Lost in the Jungle: il documentario su un’incredibile storia di sopravvivenza – Recensione

Lost in the Jungle

Nel 2023 la tredicenne Lesly Jacobombaire Mucutuy e i suoi fratelli Soleiny, Tien e Cristin, rispettivamente di nove, cinque e poco meno di un anno, erano in volo verso Bogotà quando l’aereo ultraleggero si schiantò nel cuore della foresta amazzonica. L’impatto provocò la morte della madre e degli altri due passeggeri, lasciandoli di fatto soli in quell’ambiente ostile.

La notizia fece sin da subito clamore non soltanto nell’opinione pubblica colombiana, ma nel mondo intero, con le sorti di quei bambini ignote a chiunque. Contro ogni previsione, i protagonisti di Lost in the Jungle, documentario che racconta per l’appunto la loro incredibile (dis)avventura, sopravvissero per quaranta giorni finché non vennero ritrovati tramite una missione congiunta tra l’esercito colombiano e le comunità indigene, da sempre segnate da tensioni storiche e diffidenza reciproca. Questa è la loro storia.

Lost in the Jungle – uno per tutti, tutti per uno – recensione

Il documentario, disponibile da qualche giorno nel catalogo di Disney+, ripercorre le tappe fondamentali di quel salvataggio miracoloso, che per quasi sei settimane tenne banco in ogni angolo del pianeta. Lo schema narrativo intreccia tre filoni distinti, atti poi a ricongiungersi nella fasi finali dell’esposizione: la cooperazione del tutto inedita tra militari e indigeni, la fuga della compianta madre Magdalena da un marito violento e la lotta per sopravvivere in quell’ambiente selvaggio.

Quest’ultima viene affrontata tramite il voice-over della diretta interessata, ovvero la sorella maggiore Lesly, che ha dovuto rimboccarsi le maniche nel tentativo di prendersi cura dei fratelli più piccoli, covando la speranza che prima o poi i soccorsi riuscissero a rintracciarli. Uno sguardo a quei drammatici giorni che sfrutta un’animazione stilizzata per “mettere in scena” alcune delle vicissitudini affrontate da quei piccoli orfani, novelli Mowgli in un reale Libro della Giungla quanto mai carico di insidie.

Mai perdere la speranza

Il film ripercorre grossomodo la cronologia degli eventi, alternando interviste ai membri delle forze speciali e ai membri della comunità indigena, con tanto di sciamani e sostanze allucinogene utilizzate per avere una qualche sorta di rivelazione sul destino dei dispersi. Una collaborazione tra i due nuclei inizialmente malvista da entrambi, per via delle tensioni che da sempre scuotono il tessuto sociale della Colombia ma che proprio questo caso di risonanza nazionale, con il suo lieto fine, potrebbero aver parzialmente smussato, aprendo a una fase di auspicabile riconciliazione, come viene mostrato nell’epilogo.

Soltanto pochi mesi la medesima vicenda era stata raccontata in un’omologa produzione distribuita su Netflix, dal titolo Los niños perdidos: 40 giorni nella foresta (2024), e chi avesse già visto il predecessore troverà probabilmente qui pochi spunti nuovi. Ma ha il pregio di distinguersi per il coinvolgimento diretto degli stessi bambini e del padre Manuel, figura quanto meno controversa.

Ci troviamo davanti a un documentario solido, che sfrutta sì una premessa ad alto tasso di facili emozioni con efficacia, riuscendo a coinvolgere per un’ora e mezzo nonostante pressoché chiunque, complice la copertura giornalistica di qualche anno fa, sia a già conoscenza del, pur non privo di amarezze, lieto fine.

Conclusioni finali

ll documentario racconta la disperata lotta per la sopravvivenza della tredicenne Lesly Mucutuy e dei suoi tre fratelli, ritrovatisi da soli nella giungla amazzonica dopo un disastro aereo nel 2023. Per 40 giorni e 40 notti resistettero fino all’ormai insperato salvataggio da parte dei militari e comunità indigene, fino ad allora tradizionalmente diffidenti tra loro.

Tra interviste, riprese reali e animazioni, con la voce narrante di Lesly che trasforma l’esperienza in un racconto quasi fiabesco, il film si distingue per una prospettiva ravvicinata ai familiari, non nascondendo i lati oscuri della figura paterna, e per il focus sulle placate tensioni tra esercito e la popolazione nativa. Offrendo una visione che oltre al cuore della vicenda indaga anche sul folklore e sulle difficoltà sociali di un Paese come la Colombia, ancora oggi profondamente diviso.

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