I Finley tornano con un nuovo singolo e un inedito duetto per l’estate 2025. “Quello Sbagliato” (Warner Music Italy) è appunto il titolo del brano che vede protagonisti la band e Nina Zilli in un insolito duetto. Le sonorità anni ’60 arrivano dalla necessità di raccontare un’estate senza tempo: “Quello Sbagliato” è una canzone fresca e divertente sul sentirsi fuori posto, ma di come alla fine questa inadeguatezza non sia poi così male. Noi di SuperGuidaTv abbiamo incontrato e intervistato per voi I Finley e Nina Zilli: ecco cosa ci hanno raccontato.
I Finley e Nina Zilli insieme nel brano “Quello Sbagliato” – Intervista
I Finley incontrano Nina Zilli per un brano, “Quello sbagliato” che è solo il titolo, non è la tipologia ovviamente, che può diventare il tormentone dell’estate. Come nasce questo pezzo e soprattutto questo incontro?
I Finley: “Appunto, quello sbagliato, che c’entrano I Finley con Nina Zilli? Perché Nina con I Finley? No, c’entrano perché abbiamo trovato una quadra molto interessante con questo pezzo. È un brano che è nato in studio insieme a Riccardo Scirea e Andrea Pugliese. Abbiamo scritto questo pezzo dalle sonorità surf anni Sessanta. Eravamo molto soddisfatti della prima stesura del brano, però sentivamo che mancava qualcosa, che questo brano poteva ancora crescere e poteva crescere diventando un dialogo, diventando qualcosa di più complesso e articolato e con l’inserimento di una voce importante come quella di Nina. Mi ha rovinato tutto. No, affatto”.
Nina Zilli: “No, ovviamente, non ho potuto dire no per un sacco di ragioni. In primis, ovviamente, la canzone mi calzava a pennello. Devo dire, il surf, così come tutta la musica di quell’epoca, diciamo, fa parte proprio del mio retaggio culturale, mi scorre nel sangue e queste sonorità surf le ho adorate da sempre. E in più anche semplicemente per il fatto che me l’abbiano chiesto I Finlay, che fanno parte anche loro di quell’immaginario musical culturale che bazzicavo parecchio durante la mia gavetta con Chiara e gli Scuri, che tra l’altro è un gruppo mitico. E sono contentissima di essere qui, insomma, mi sono trovata molto bene, devo dire”.
Nel testo dite che veniamo al mondo senza un manuale di istruzioni. Vi siete mai sentiti davvero sbagliati nella vita o nella musica?
I Finley: “Costantemente. Diciamo che è un sentimento costante, quotidiano”
Nina: “È l’hate motive, credo, un po’ anche di tutti, non solo noi, ma forse di tutti gli esseri umani”.
I Finley: “Cioè, se uno è sincero… Ma poi credo che sia anche una leva importante, puoi crearti una sorta di urgenza per scrivere qualcosa. Cioè, nel senso, il fatto di essere comodo su una poltrona o in un momento non ti dà quello stimolo e quella voglia di esplorare e di andare oltre i tuoi limiti. E sicuramente le fasi un po’ più buie, le fasi in cui ti senti un po’ diverso dal resto, da quello che è intorno, ti permettono…
Nina: Quelle più introspettive, forse, no? A guardarsi dentro magari ad alcuni non piace neanche tanto, però dobbiamo imparare a convivere con noi stessi anche se siamo sbagliati. Perché in fondo siamo tutti sbagliati. Poi basta aprire il telefono e ci viene mostrata a perfezione ovunque. Esatto, basta. È tutto finto, è tutto filtro”
A livello di scrittura, com’è stato lavorare insieme? Avete scritto in studio, a distanza? Raccontateci un po’ il dietro le quinte.
I Finley: “Il brano è nato in una session scritta in studio in diversi pomeriggi e piano piano ha preso corpo. In realtà è uscito fuori in maniera abbastanza immediata. Innanzitutto avevamo individuato in questa sonorità un’opportunità interessante perché ci permetteva di giocare comunque con il nostro background punk e di portarlo, smussando un po’ gli angoli, portandolo a una morbidezza diversa. E poi abbiamo, insieme appunto a questi due autori con cui abbiamo collaborato, e’ uscita fuori questa frase…, non mi viene da recitarla….”Tra milioni di spermatozoi io ero quello sbagliato”. Questa qui è stata sicuramente, in tutti i sensi, la fecondazione del brano. È stata veramente quella scintilla che ha detto… C’erano tanti modi per dirlo. Ho scelto non quello sbagliato, quello sbagliatissimo. Una cosa sorprendente e lì secondo me ti accorgi che il pezzo è giusto e funziona, almeno per noi. Quando Nina è venuta in studio, ha accettato, è venuta ad arricchire la scrittura del testo, è stato fatto tutto in una mezza giornata. Sì, in pochissimo tempo. C’è stato molto feeling, sia sonoro che di idee”
Nina Zilli: “Poi devo dire che in realtà il pezzo era già questo, quindi il messaggio era forte e chiaro. Mancava solo il mio messaggio. È stato facilissimo. È stato molto divertente, perché poi insaccare il maschio. A noi femmine piace, ammettiamo anche questo”
Oggi quanto è importante prendersi meno sul serio nella musica?
I Finley: “È importantissimo prendersi meno sul serio, anche perché vediamo tanti colleghi che non lo fanno. A noi credo ci esce abbastanza bene, ma proprio a livello di predisposizione e di approccio nella vita di tutti i giorni lo siamo. Quindi ci viene facile. Lo facciamo in radio, lo facciamo nei nostri contesti più o meno professionali. E secondo me è molto importante questa cosa. Ti appesantisce la vita prenderti troppo sul serio, no? Perché come quasi. Che non vuol dire non giudicarti mai”.
