I Black Cats sono una giovane band nata a Milano, ma con radici che si intrecciano tra Napoli, Bulgaria e una passione comune che li ha uniti molto prima di calcare un palco televisivo. La formazione è composta da Tommaso Rispo (voce), Matias Ariel (chitarra e voce), Davide (batteria) e Ali (basso, originaria della Bulgaria). Tommaso e Matias si conoscono dai tempi del liceo: due amici cresciuti insieme tra musica, sogni e prime jam. Una volta arrivati a Milano si ritrovano a suonare di nuovo fianco a fianco, e nel giro di pochi mesi incontrano Ali e Davide, fino a diventare una vera e propria famiglia musicale.
Il loro percorso li porta inevitabilmente a X Factor 2025, un’avventura che non avevano mai davvero programmato ma che li ha spinti fuori dalla loro comfort zone. Dopo un lungo tira e molla, tra dubbi, entusiasmo, paure e improvvise decisioni last minute, decidono di presentarsi ai provini portando soltanto i loro brani inediti, rifiutando la strada più semplice delle cover. Una scelta coraggiosa, quasi provocatoria, che ha mostrato subito la loro identità: energia, sincerità e un approccio musicale che mescola potenza e messaggi pacifisti.
Noi di SuperGuida TV abbiamo intervistato in esclusiva i Black Cats in esclusiva. La band ci ha parlato della loro esperienza a X Factor e hanno risposto alle polemiche che sono seguite alla loro eliminazione: “È inutile entrare nella polemica: viene venduta come si vuole vendere. La nostra era un’esclamazione ironica, stavamo scherzando. Eravamo molto leggeri in quello che dicevamo. Poi, si sa, con la musica sotto e il montaggio possono far apparire le cose come preferiscono. Noi, alla fine, abbiamo detto “vaffanculo”, come quando finisce un’interrogazione e ti senti finalmente libero. È stata comunque una bellissima esperienza e, quando intraprendi un percorso del genere, sai che potresti essere frainteso. E va bene così”.
Tra i loro modelli i riferimento ci sono anche i Maneskin: “Guarda, forse noi apparteniamo a quella generazione arrivata appena prima di quelli cresciuti direttamente con i Maneskin come idoli. Però, oggettivamente, guardando a come è andata l’industria, e considerando che l’industria italiana è spesso vent’anni indietro rispetto a quella mondiale, i Maneskin hanno rappresentato una sorta di riscatto per il rock. In un certo senso hanno riportato giustizia al genere: oggi la gente digerisce di più l’idea di un gruppo rock. Certo, ci sono due facce della medaglia: appena esce una band rock, tutti dicono che vuole essere “come i Maneskin”. Però, intanto, almeno qualcuno si interessa a un gruppo rock, cosa che prima accadeva molto meno. Ricordo che avevo 13 o 14 anni quando loro andarono a X Factor: ero felicissimo. Per me, e immagino per tanti altri giovani artisti, è stato un segnale che un posto nell’industria musicale era possibile, anche se in quel momento sembrava che l’industria non lo permettesse. Hanno dimostrato che si può portare qualcosa di nuovo in un ambiente che appare molto chiuso, ma che in realtà non lo è del tutto”.
Oltre alla musica, i Black Cats sostengono una causa importante attraverso il loro merchandise ufficiale: una parte dei proventi, pari al 10%, viene destinata ad aiutare i gatti randagi della città di Milano. In questo modo, ogni acquisto contribuisce a un progetto solidale che unisce passione per la musica e amore per gli animali.
I Black Cats saranno ospiti il prossimo 13 dicembre di “Ciao Maschio”, il programma condotto da Nunzia De Girolamo in seconda serata su Raiuno.
X Factor 2025, intervista esclusiva ai Black Cats
Com’è nata la vostra band?
Tommaso: Allora io e Matias abbiamo iniziato a suonare insieme da adolescenti. Poi ci siamo ritrovati a Milano, dove avevamo occasione di fare una piccola esibizione in televisione. Così l’ho contattato e gli ho chiesto: “Senti, ti va di accompagnarmi?”. Abbiamo fatto questa performance chitarra acustica e voce, e da lì ci è arrivata la proposta di suonare in un concerto dieci giorni dopo. Il problema è che non avevamo una band. Né canzoni, né un repertorio, niente. Ma la data era fissata, quindi ci siamo messi in moto. Io avevo già conosciuto Ali la nostra futura bassista, anche se ancora non sapeva di far parte dei Black Cats, ma di fatto già lo era. Poi abbiamo contattato Davide, inizialmente come turnista per accompagnarci in quella prima data. Il concerto è stato fighissimo: è venuta un sacco di gente all’evento che avevamo organizzato e inventato noi, il “Milano Rockshow”.
Dopo un paio di giorni Davide ci ha scritto dicendo: “Ragazzi, che bel feedback, che bella situazione… voglio far parte del progetto”. Questo ci ha caricato tantissimo, e da lì è nata una bella famiglia. Abbiamo continuato a organizzare questo evento, una specie di rassegna per band emergenti. Arrivando a Milano ci eravamo accorti che la scena era un po’ dispersa tra varie jam e gruppi di ragazzi con lo stesso sogno. Allora ci siamo detti: “Cavolo, mettiamoci insieme”.
