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Barbarian, recensione (no spoiler) del film horror

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La giovane Tess Marshall ha preso una casa in affitto nel degradato e abbandonato quartiere di Brightmoor a Detroit, dove l’indomani avrà un importante colloquio di lavoro. Al suo arrivo scopre che è la dimora stata prenotata contemporaneamente, tramite un’altra agenzia, da un individuo di nome Keith. Inizialmente titubante, Tess decide di accettare l’invito del suo improvvisato e inaspettato co-inquilino e dopo averne saggiato i propositi opta per passare la notte lì, con Keith che ha scelto di dormire sul divano lasciandole la camera da letto. Il giorno successivo dopo aver presenziato al meeting succitato, Tess fa ritorno tra le quattro mura e scopre l’esistenza di una stanza segreta nei sotterranei, per quello che sarà soltanto l’inizio di un terrificante incubo…

Barbarian: nel cuore del male – la recensione (no spoiler)

Mischia continuamente le carte, innescando false piste e spostando in più occasioni il ruolo del cattivo su diversi personaggi, tanto che la morale si applica pienamente all’era post MeToo e non disdegna nuove sfumature – perché no anche metaforiche – in un ambito prettamente orrorifico, ad alto tasso di tensione. E i cento minuti di Barbarian vivono effettivamente su un crescendo di suspense che mette in certi passaggi anche a disagio, con lo spettatore pronto a scoprire la verità insieme ai malcapitati protagonisti.

Questa casa unifamiliare, abitazione tipica del Paese a stelle e strisce, sorge in un quartiere ormai dismesso e non è un caso che la zona dove il racconto è ambientato sia attigua alla città di Detroit, andata spopolata in seguito alla crisi economica di qualche anno fa che ha portato alla chiusura di note industrie automobilistiche, principale fonte di reddito per la maggior parte della popolazione. Un contesto quindi credibile per questa storia di paura macabra e domestica, che si tinge di note sempre più cupe con lo scorrere degli eventi.

Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio

Con una polizia totalmente inaffidabile, spesso classico espediente per lasciare campo libero alle volute evoluzioni narrative ma anche specchio di una realtà a tratti indecifrabile, l’odissea vissuta prima da Tess e poi dall’altro personaggio chiave diventa una sorta di scontro crudo e crudele, destinato a un epilogo per nulla scontato e più drammatico del previsto. Il tutto è messo in scena con una particolare attenzione al vedo / non vedo, con il buio spesso opprimente e la luce di una pila scarica o di uno smartphone a illuminare cunicoli bui dove il pericolo può nascondersi dietro ogni angolo, rivelando di volta in volta nuovi spaventosi dettagli su quell’inferno del sottosuolo.

Ottimo il cast – il trio principale è composto da Georgina Campbell, Bill Skarsgård e Justin Long, ognuno perfettamente aderente ai rispettivi ruoli – e solida la regia di Zach Cregger, anche autore della sceneggiatura qui al suo esordio in solitaria dietro la macchina da presa, dopo due lavori firmati a quattro mani con il compianto collega Trevor Moore, morto qualche mese delle riprese prima in un tragico incidente.

Soggettive dinamiche, un inquietante senso di attesa e un pizzico di sovrannaturale legato a una violenza però molto terrena caratterizzano una visione piacevolmente disturbante, mai estrema dal punto di vista visivo ma capace di colpire con la giusta durezza sul versante psicologico, in un racconto che ci ricorda ulteriormente l’anima selvaggia dell’essere Uomo.

Conclusioni finali

Una casa diroccata in un quartiere abbandonato è il palcoscenico degli orrori che si ritroverà suo malgrado a calpestare la sfortunata a protagonista, a Detroit per un colloquio di lavoro. Non sarà la sola a dover affrontare un qualcosa di imprevisto che si annida lì, nei sotterranei della misteriosa dimora… Barbarian è un horror cattivo e crudo al punto giusto, capace di creare un feeling tensivo strisciante e avvolgente in un crescendo di situazioni sempre più rocambolesche, ottimamente gestite da una regia furba e consapevole, che sfrutta spazi e personaggi con il giusto piglio. Si usa l’horror come grimaldello per parlare d’altro, tra istinti femministi e richiami di genere, in un gioco sadico e grottesco a suo modo divertente.

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