Il mio anno a Oxford: un amore da vivere fino all’ultimo secondo – Recensione

Il mio anno a Oxford

Anna de la Vega ha desiderato frequentare l’Università di Oxford fin da quando era soltanto una bambina, dopo aver aperto per la prima volta un vecchio libro di poesie. Ormai adulta, ha davanti a sé un promettente futuro come analista finanziaria alla Goldman Sachs ma decide di rinviare di un anno la sua entrata nella compagnia per studiare poesia vittoriana proprio nell’istituto dei suoi sogni.

In Il mio anno a Oxford tutto cambia quando Anna incontra Jamie Davenport, affascinante e ricco dongiovanni locale. Dopo un inizio non propriamente promettente, tra i due nasce una relazione che giorno dopo giorno si fa sempre più profonda. Ma quando un tragico segreto legato alla salute di lui viene alla luce, la protagonista si troverà di fronte ad una scelta difficile, che potrebbe mettere in discussione il futuro di entrambi.

Il mio anno a Oxford: una sensibilità artefatta – recensione

Quando si introduce una trama legata al tema della malattia, la parola d’ordine dovrebbe essere verosimiglianza. Non solo per chi assiste ad un film alla ricerca di coerenza narrativa, ma anche per chi si è trovato davvero in situazioni simili e non si rispecchia nell’ennesima artificiosa finzione a prova di grande pubblico. Il fatto che un personaggio la cui vita appare fatalmente segnata appaia ancora in piena forma, con tanto di fisico muscoloso e slanciato, può andare forse bene per giustificare il colpo di scena di metà visione, ma è un qualcosa di totalmente assurdo per poter reggere l’enfasi melodrammatica del restante minutaggio, che infatti perde di mordente e di credibilità.

Il titolo Il mio anno a Oxford intende già sottolineare la caducità del tempo e il consiglio di sfruttare ogni momento come fosse l’ultimo, incurante delle conseguenze e del domani, in cerca di una felicità immediata che possa almeno momentaneamente allontanare le cupe mire di un destino crudele.

Un contesto senza sorprese

Peccato che questa storia romantica, tra eros e thanatos, si affidi a luoghi comuni in serie e proponga un contorno figlio degli stereotipi, con un folto nugolo di personaggi secondari ad incarnare altrettanti stereotipi, tra il politicamente corretto/inclusivo e una verve macchiettistica che finiscono per rendere l’insieme estremamente ridondante e gratuito. L’incrocio tra culture, con la protagonista che viene dagli Stati Uniti e giunge in una Oxford potenzialmente snob, cerca di ribaltare ipoteticamente le carte in tavola ma soluzioni forzate affossano ulteriormente il climax del racconto.

Racconto che vive quasi unicamente sulla performance di Sofia Carson, che si impegna nel tentare di rendere viva e palpabile una giovane donna ancora in cerca del proprio posto nel mondo. Ma quell’epilogo che si conclude tra rimpianti e speranze non fa che confermare i vizi di una sceneggiatura che ama adagiarsi sui luoghi comuni, nella ricerca di facili emozioni.

Il film è disponibile nel catalogo di Netflix.

Conclusioni finali

Adattamento dell’omonimo romanzo di Julia Whelan, Il mio anno a Oxford racconta la storia di una ragazza americana che comincia a frequentare l’università dei suoi sogni salvo innamorarsi di un dongiovanni locale. Ma il destino avrà in serbo per lei un’amara sorpresa

Un film sentimentale tra dramma e commedia, con lo spauracchio della malattia quale spada di Damocle che pesa sulle spalle dei protagonisti. Ma la scarsa verosimiglianza di fondo nella gestione di certi argomenti e un contesto figlio di stereotipi impediscono alle emozioni di fuoriuscire spontaneamente, adottando step forzati e risaputi senza troppo impegno.

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