Suor Yunia ha perso da tempo ogni illusione sulla misericordia divina dopo anni passati a confrontarsi con l’esistenza di demoni che il resto della gerarchia ecclesiastica preferisce negare. Quando il giovane Hee-joon viene posseduto da quello che sembra essere una delle dodici presenze più potenti di sempre, la religiosa non attende l’approvazione dei suoi superiori ma agisce autonomamente, spinta da un pragmatismo che confina con l’eresia.
In Dark Nuns trova al suo fianco Suor Michaela, devota dall’indole più ortodossa che crede fermamente nelle sacre scritture e nelle procedure ufficiali della Chiesa. Scettica riguardo agli esorcismi e inizialmente restia ai metodi non convenzionali della consorella, Michaela rappresenta l’altra faccia della fede, quella maggiormente razionale e rispettosa dell’autorità . Ma quando le visioni cominciano a tormentarla e la realtà del soprannaturale si impone con un orrore difficile da nascondere, la giovane suora è costretta a riconsiderare le proprie certezze, abbracciando pratiche che la dottrina canonica condannerebbe come paganesimo.
Dark Nuns: nel cuore del male – recensione
Il cinema sudcoreano ha sviluppato negli ultimi anni un rapporto peculiare con l’horror religioso a sfondo demoniaco, importando elementi della tradizione esorcistica occidentale per contaminarli con lo sciamanesimo autoctono e le credenze tradizionali locali. Un processo ibrido che ha generato opere cult come Goksung – La presenza del diavolo (2016) di Na Hong-jin e The Priests (2015) di Jang Jae-hyun, film questo che a suo tempo rappresentò una novità per il cinema nazionale e che ottenne un successo tale da giustificare, a distanza di un decennio, questo spinoff/sequel dal titolo inequivocabile Dark Nuns.
Il nuovo lavoro di Kwon Hyeok-jae, già regista del divertente Troubleshooter (2010), si inserisce in un filone che ha visto recentemente una rinnovata popolarità grazie al successo internazionale di Exhuma (2024) e che risponde a un bisogno apparentemente inesauribile del pubblico asiatico di storie di possessione demoniaca e rituali fantasmatici. Rispetto al predecessore i sacerdoti vengono sostituiti da due suore, spostando il fulcro narrativo dal confronto tra fede e scienza a una riflessione sul potere femminile all’interno di istituzioni patriarcali come la Chiesa cattolica.
Sacro e profano
Il contrasto tra le due protagoniste, pragmatica e impulsiva Yunia, riflessiva e metodica Michaela, costituisce il motore drammatico del racconto. La loro alleanza forzata si trasforma gradualmente in solidarietà , con entrambe costrette a operare ai margini di un’istituzione che nega loro il diritto di eseguire esorcismi riservandolo esclusivamente ai membri di sesso maschile. Dark Nuns introduce suggestioni affascinanti ma poi abbandona frettolosamente questi spunti per tornare sui binari consolidati del genere.
Lo stesso finale, con le fasi clou del rito atto a estirpare il male dal corpo del prescelto, cede il passo a una certa monotonia, senza soluzioni effettivamente originali in grado di elevarsi dai soliti cliché. Ci si concentra così sulla dimensione action piuttosto che su quella filosofica, depotenziando di fatto i personaggi e la storia stessa, che diventano spesso involontariamente vittime di dinamiche da b-movie.
La ricca tradizione coreana di storie spiritiche e di rituali legati al folklore indigeno offriva materiale narrativo scottante, ma il tutto viene accennato e poi dimenticato in favore di un più familiare esorcismo cattolico di matrice occidentale, con i rimandi ai classici che diventano territorio sì sicuro ma anche già ampiamente battuto.
Conclusioni finali
Dark Nuns è un film profondamente contraddittorio, tanto ambizioso nelle premesse quanto timido nell’effettiva messa in scena. Il sequel di The Priests (2015) sposta il focus narrativo dalle figure dei sacerdoti a quello delle due suore protagoniste, alle prese con un difficile esorcismo nel quale si troveranno a che fare con un potente demone.
Peccato che la sceneggiatura, pur partendo da premesse potenzialmente originali che parevano fondere dinamiche classiche a spunti inediti, si perda ben presto in un riciclo di soliti topoi e che la sola contrapposizione, poi alchemica alleanza, tra le due religiose non basti a sorreggere il peso emotivo e tensivo delle quasi due ore di visione.









