Nel prologo un gruppo di uomini tra le dune del deserto catturano dei grandi ragni fuoriusciti da sottoterra, ma questi li attaccano con conseguenze drammatiche. L’azione si sposta al complesso di Arènes de Picasso alla periferia di Parigi, un palazzone popolare dove vive Kaleb insieme alla sorella Lila. In Vermin i due non si parlano molto da quando è morta la madre e cercano di guadagnarsi da vivere arrangiandosi giorno dopo giorno.
Lei rinnova costantemente l’appartamento perché vuole traslocare, lui cerca di racimolare soldi per mantenere la casa vendendo scarpe Nike e coltiva l’hobby di collezionare insetti e rettili di vario genere e dimensione. Un giorno acquista nel negozio di animali uno dei ragni che abbiamo visto a inizio film, ignaro del guaio in cui si sta cacciando.
Vermin: otto zampe assassine – recensione
Da quando Aracnofobia (1990) di Frank Marshall aveva dimostrato oltre trent’anni fa che il sottogenere dei ragni assassini poteva essere preso sul serio, con il giusto budget e la giusta maestria tecnica a disposizione, di film horror degni di tal nme – lasciamo perdere al momento le incursioni parodiche – che vedessero proprio queste creature, al centro di fobie e paranoie molto diffuse, se ne sono visti ben pochi.
Presentato come film di chiusura della Settimana Internazionale della Critica a Venezia 2023, questo titolo francese giunge quindi come una piacevole e inaspettata sorpresa, giacché il giovane regista Sébastien Vanicek dimostra nel suo esordio dietro la macchina da presa una padronanza formale che lo eleva immediatamente ai territori dell’horror artigianale old-school di buona qualità.
Un palazzo prigione e una fuga impossibile
Inizialmente la sceneggiatura cerca di inserire delle tematiche sociali all’interno della vicenda, con la situazione di chi abita nei degradati contesti popolari e le difficoltà di integrarsi da parte dei giovani protagonisti, per la maggior parte immigrati con o senza regolare permesso di soggiorno che sopravvivono tra lavoretti e piccola criminalità.
Ma man mano che si procede verso il territorio del monster movie duro e puro, Vermin abbandona gradualmente e saggiamente ogni pretesa di plausibilità e verosimiglianza. Ed è un bene per l’anima ludica dell’operazione, con i cliché da b-movie che danno il via ad un gustoso intrattenimento di genere. I ragni riproducono sempre più velocemente e diventano minuto dopo minuto di dimensioni sempre più gargantuesche: se soffrite di aracnofobia, la visione potrebbe mettervi un’ansia ancora maggiore, per quanto l’atmosfera anche nei momenti più tesi si mantenga su un’aura piacevolmente cartoonesca.
Il fatto che l’intero edificio sia stato messo in quarantena per l’ipotesi di una presunta malattia mortale complica ulteriormente la vita a Kaleb e ai suoi malcapitati compagni di sventura, ricordando a tratti un’altra produzione transalpina di qualche tempo fa, in quel caso a tema zombi, quale il folgorante The Horde (2009). Qui la violenza è più trattenuta e il buio dà spesso una mano ai comunque discreti effetti speciali, e non manca qualche passaggio più leggero, come nella caratterizzazione dell’anziana condomina cinese che affronta gli insetti armata del suo inseparabile DDT.
Conclusioni finali
Un esordio promettente Vermin, che ha già fruttato all’allora esordiente regista un contratto per dirigere il prossimo capitolo della saga di Evil Dead. Un horror dove ragni sempre più grandi minacciano l’incolumità dei personaggi, tra dinamiche slasher e altre più leggere in questa resa dei conti tra i piani di un edificio dal quale è impossibile uscire, giacché quarantenato dalle forze dell’ordine.
La questione sociale che funge da premessa viene indagata nella prima mezzora, salvo poi lasciar spazio a un intrattenimento più smaccatamente di genere, con questi artropodi che crescono ed evolvono a rappresentare una minaccia spaventosa e implacabile. Una tensione costante e un cast idoneo a quel ruolo più o meno sacrificale rendono l’ora e mezzo di visione un gradevole divertissement a tema, a patto di non essere estremamente aracnofobici.