni sono stato tempestato di telefonate, sempre con lo stesso messaggio: “Se non paghi, mandiamo le chat a Corona.” La destinazione era già decisa, e questo mi ha fatto sorgere molti interrogativi. Guardavo quelle chat e quei vocali, conoscendo bene la mia storia, e non vedevo alcun motivo per cedere. Ma soprattutto non volevo sottomettermi al ricatto di qualcuno che non conosco, una persona di cui non so nemmeno nome e cognome. E poi? Dopo aver ceduto una volta, ci sarebbe stato un altro ricatto, e poi un altro ancora, con altre chat da consegnare. Così ho deciso fermamente di non accettare. Quello che però mi rattrista è che il messaggio che ho ricevuto indietro non è stato: “Bravo, hai resistito, hai sconfitto chi ti ricattava.” No. A pagare sono stato io. Ho pagato il rifiuto di un ricatto con un’esecuzione pubblica, e con il fatto che una persona mi ha deriso, ridicolizzato, creando un circolo virale. La vicenda ha coinvolto tutti: ogni categoria sociale, dalle persone più semplici agli intellettuali”.

Ad essere diventata virale era stata soprattutto l’espressione “occhi spaccanti” usata da Raul Bova in alcuni messaggi privati. “Tutti sapevano di questa storia, di quella parola famosa che chissà cosa avrei detto: “occhi spaccanti”. Quella parola è diventata più discussa di una guerra, più rilevante delle persone che vengono uccise, più importante dei femminicidi o di qualsiasi altro tema serio. Questa ondata virale non ha solo colpito me: è andata oltre. E ci deve far riflettere su quanto noi, come pubblico, siamo affamati di gossip, di ciò che accade agli altri. Siamo abituati a osservare qualcuno che crolla per sentirci forse un po’ migliori, più importanti. Sembra che dobbiamo attaccare e distruggere per sentirci vivi. Questa è la società malata in cui viviamo”. 

Raoul Bova lancia poi una frecciata alla stampa italiana: “Quando ho ricevuto questo tentativo di estorsione, ho denunciato subito alla Polizia Postale. Ho segnalato tutto alle piattaforme, ho fatto qualsiasi tipo di denuncia possibile e immaginabile. Il problema è che, nonostante tutto, mi sono sentito molto solo: non c’è stata alcuna reazione. Quel video andava bloccato immediatamente, perché era già stato denunciato come materiale legato a un tentativo di estorsione. E invece né la Polizia, né la magistratura, né la stampa hanno tenuto conto che si trattava di un reato. Quegli audio e quei contenuti erano stati creati e utilizzati per ricattarmi, ma nessuno ha alzato la mano per dire: “Fermiamolo”. In quei momenti mi sono sentito completamente solo”.

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