Nina Zilli: “Cioè l’autoanalisi serve, ecco. Però ti appesantisce ogni scelta, ti appesantisce poi anche il giudizio nei tuoi confronti. Quindi non è proprio bello, no? Così come può essere anche molto più acerbo il giudizio guardando gli altri.
I Finley: “È così bello essere se stessi con i propri difetti senza per forza indossare una maschera o recitare un ruolo che vorresti che gli altri vedessero in te. Cioè nel senso è così bello essere se stessi e poter giocare anche con la musica. E noi lo facciamo e l’abbiamo fatto molto bene, credo, in questo brano”.
In che punto è la vostra carriera? Cioè come descrivereste oggi questo momento della vostra carriera?
I Finley: “La nostra è sicuramente in uno dei momenti più belli, più di esplorazione, più di divertimento, più di sperimentazione. Negli ultimi due anni abbiamo scritto tanto, abbiamo pubblicato tanto. Di solito siamo un po’ più stitici nella pubblicazione di brani. Non perché non siamo convinti di quello che facciamo, ma perché forse aspettiamo sempre il momento giusto. Forse il fatto di essere una band, e Nina lo sa bene perché nella sua esperienza televisiva lo sa, ci vogliono quattro che schiacciano allo stesso tempo e che dicano ok a questo pezzo”.
“Con questa nuova fase creativa siamo molto aperti alle collaborazioni e alle contaminazioni di altri artisti, molto spesso magari uno portava un’idea ed era il guest molto spesso a fare da giudice estremo. Noi eravamo ovviamente convinti di questa cosa, ma molto spesso ci siamo posti dei freni a vicenda, secondo me, alla creatività. In questo caso il contaminare la nostra musica è affacciarci, aprire le porte del nostro studio ad altri artisti. Ci ha permesso, secondo me, di vivere una sorta di seconda giovinezza e la nostra musica, di questa freschezza, di questi altri input, ne ha beneficiato tantissimo”.
Nina: “Io di mio mi sono sempre presa ai miei tempi, da sempre, con la musica. Non ho mai creduto e non condivido, non so, per esempio, questa cosa del fondatore di Spotify che dice che un artista deve buttare fuori più canzoni che può in meno tempo possibile per questioni numeriche, alfanumeriche. Io non ho mai preso la musica così, perché sono una ragazza analogica e quindi da quando sono diventata una professionista ho sempre fatto delle scelte, sbagliate sicuramente, infatti stiamo cantando anche questo, però che secondo me erano giuste per me. Magari avrei potuto fare molto di più, magari avrei potuto capire di essere pronta, magari lo ero, ma io non mi sentivo pronta, perché siamo umani, quindi siamo fatti anche di molta fragilità, soprattutto noi che facciamo questo lavoro. Però sicuramente so che capiamo a un certo punto quando diventa un lavoro la famosa cosa che è un lavoro e che quindi come i lavori dopo un po’ ti rompe, dopo un po’ ci sono cose che non ti vanno bene”
“Per non farlo diventare un lavoro, nonostante sia un lavoro, come lui precisa anche nella canzone, esatto. Mi sono sempre presa i miei tempi, lo faccio solo per amore, scrivo solo se mi va, piuttosto scrivo un romanzo, faccio un libro, faccio la radio, mi butto in qualcosa che mi dia degli stimoli, perché comunque devo vivere per scrivere e io posso anche scrivere tutti i giorni, ma se non esco da là che scrivo? Quindi è un po’ un gatto che si morde la coda. In ogni momento secondo me, dopo ogni disco che ho fatto, mi sono sempre presa anche del tempo, sia per evadere che per ricaricarmi e quindi adesso sono carica pallettori perché ho appena finito questo tempo di riprendermi e sono pure diventata madre per dare una chiusa alla tua domanda”.
Se ci fosse un voi sbagliato del passato, qual è il consiglio che gli dareste?
I Finley: “Che va bene così, molto semplicemente”
Nina: “Sì, che sbagliando si impara, è bello, ci sta, non è che siamo perfetti. Ma è dagli errori, o comunque dalle fasi buie della mia vita ho sempre ricavato tanto, anzi, se non ci fossero stati quelli non avrei compiuto niente, forse non avrei fatto musica”.
I Finley: “Fare musica è nato in me il bisogno di iniziare a scrivere e di urlare in questa band, per una fase complicata della mia vita ho detto mi ci butto in questa cosa perché sento di stare bene con questa roba qua, con la musica che ascoltavo”.
Il videoclip molto cinematografico.
Nina: “Io sono la donna gigante dei miei movie negli anni ’60 e loro sono i quattro piccoli Finlay, non è stato maltrattato nessun Finlay per farmi un video, ve lo dico. In questo momento se io fossi così, solo che loro piccoli così, saremmo esattamente nella posizione, tutti e quattro sulla mia anca”.
I Finley: “Abbiamo realizzato un nostro sogno, suonare sul fianco di Nina e sul tacco. Esatto, sull’anca di Nina e sul mio tacco. E siamo sul gelato e lei ci lecca. Si può dire lecca? Perché non ci lecca.
Nina: “Vi lecco via però vabbè”.
I Finley: “Fatto sta che non credo che il video finisca bene, c’è un epilogo abbastanza particolare, quindi andatevelo a vedere perché ne vale la pena”.