Narcos: Messico, recensione – no spoiler – della serie TV crime di Netflix

Narcos Messico 2 - Serie TV

Concepita inizialmente per essere la quarta stagione della serie TV Narcos, Narcos: Messico è stata poi lavorata e strutturata per diventare un vero e proprio spin-off incentrato sui malaffari del Cartello di Guadalajara. La creano sempre Carlo Bernard e Doug Miro e si snocciola lungo il corso di tre stagioni che ripercorrono l’ascesa criminale di Miguel Ángel Félix Gallardo, interpretato da Diego Luna, colui che ha dato il via al moderno commercio illegale di cocaina.

La trama di Narcos: Messico

Partendo da alcuni nomi noti già a partire dalle tre stagioni che compongono la serie “madre” Narcos, Narcos: Messico recupera alcuni volti e alcune dinamiche per raccontare in quale maniera Miguel Ángel Félix Gallardo abbia sostanzialmente costruito il moderno modello di narcotraffico proveniente dal Messico. A partire dalla prima stagione, la serie si incentra in particolar modo (come già fatto in Narcos) nel creare il filo conduttore tra chi milita nelle fila della criminalità e chi invece tenta di combatterla con mezzi e possibilità ridotte.

Se da una parte c’è Gallardo che fa il suo ingresso sul palcoscenico della malavita, dall’altra c’è l’agente della DEA Kiki Camarena, figura anch’essa realmente esistita, a cui presta il volto Michael Peña. Camarena, trasferito dalla California con la sua famiglia per quello che doveva essere un lavoro non particolarmente complesso, non ha ancora la più pallida idea di cosa lo attenderà.

Narcos: Messico posiziona i tasselli di quelle che sono le iniziali battute di una caccia all’uomo impiantata a partire dalle informazioni raccolte da reti di informatori che circondano uno dei cartelli più pericolosi al mondo, fino a quando non si innesca una tragica catena di eventi in grado di sconvolgere per sempre gli equilibri del Messico e della lotta alla droga.

Perché vedere Narcos: Messico

Narcos è stata una serie TV evento. Uno dei primi e veri grandi fenomeni di Netflix, capace di alimentare una ricca discussione e di accaparrarsi un nutrito pubblico. Narcos: Messico si inserisce in questa scia di successo, magari scontando la mancanza del nome altisonante di Pablo Escobar come villain designato e ponendone al centro un altro meno noto all’opinione pubblica come quello di Gallardo, ma comunque mantenendo la struttura e le linee che hanno siglato la riuscita della serie di cui è costola.

Narcos: Messico mantiene infatti la capacità di essere aderente a una cronaca romanzata il giusto per creare senso di prossimità a personaggi di fatto storici come quello di Camarena, un Davide ritrovatosi a combattere in maniera inattesa contro un titanico Golia. Dall’altra parte si rifugge la fascinazione del male, vissuto e narrato attraverso la brutalità che lo caratterizza e che ha piagato per sempre le sorti di un Paese come il Messico che tutt’oggi si ritrova a dover fare i conti con una pesante eredità.

Narcos: Messico, perché non vederla

Narcos: Messico aggiunge altre tre stagioni alle già originarie tre stagioni di Narcos, ampliando lo spettro d’indagine su quella che è stata la nascita dell’impero del narcotraffico sudamericano tra anni Ottanta e Novanta. Lo fa mantenendo coerenza nell’equlibrio tra racconto cronachistico e drammatizzazione, lavorando sempre con intelligenza nel giustapporre a ogni deriva criminale la stoccata faticosa, cercata e sofferta di chi quel male ha tentato di contrastarlo.

Una serie, questa, che può benissimo essere fruita da sé, ma chiaramente si rivolge in particolare a un pubblico che già si è approcciato a Narcos e alla sua metodologia di racconto. Quindi non si scosta molto per crudezza nei toni e nelle ambientazioni, nel restituire quel senso di disfatta imminente e frustrazione di chi vuole combattere una battaglia giusta nel cuore stesso dell’inferno.

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