Da dove nasce il nome Black Cats?
Matias: “Noi siamo napoletani, quindi nella nostra cultura c’è un forte contatto con la superstizione. Abbiamo voluto un po’ provocare quella che è la classica scaramanzia napoletana, perché siamo convinti che la fortuna sia solo una parte nella riuscita di un obiettivo. Crediamo che il resto dipenda da noi: mettendoci in gioco, con determinazione, siamo noi a crearci la nostra fortuna”.
Quest’anno avete partecipato a X Factor. Bilancio di questa esperienza?
Tommaso: “Benissimo, guarda. Siamo infinitamente grati. Noi sogniamo insieme da relativamente poco tempo, e poterci ritrovare davanti a un pubblico così basso è stata comunque una fortuna e un’esperienza incredibilmente formativa”.
Intorno alla vostra eliminazione sono scoppiate delle polemiche. Vi hanno accusato di maleducazione e di mancanza di stile. Come rispondete?
Tommaso: “Che vabbè, è televisione. È inutile entrare nella polemica: viene venduta come si vuole vendere. La nostra era un’esclamazione ironica, stavamo scherzando. Eravamo molto leggeri in quello che dicevamo. Poi, si sa, con la musica sotto e il montaggio possono far apparire le cose come preferiscono. Noi, alla fine, abbiamo detto “vaffanculo”, come quando finisce un’interrogazione e ti senti finalmente libero. È stata comunque una bellissima esperienza e, quando intraprendi un percorso del genere, sai che potresti essere frainteso. E va bene così”.
Avete intenzione di riprovarci il prossimo anno?
Tommaso: “Non ci precludiamo nulla però non credo”.
Matias: “Considera che stavamo insieme da appena tre mesi quando ci hanno chiamati per X Factor: tre mesi non sono niente. Un giorno dicevamo: “Ragazzi basta, abbiamo deciso, andiamoci, ci hanno chiamato, proviamo”, e il giorno dopo: “No, però se andiamo…”. È stato un tira e molla continuo, fino praticamente al giorno prima, quando ci siamo detti: “Vabbè, andiamo e basta”. Alla fine siamo andati, e abbiamo fatto bene. Tra l’altro, loro ci avevano chiamato più volte, e alle prime telefonate avevamo detto: “No, non veniamo, non è roba nostra, non c’entriamo niente”. Poi ci hanno insistito: “Dai, fate almeno un tentativo, è comunque un ambiente che può darvi qualcosa”. E allora abbiamo deciso di fare questo provino. Siamo andati portando solo i nostri brani inediti, nonostante avremmo dovuto presentare delle cover, ma ci siamo buttati a capofitto nei nostri pezzi. E alla fine ci è tornato tutto in positivo: è stata un’esperienza che ci ha fatto crescere e siamo felici di dove siamo arrivati”.
Quali sono i vostri modelli di riferimento musicali?
Tommaso: “Ognuno di noi ha influenze molto particolari, che danno sapore al nostro “brodo”, cioè alla musica che poi creiamo insieme. Io, personalmente, ho idoli anche molto distanti tra loro: si va da Lucio Dalla ai Mötley Crüe, fino ai Nirvana. Insomma, spaziamo tra generi davvero diversi”.
I Maneskin invece?
Matias: “Guarda, forse noi apparteniamo a quella generazione arrivata appena prima di quelli cresciuti direttamente con i Maneskin come idoli. Però, oggettivamente, guardando a come è andata l’industria, e considerando che l’industria italiana è spesso vent’anni indietro rispetto a quella mondiale, i Maneskin hanno rappresentato una sorta di riscatto per il rock. In un certo senso hanno riportato giustizia al genere: oggi la gente digerisce di più l’idea di un gruppo rock. Certo, ci sono due facce della medaglia: appena esce una band rock, tutti dicono che vuole essere “come i Maneskin”. Però, intanto, almeno qualcuno si interessa a un gruppo rock, cosa che prima accadeva molto meno. Ricordo che avevo 13 o 14 anni quando loro andarono a X Factor: ero felicissimo. Per me, e immagino per tanti altri giovani artisti, è stato un segnale che un posto nell’industria musicale era possibile, anche se in quel momento sembrava che l’industria non lo permettesse. Hanno dimostrato che si può portare qualcosa di nuovo in un ambiente che appare molto chiuso, ma che in realtà non lo è del tutto”.
Vi siete definiti un’anarchia pacifista. In che senso?
Tommaso: “Nel senso che noi cerchiamo di vivere le cose a modo nostro, con un approccio pacifista. Io, personalmente, sono buddhista e cerco semplicemente di applicare una morale propositiva a tutto ciò che facciamo. Anche la nostra musica, che è molto energetica e può sembrare esteticamente aggressiva, in realtà porta un messaggio profondamente pacifista e positivo”.
Un augurio per il 2026?
Tommaso: “Se ci pensiamo un attimo, ce lo immaginiamo già: un gran bel tour. Un tour in tutte le città italiane, europee… mondiali! Australia, Giappone… ci vediamo nel 2026!
Scherzi a parte, sarebbe davvero bello poter partire in tournée e conoscere un po’ in giro. Anche perché, dopo X Factor, qualche gattino ci ha scritto: “Venite a Roma!”, “Venite a Palermo!”.