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Le regole di Jenny Pen: il male non ha età in un thriller sullo scorrere del tempo – Recensione

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Stefan Mortensen, protagonista di Le regole di Jenny Pen, è un giudice dall’indole misantropa e caratterizzato da un’arroganza respingente che, nel bel mezzo di un’udienza, viene stroncato da un ictus devastante. Privato della sua autonomia motoria e della sua autorità, Stefan si ritrova confinato in una casa di cura statale, un luogo decadente dove i pazienti vengono trattati con sufficienza da parte degli operatori sanitari. Lì scopre che a comandare davvero è un altro ospite della struttura, il subdolo Dave Crealy.

Dave è un residente all’apparenza affabile e gentile agli occhi dello staff, ma che di notte si trasforma in un sadico aguzzino nei confronti dei suoi compagni di degenza. Indossando alla mano destra l’inquietante burattino chiamato “Jenny Pen”, terrorizza gli altri anziani indifesi, sottoponendoli a umiliazioni psicologiche e torture fisiche sotto la minaccia di punizioni potenzialmente letali. Stefan, la cui mente è ancora lucida, cercherà di opporsi al suo regno di terrore prima che sia troppo tardi.

Le regole di Jerry Pen e del genere – recensione

Un film a basso costo la cui forza intrinseca risiede in gran parte nelle performance straordinarie dei suoi protagonisti. Geoffrey Rush nei panni del giudice lavora di sottrazione, recitando spesso solo con gli occhi e con una mobilità limitata, mentre John Lithgow è mefistofelico nel tratteggiare un villain memorabile, una figura patetica e terrificante, capace di passare dall’infantilismo alla pura malvagità in un battito di ciglia.

Il burattino Jenny Pen non è un semplice oggetto di scena, ma diventa un’estensione della sua psiche fratturata, un totem attraverso cui esercitare un controllo assoluto su chi è più debole. Il regista James Ashcroft dirige con mano ferma, utilizzando inquadrature claustrofobiche e un sound design che amplifica i rumori corporei e ambientali, rendendo tangibile il senso di decadimento e di minaccia imminente, in quelle ore notturne palcoscenico di incubi ad occhi aperti.

Dove non può il corpo tocca alla mente

Le regole di Jenny Pen è un film scomodo, sgradevole nel senso più nobile del termine, in quanto ci costringe a guardare lì dove solitamente distogliamo lo sguardo: la vulnerabilità della vecchiaia. Un tema affrontato con crudezza, e chi si è ritrovato ad accudire persone anziane, familiari o non, avrà modo di ritrovarsi in certe situazioni, siano queste relative ad handicap motori o mentali. L’orrore più grande non è di matrice soprannaturale, ma risiede nella perdita dell’indipendenza e nella solitudine di un ospizio.

Un thriller psicologico che flirta con l’horror geriatrico, rinunciando ai facili jump scare per costruire una tensione a tratti insostenibile, basata sulla perdita di dignità e sull’impotenza fisica. Adattando un racconto di Owen Marshall, il regista mette in scena un kammerspiel della crudeltà, mettendo due giganti del cinema l’uno contro l’altro in una guerra di logoramento, dove l’arma più affilata è quel grottesco bambolotto del titolo.

Conclusioni finali

Geoffrey Rush veste i panni di un giudice scorbutico, che durante una seduta in tribunale è vittima di un ictus che lo costringerà a divenire suo malgrado paziente di una casa di cura. Casa di cura dove il subdolo ospite della struttura interpretato da John Lithgow, burattino d’ordinanza in mano, è un sadico aguzzino impunito che di notte semina il terrore tra quei corridoi ospedalieri.

Trasposizione di una storia breve di Owen Marshall, Le regole di Jenny Pen è un thriller crudo e crudele, dove la violenza psicologica si insinua in un ambiente dove la speranza è ormai perduta insieme a quella gioventù che vive ora soltanto nei ricordi. Tensione su alti livelli e la sfida attoriale tra i due vecchi leoni compensano i limiti di budget, per cento minuti nei quali l’orrore non ha letteralmente età.

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