Metruk Adam – Un uomo solo: un melodramma turco tra rabbia e riscatto – Recensione

Metruk Adam - Un uomo solo

Baran è un uomo spezzato, abbandonato dalla sua stessa famiglia quando era soltanto un ragazzino. Ha pagato con la sua giovinezza e la sua libertà per il crimine del fratello maggiore, con la pena che è aumentata a quindici, interminabili, anni per essersi difeso tra le mura delle prigione: un atto di ingiustizia che lo ha segnato nel profondo. Quando esce dal carcere, rimasto orfano di quei genitori che lo hanno tradito, viene pressato dal consanguineo ora arso dal rimorso, che lo supplica di andare a vivere in casa sua.

In Metruk Adam – Un uomo solo, il suo ritorno a una vita ‘normale’ è un percorso a ostacoli, con la ricerca di un lavoro complicata da quella sue fedina penale sporca per colpe non sue. In questo ritorno alla presunta normalità fatto di rancore, solitudine e tentativi di ripartire, una tragedia che colpisce ciò che resta della sua famiglia lo porterà a prendersi cura della nipotina Lydia, che riaccende in lui la voglia di vivere.

Un uomo solo contro il destino – recensione

Non poteva che arrivare dalla Turchia, con una scena cinematografica e seriale nazionale che nella sua deriva più commerciale fa dell’anima melodrammatica il suo punto di forza, un film come Metruk Adam – Un uomo solo, che fin dal titolo si concentra sulle molteplici sfortune alle quali andrà incontro il malcapitato protagonista. Altro che la nuvoletta di Fantozzi si porta appresso il pur volitivo Baran, che ha visto la sua adolescenza e giovinezza smarrirsi tra le mura di un carcere segnato dalla violenza dei secondini.

Normale che il suo spirito sia indurito, soprattutto nei confronti di quel fratello che non si è mai assunto la responsabilità delle proprie azioni e che ora cerca un tardivo perdono. Sarà ancora una volta una tragedia, ovvero l’incidente che rischia di privare la nipotina dei genitori, a scatenare le dinamiche narrative caratterizzanti il resto di visione, incentrata d’altronde sulla missione di riscatto e rivincita del Nostro.

Un percorso prevedibile

Il film, a questo punto, si trasforma con l’odio e la rabbia di Baran che cedono il passo a una forma di amore protettivo e lo spingono a lottare con tutto se stesso per ricostruirsi quella felicità fino allora negata. Peccato che la sceneggiatura prema forte sul pedale della retorica, con le immancabili canzoni strappalacrime d’accompagnamento a innescare quel forzato pathos emotivo che tanto piace al principale target di riferimento.

Questa nuova esclusiva del catalogo Netflix si rivolge d’altronde proprio a quella specifica tipologia di pubblico, sempre pronta ad affezionarsi a figure tormentate messe costantemente alla prova da un destino subdolo e crudele, in attesa di un fine più o meno lieto. E proprio seguendo tale schema consolidato la trama si affida a convenienze narrative che smorzano il potenziale realismo del racconto. La strada verso la redenzione di Baran e la lotta contro i pregiudizi di una società che lo tratta come un reietto finiscono così schiavi di logiche sentimentali inutilmente ridondanti, che rendono il tutto poco verosimile.

Conclusioni finali

Non è bastato assumersi la colpa per un crimine non commesso, ma anche pagare per i vizi di un sistema carcerario corrotto: quindici anni in galera hanno indurito il cuore del protagonista di Metruk Adam – Un uomo solo, che ora finalmente libero non sa (ri)trovare il proprio posto nel mondo. Toccherà al destino servirgli un pur tragico assist per rimettersi in sesto e proteggere l’incolpevole nipotina.

Ennesimo melodramma di produzione turca che mette di fronte un individuo piegato dalle ingiustizie, pronto a rialzarsi tramite la forza dell’amore. Questa volta non per una donna ma verso una bambina che è sangue del suo sangue, che ora ha bisogno come non mai di qualcuno che si prenda cura di lei. Emozioni facili e a buon mercato, esclusivamente per un pubblico di appassionati.

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