La giovane studentessa Lisa Swallows, un’emarginata dall’animo gotico, è rimasta traumatizzata dalla tragica scomparsa della madre e vive ora col padre, risposatosi, la matrigna e la sorellastra. La ragazza è incapace di integrarsi non soltanto nella sua nuova e odiosamente solare famiglia acquisita, ma anche in quell’ambiente scolastico che isola chi non la pensa come la massa.
La sua unica “consolazione” è il cimitero locale, dove trascorre le giornate conversando con la statua di un giovane pianista dell’epoca vittoriana, morto secoli prima. Durante una violenta tempesta, un fulmine rianima il cadavere del defunto, che si presenta, in uno stato di semi-decomposizione, alla porta di Lisa. Inizia così una delle più bizzarre storie d’amore mai portate sullo schermo, tra una reietta e un non-morto, che darà il vita ad una serie di situazioni imprevedibili.
Lisa Frankenstein, recensione: finché morte non vi separi – recensione
Esiste un cinema che fa della contaminazione tra i generi un territorio ludico e post-moderno, dove i confini si dissolvono in un carnevale di omaggi e reinvenzioni. È in questa categoria che si colloca Lisa Frankenstein, opera prima di Zelda Williams – la figlia del compianto Robin Williams – un’anomalia pop che innesta atmosfere alla Mary Shelley nel cuore pulsante di una commedia adolescenziale che guarda a John Hughes.
Non è un caso che la sceneggiatura porti la firma di Diablo Cody, penna dietro alcuni cult del calibro di Juno (2007) e Jennifer’s Body (2009): il film è infatti una teen-black-comedy che flirta con l’immaginario horror e dimostra un grande amore per il cinema, con citazioni che spaziano da Viaggio sulla luna (1902) fino a Il giorno degli zombi (1985). Un patchwork sgargiante che affascina per la sua stravaganza, anche quando si dimostra volutamente imperfetto.
Eros e Thanatos tutti da ridere
Ha così luogo un atipico racconto di formazione, nerissimo e ironico, che usa l’archetipo del mostro di Frankenstein come metafora della condizione adolescenziale e la difficoltà di essere accettati per ciò che si è. La protagonista, look dark e indole punk, è infatti la classica pecora nera di una scuola fin troppo abbottonata ai classici stereotipi, e l’unico che arriva a comprenderla è paradossalmente proprio quella muta creatura, prossima a diventare angelo mietitore della sua implacabile vendetta.
Vendetta nei confronti dei bulli e di chi si è approfittato di lei, dalla petulante sorellastra all’odiosa matrigna. Con quel pizzico di violenza splatter a far capolino nella seconda metà, il film trova un ritmo brillante, con un’estetica dalla verve fumettistica e un continuo rifarsi alle atmosfere anni ’80.
La relazione tra i due protagonisti si evolve all’aumentare della scia di cadaveri, necessari a “ricostruire” le parti mancanti del resuscitato – e chissà che anche la recente seconda stagione di Mercoledì non vi abbia tratto qualche spunto. Ma se Lisa Frankenstein funziona e intrattiene è soprattutto grazie alla straripante interpretazione di Kathryn Newton, autoironica e amabilmente stravagante nella sua ricerca di un amore impossibile.
Conclusioni finali
Un’operazione accattivante e imperfetta, che vive sulla personalità del suo concept e della sua estetica, ribaltando l’ottica classica da teen-movie con loser protagonista annessa in un’escalation da horror-comedy di indubbia efficacia. Lisa Frankenstein è un omaggio sentito e a tratti irresistibile a un certo tipo di cinema, ma anche un esercizio di stile che rischia di rimanere prigioniero della sua stessa, sovraccarica costruzione.
Proprio come la sua premessa, il film è una sorta di mostro di Frankenstein incompleto, illuminato da scintille sparse e dall’energica performance della sua protagonista, in grado di intercettare i gusti degli amanti del cinema di genere più eccentrico e di chi apprezza il black humor sui generis.









