BoJack Horseman, recensione no spoiler dell’imperdibile serie culto di Netflix

BoJack Horseman

Bisognerebbe scrivere un intero trattato per riuscire a trasmettere l’importanza colossale che ha avuto la serie di Raphael Bob-Waksberg sulla definizione di Netflix come gigante dell’industria seriale, ma anche nel ricollegare una realtà apparentemente infantile come quella dell’animazione a temi a dir poco spinosi, creando un assurdo miscuglio che ha sancito il successo mondiale di uno show semplicemente imprescindibile per ogni amante della buona scrittura. BoJack Horseman è stato un viaggio complesso, fatto di emozioni contrastanti che prima ti fanno ridere fino alle lacrime, e l’attimo dopo ti straziano il cuore con la più amara delle realtà, in un’altalena di sentimenti che ti lascia perplesso e stordito al tempo stesso.

BoJack Horseman, la trama

Niente ci ricorda quanto sia breve ed effimera la vita come il fragile divismo di Hollywood, che produce nuove icone a velocità supersonica gettando nel dimenticatoio quelle star che sembravano inossidabili fino a pochi anni prima. Lo sa bene BoJack Horseman (doppiato da Will Arnett), che negli anni Novanta sembrava in procinto di diventare il nuovo astro nascente dell’industria cinematografica in seguito alla sua acclamata interpretazione in Horsin Around, una sit-com pregna di sentimentalismi e comicità leggera, proprio come tante altre produzioni di quei tempi.

Un cavallo antropomorfo, scapolo orgoglioso, che si ritrova ad ospitare tre piccoli orfani e diventa un improbabile padre tra battute e grandi verità che deve imparare lui per primo: BoJack era pronto a compiere il grande salto verso il cinema sfruttando la sua immensa popolarità, eppure a vent’anni di distanza la filmografia conta soltanto qualche breve apparizione, mentre il suo nome è diventato virale a causa di numerosi scandali di varia natura. Da allora soltanto il silenzio ha circondato il vecchio attore, che vive in una lussuosa villa combattendo la depressione strisciante del suo fallimento con alcool, droghe e sesso occasionale, ormai perso in un baratro di auto-accettazione che lo porta a incolpare tutti gli altri delle proprie sconfitte.

A fargli compagnia c’è l’imberbe Todd (doppiato dall’Aaron Paul di Breaking Bad), un ragazzo che sfrutta la solitudine di BoJack per prolungare a tempo indefinito la sua permanenza sul divano della magione, mentre l’unico affetto che questo ex-attore rancoroso non ha ancora fatto deflagrare lo unisce alla manager Princess Carolyn (Amy Sedaris), una gatta ossessionata dal lavoro che non riesce a coltivare alcun rapporto produttivo al di fuori del suo ufficio.

Un insperato contratto con un editore fallimentare lo obbliga a scrivere un’autobiografia, ma la sua storica pigrizia gli impedisce di lavorare nonostante la nullafacenza agiata, per questo viene assunta Diane Nguyen (Alison Brie), una ghostwriter che dovrà entrare nei più profondi recessi di una personalità devastata scoprendo – possibilmente – anche un lato umano dietro quel muso lungo da cavallo arrabbiato.

Perché guardare BoJack Horseman

La serie creata da Raphael Bob-Waksberg ha attraversato un momento storico fondamentale per Netflix e per l’intera industria dell’intrattenimento in streaming: nel 2014 che ha visto la distribuzione della prima stagione, il colosso di Reed Hastings era sostanzialmente il padrone assoluto del settore, privo di grandi competitor che potessero rubacchiargli abbonati, e per questo nella posizione di poter produrre show particolari che in qualche modo potremmo definire di nicchia. Conclusasi nel 2020, BoJack Horseman si è trovata a morire in maniera prematura (con tanto di recriminazioni da parte del suo autore) nella giungla spietata che vede le nuove emittenti mungere quei prodotti che puntano ad un bacino molto largo di utenza – e dalla qualità mediamente più bassa – mentre i capolavori ammirati dalla critica e da una piccola fetta di pubblico vengono tagliati senza troppi ripensamenti.

