After the Hunt: le ambiguità morali nell’America di oggi secondo Guadagnino – Recensione

After the Hunt

Alma Imhoff insegna filosofia alla prestigiosa Università di Yale, dove è in lizza per ottenere un’ambita cattedra. Vive in un lussuoso appartamento insieme al marito Frederik, affermato psichiatra con cui ha un legame complesso, e mantiene un rapporto professionale e amichevole assai stretto con il collega Hank Gibson, conoscente di vecchia data anch’esso in competizione per la stesso riconoscimento accademico, e con Maggie Resnick, brillante studentessa sulla quale ripone molte speranze.

After the Hunt ha inizio nel corso di una raffinata cena casalinga, occasione mondana nella quale alcol e conversazioni intellettuali scorrono in abbondanza. Il giorno successivo Maggie si reca da Alma sostenendo che Hank l’abbia molestata sessualmente al termine di quella stessa notte di bagordi. La professoressa si ritrova al centro di un vortice di versioni contrastanti, ambizioni personali e segreti sepolti che potrebbero riemergere dal suo stesso tormentato passato e mettere in discussione quanto si è costruita in anni di faticoso impegno. La protagonista dovrà così decidere da che parte schierarsi, ma la sua non sarà una scelta semplice.

After the Hunt: caccia, alle streghe e non – La Recensione del film

C’è un lavoro di cesello interessante nella scavata sceneggiatura ad opera di Nora Garrett, che porta a riflettere sulla contemporanea era della cancel culture e sul prezzo della verità, di quanto le contaminazioni del politicamente corretto possano influire sulla vita di persone (in)colpevoli, in un gioco subdolo dove l’ombra del dubbio basta per generare mostri.

Un film che non fa sconti nel porre domande scomode, lasciando le risposte a quel pubblico che è chiamato a farsi una propria idea nel corso delle due ore e venti di visione, fino a quell’epilogo che diventa amaro specchio dei tempi, giusti o sbagliati questi siano.

Un articolato gioco di specchi dove nessun personaggio può dirsi del tutto attendibile o immune da colpe, una partita a scacchi piacevolmente ambigua che affronta senza paura di scottarsi temi caldi, se non bollenti, come quelli relativi all’apoteosi del movimento MeToo e della normativa sul consenso, senza però cadere nella trappola di offrire giudizi facili e manichei.

Un’ambizione lodevole sulla carta ma che nella soprattutto nella prima parte soffre di una certa verbosità, rischiando di appesantire con lunghi discorsi filosofici e morali una struttura narrativa che in tali frangenti avrebbe necessitato di una maggior snellezza e di un ritmo più chirurgicamente sincopato.

Tensione in crescendo

La colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, con quel ticchettio insistente fin dai primissimi secondi, simile al battito di una bomba pronta a esplodere, suggerisce sin da subito che qualcosa di irreparabile sia prossimo ad accadere, suggerendo quella tensione a venire: un elemento di parziale eccesso in una confezione che altrimenti si dimostra fin troppo sobria, illuminata da sussulti qua e là e pronta ad avvolgersi sempre più stringente e claustrofobica intorno ai suoi protagonisti.

Protagonisti interpretati da un cast di lusso, che oltre ad Andrew Garfield nel ruolo di principale accusato e Ayo Edebiri nelle vesti di ipotetica parte lesa, può contare su una Julia Roberts in forma straordinaria, capace di illuminare il racconto con questa docente nevrotica e combattuta, indecisa su quale sia la giusta strada da prendere per salvaguardare al contempo sia la sua carriera che la sua coscienza.

Una sorta di metafora dell’approccio usato per l’occasione da Luca Guadagnino, che ha realizzato con coraggio un’opera difficilmente catalogabile, che non prende posizione perché lascia che sia chi guarda a costruirsi la sua idea e la sua sentenza. E le diverse critiche ricevute per questo da diverse fonti hanno soltanto confermato la riuscita dell’intento originario.

Conclusioni finali

Sicuramente un film che divide, nel suo non offrire risposte e interrogare costantemente il pubblico, spingendolo a farsi un’opinione personale in questa storia costruita su ambiguità e verità soggettive, dove temi controversi e quanto mai attuali vengono sviscerati e messi a nudo tramite il gioco narrativo che unisce e separa il trio di personaggi principali.

Dinamiche di potere e di controllo, i post(umi) del MeToo, le conseguenze (il)logiche della cancel culture e così via in questa storia di accuse credute e difese impossibili, dove il confine tra ragione e manipolazione si fa sempre più sottile, in attesa di quell’epilogo – ambientato cinque anni dopo perché il tempo si sa è la miglior cura per tutto – chiudente con il cut pronunciato dello stesso Guadagnino, a suggellarne la dichiarata visione d’insieme.

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