Sergio Castellitto è stato ospite al Torino Film Festival per presentare “Zorro”. Al Teatro Regio di Torino, l’attore, salito sul palco ha espresso il suo disappunto per lo stato in cui versa oggi il cinema italiano. Una preoccupazione che ha ribadito anche nell’incontro con la stampa a cui abbiamo partecipato anche noi di SuperGuida TV. La sua analisi parte da un punto fermo: questa volta la crisi non è creativa, ma industriale.
Torino Film Festival, Sergio Castellitto commenta la vicenda della famiglia che vive nel bosco in Abruzzo
“Una volta c’erano i produttori che mettevano il loro denaro e che, attraverso armonie e conflitti, costruivano un progetto con il regista. Oggi è cambiata la natura dell’assemblaggio produttivo, del finanziamento. L’importanza del finanziamento pubblico è sempre più decisiva”, osserva. Ma avverte: rimpallarsi le responsabilità non serve a far progredire il sistema. Il confronto con l’estero è inevitabile. Castellitto nota come in Italia il cinema venga trascinato sul terreno culturale e ideologico, mentre altrove resta, prima di tutto, un’industria. “Noi lo chiamiamo ‘cinema italiano’; in America lo chiamano industry. Da noi è sempre una polemica culturale, sociale, politica. Ma ci sono migliaia di tecnici, elettricisti, costumisti, parrucchieri…”. Una macchina complessa che, negli ultimi anni, ha trovato una sua nuova linfa nelle serie televisive: “Bisognava ringraziare la televisione che produceva cinema; oggi bisogna ringraziare le serie, che hanno sgretolato la natura narrativa del cinema e consentono a tante persone di lavorare”.
Castellitto parla poi di Zorro, un film tratto dall’omonima piece teatrale scritta da Margareth Mazzantini. Uno spettacolo che ha definito l’esperienza l’esistenziale più forte della sua vita. “È diventato una specie di fantasma che vive accanto a me”, ha detto. Il discorso sfiora poi un recente caso di cronaca che l’ha turbato profondamente: una coppia in Abruzzo a cui sono stati sottratti i figli. “Una cosa inaudita. I servizi sociali che si assumono l’arroganza di decidere come deve vivere un bambino… Siamo attenti a non costruire fasce di potere inquisitorie che decidano i destini delle nostre vite”. La coppia, ricorda, viveva nei boschi con i figli: “Non avevano torto un capello. Erano felici”.
Il rapporto artistico e personale con Margaret Mazzantini è un altro perno della conversazione. Il nuovo film nasce da una scrittura totalmente sua e da una regia condivisa: “Veramente insieme. Io non avrei fatto il regista se Margaret non l’avesse scritto”. Per Castellitto, essere diretti da chi ti ama è un lusso raro: “Non tutti i registi che ti dirigono ti amano. Alcuni ti detestano”. Anche per questo parla di un sogno realizzato.
Castellitto affronta poi il tema del merito nel cinema con una franchezza disarmante. Per lui il merito, in arte, è qualcosa di sfuggente, impossibile da misurare davvero: non esiste “il migliore”, esistono solo ciò che si ama e ciò che si detesta. È per questo che suggerisce di parlare piuttosto di “più amato”, un criterio più umano e meno assoluto. Ma la sua riflessione non è solo teorica: denuncia un sistema che proclama di voler sostenere i giovani, salvo poi irrigidirsi e diventare pachidermico. Le opere prime e seconde, dice, dovrebbero essere protette con decisione, perché è lì che nasce il nuovo cinema. Invita a rifondare la drammaturgia e a mettersi davvero alla ricerca di talenti sconosciuti, quelli che non hanno ancora avuto la possibilità di mostrarsi. E in questo quadro rimpiange l’articolo 28, che per anni ha permesso l’emersione di nuove voci e nuovi sguardi. La sua abolizione, afferma, è una perdita grave per tutta la filiera creativa.