Il motivo di questa fine a tratti ingloriosa, sicuramente incompleta viste le grosse lacune che lascia il finale, è da ricercare nella scrittura che ha reso lo show Netflix uno dei prodotti più innovativi e toccanti dell’intero panorama seriale: andando oltre una sceneggiatura che sembra prendersi gioco della stessa sit-com che ha reso celebre il suo protagonista immaginario, BoJack Horseman è un compendio di situazioni esilaranti puntellate da baratri depressivi a tratti intollerabili, ed è per questo impossibilitata ad appassionare una vasta utenza.

Chi non ha timore di immergersi in una trama molto impegnata, che scandaglia con tocco sublime temi come le patologie mentali e l’abuso in tutte le sue forme, troverà in questo show una delle vette più alte mai raggiunte da uno spettacolo in termini di introspezione e caratterizzazione dei personaggi. I protagonisti di BoJack Horseman, disegnati dalla fumettista Lisa Hanawalt, sono umani ed animali antropomorfi che si calano perfettamente in un contesto estetico patinato che è una denuncia alla superficialità degli Stati Uniti d’America. Le loro inclinazioni personali – alcune delle quali vengono riprese dalla loro natura animale, come nel caso della fedeltà miope del cane “amico” di BoJack, Mr. Peanutbutter – vengono analizzate a partire da una base comica, ma si rivelano con grande tristezza nelle piccole e grandi rivelazioni di una componente drammatica a tratti difficile da digerire senza un’adeguata preparazione.

La qualità dei dialoghi e le battute esilaranti hanno reso lo show iconico consacrando a livello mediatico la sua popolarità, ma è nel nucleo intimo delle situazioni personali che brilla la colossale bravura degli sceneggiatori, capaci di veleggiare tra le risate più rumorose e gli abissi più tragici della nostra umanità. Le numerose debolezze dei personaggi si ricollegano sempre, come in un approfondito trattato di psicologia, agli eventi traumatici della loro vita passata, ed ecco che anche i loro tratti apparentemente simpatici diventano così lo specchio di un dolore che li ha segnati nell’anima. Esemplare, da questo punto di vista, il tratteggio dell’infausto rapporto madre-figlio di BoJack, che riempie le sei stagioni di continui rimandi all’infanzia ed alla prima vita adulta di un uomo-cavallo incapace di vivere senza l’approvazione degli altri, ma anche tutti i suoi comprimari vengono analizzati con delicatezza – a tratti anche in maniera subdola – ricreando un cast straordinariamente umano nonostante le fattezze animali.

A portare sullo schermo e nelle nostre orecchie tutta questa magnificenza narrativa ci pensano attori arcinoti, che per BoJack Horsemen diventano doppiatori di prima classe: oltre al manipolo di personaggi principali, tutti interpretati in maniera eccellente, sono numerosi i cameo delle celebrità che hanno prestato la loro voce per lo show, dal John Krasinski di The Office al Rami Malek di Mr Robot, passando per Hilary Swank, Jessica Biel, Daniel Radcliffe, Zach Braff e Margo Martindale. La parata di stelle che ha partecipato allo show è l’ennesima riprova dell’importanza titanica riconosciuta in tutto il settore, diventata ormai il vecchio vestigio di una Netflix che probabilmente non riavremo mai più.

BoJack Horseman, perché non guardarla

Anche chi ha amato alla follia l’assurdo viaggio di Raphael Bob-Waksberg nella psiche umana è costretto ad ammettere che la visione di BoJack Horseman non è mai immediata, e che molto spesso i picchi drammatici raggiunti dalla scrittura potrebbero ferire nel profondo gli spettatori che – magari senza volerlo – si sono affezionati a questi personaggi immaginari. Lo show colpisce duro nel suo racconto di un umanità fragile e volubile, per questo chi cerca una visione leggera con cui ridere senza troppi pensieri non la troverà negli episodi della serie.

Allo stesso modo, l’analisi delle patologie psicologiche e delle debolezze personali, sebbene rimanga sempre estremamente rispettosa ed umana, potrebbe risultare indigesta a chi certi problemi li ha vissuti sulla propria pelle e non ha alcuna intenzione di riviverli. Sono in molti a ritenere questa serie come una perfetta valvola di sfogo per le problematiche personali, trovando nelle sue scene comiche un modo per esorcizzare i propri demoni, ma alcune persone preferiscono creare un muro intorno ai loro traumi cercando di isolarli dalla loro vita quotidiana: in questo caso è meglio guardare oltre, perché BoJack Horsemen non fa prigionieri ed i muri li sa soltanto abbattere, non a caso è considerata dai critici una delle migliori serie tv mai esistite.

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