Julieta è una giovane donna di Tucumán che entra in ospedale piegata in due dal dolore. La macchina da presa la segue con un’urgenza claustrofobica, trasformando quei corridoi in un labirinto di sofferenza, dove ogni passo sembra una tortura. Al termine di quell’agonia, viene accusata da infermiere e polizia di aver provocato un aborto spontaneo.
A due anni dall’arresto incontriamo la figura chiave di Soledad Deza, avvocatessa che si occupa di casi pro-bono per i più vulnerabili. La legale scopre che Julieta è stata condannata a otto anni di prigione per omicidio aggravato e decide così di assumersi il caso e fare appello, dando alla ragazza lo pseudonimo di Belén e trasformandola, di rimando, in un simbolo per il diritto all’aborto in Argentina, ancora negato.
Belén: una per tutte, tutte per una – recensione
Il piano sequenza iniziale è potente, a sottolineare l’urgenza di un film che si espone a muso duro nella sua aura di denuncia, in una lotta sociale che ripercorre quanto effettivamente avvenuto nel Paese sudamericano per arrivare alla promulgazione della legge. Belén è un film quanto mai necessario, nascondente nei suoi cento minuti di visione un’anima fremente e accattivante, soltanto a tratti trattenuta da una forma sì onesta ma poco autoriale, tolto come detto quel fulminante prologo.
Ma d’altronde qui è la storia che prende il sopravvento, e quei personaggi femminili che si fanno portatori di una causa e di un ideale, in un contesto dove il fanatismo religioso e dinamiche patriarcali rischiano di minare la loro battaglia sul nascere. E così ecco il via a bugie, omissioni, subdoli trucchetti e minacce nel tentativo di mettere a tacere quelle voci fuori dal coro, voci il cui canto di libertà diventa sempre più assordante e acquisisce forza mese dopo mese, con la prigionia dell’accusata che coincide con una nuova consapevolezza da parte delle donne argentine.
Un fiume impossibile da arginare
Un arco narrativo onesto e genuino, che riflette esattamente quanto successo nella realtà, con le canoniche scritte su schermo a precedere i titoli di coda per informarci su quanto poi accaduto ai reali protagonisti della vicenda. Una sorta di operazione concettualmente e stilisticamente simile ad Argentina, 1985 (2022), pur senza toccarne le medesime vette.
In ogni caso la regia di Dolores Fonzi, anche solida interprete di Soledad, ha ben compreso la portata di costa sta raccontando e anche il come, trovando un asciutto equilibrio tra la retorica e l’anima investigativa e processuale di un racconto che nella seconda metà si fa sempre più inquieto e ostico per tutte le persone direttamente coinvolte, con lo Stato che ordisce segretamente – pur senza essere mai esplicitato – per il timore di quella rivoluzione prossima a venire.
Candidato dall’Argentina come miglior film straniero alla prossima edizione dei premi Oscar, Belén conquista anche per via della sua attualità. Quando narrato infatti non risale a decenni fa, ma soltanto allo scorso decennio, con l’aborto legalizzato – con diverse limitazioni – soltanto nel dicembre del 2020 e con l’attuale governo di Milei che rischia di imporre nuovi ostacoli a quanto agguantato con tanta fatica.
Conclusioni finali
Un film non soltanto socialmente necessario ma cinematograficamente appagante, pur in una messa in scena lineare e pulita che però trova forza nelle sue scelte di montaggio, di verve emotiva e di retorica, equilibrate in un mix che mantiene sempre alta la tensione. Raccontando il vero caso giudiziario che ha portato l’Argentina ad approvare la legge sull’aborto nel 2020, Belén si fa forza su personaggi ben caratterizzati e sull’urgenza del messaggio.
Cominciando da quel piano sequenza iniziale che ci trascina tra le stanze dell’ospedale, prologo che dà il via all’odissea processuale affrontata dalla malcapitata protagonista, destinata a diventare un simbolo per milioni di donne in un Paese oppresso dai diktat della religione e dalle violenze di genere. La regista Dolores Fonzi, anche interprete della coraggiosa legale, ha polso e dirige l’eterogeneo cast, soprattutto femminile, con mano ferma, consapevole dell’importanza di quanto portato su schermo.









