Esce oggi, 13 giugno “STREAM!” (Stream Records), il nuovo album dell’eclettico cantautore e compositore Pergola, nome d’arte di Francesco Pergola. L’album è anticipato in radio e in digitale dal brano dalle atmosfere oniriche e coinvolgenti, “DOVE IL SOGNO VA”. Registrato in diversi importanti studi di registrazione, tra cui i prestigiosi Real World Studios fondati da Peter Gabriel.
Attraverso testi profondi e atmosfere suggestive, Pergola accompagna l’ascoltatore in un percorso introspettivo che riflette la condizione umana, intrecciando esperienze personali e riflessioni di carattere sociale. I brani affrontano temi come l’isolamento, il desiderio di evasione e i conflitti interiori, dando voce alla figura del sognatore, in cui è facile riconoscersi. Il progetto discografico vanta collaborazioni con artisti e produttori di fama mondiale del calibro di Simon Phillips, Lenny Castro, Chris Hughes, Tony Franklin, Ted Jensen e altri.
Pergola, intervista al cantautore
Francesco se dovessi descriverti oggi con una sola parola, quale sceglieresti?
Forse eclettico, per certi aspetti, perché vengo da percorsi variegati e quello che si appresta alla pubblicazione sarà un disco variegato. Quindi credo che eclettico sia la parola forse più indicata.
Stream è il titolo del tuo nuovo album. Cosa rappresenta per te questa parola?
Ma stream è il flusso, no? Quindi è lo scorrimento di idee, di pensieri che alla fine poi sono finiti in questo disco. Questo è un disco di ricchi contrasti, di tanto materiale, sia musicale che anche lirico, appunto su certi aspetti. Quindi offre tanto e questo tanto è racchiuso nel flusso. Quindi nello scorrimento dei pensieri, delle idee artistiche, musicali, insomma. Ho cercato di fare qualcosa di variegato e di scorrevole per certi aspetti.
Il disco nasce nei Real World Studio di Peter Gabriel. Ecco, una vera istituzione della musica. Che effetto ti fa aver registrato in un luogo così carico di storia?
È sicuramente stimolante, per il lavoro del disco stesso. Quando abbiamo iniziato questa avventura, io venivo da un percorso completamente diverso e la permanenza in Real World mi ha permesso un po’ di aprire gli occhi. Quindi di capire davvero cosa volessi da un nuovo percorso artistico. Quindi resettare tutto, ricominciare, rimettersi in discussione e impostare la costruzione di un nuovo progetto, quindi un nuovo album. Nel primo album, in studio, cercando di coinvolgere anche i musicisti più diversi con le estrazioni culturali più diverse. E la cosa che mi rende più orgoglioso di questo percorso è proprio questo. Il fatto di essere riuscito a coinvolgere più personalità e metterle assieme con un unico obiettivo, quindi quello di dare il meglio per questo lavoro.
“Dove il sogno va” è il singolo che ha anticipato l’album. Che tipo di viaggio volevi far compiere all’ascoltatore con questo brano?
È una riflessione molto personale quella di “Dove il sogno va” perché è un brano che è nato proprio a Real World, è nato nelle campagne del Wiltshire, quindi dove sono situati questi studi. È una riflessione un po’ su tutti noi, in qualche modo. Cioè il fatto che il sogno forse è la vita stessa e va vissuta come tale, quindi al massimo delle proprie ambizioni e al massimo della speranza. Quindi dobbiamo sperare per far sì che il nostro percorso possa definirsi realizzato e stimolante, un po’ su tutti gli aspetti.
C’è una canzone dell’album a cui ti senti particolarmente legato in questo momento e perché?
Personalmente ci sono due canzoni che mi lasciano riflettere molto e sono sicuramente “Strade Perdute” che reputo un po’ la ciliegina sulla torta di questo disco, sia sul piano musicale che letterario. E poi anche “Un lungo addio” che è la traccia che viene prima di “Strade Perdute”, che è il duetto con Eleonora Menichiello. È una canzone molto sentita per me, sia da un punto di vista personale ma anche musicale. È una canzone che ci è voluto tanto per comporla, quindi sono un po’ le mie stelline di questo disco, i miei trofei di quest’album, che credo siano un po’ le canzoni personalmente quelle a cui tengo di più e anche perché no le migliori per certi aspetti.
In questo disco hai lavorato con giganti della musica internazionale come Simon Phillips, Tony Franklin e Lenny Castro. Com’è nata questa rete di collaborazioni?
In un modo anche abbastanza sfacciato per certi aspetti, perché io mi sono cimentato nel contattare direttamente questi musicisti, di proporgli il progetto, glielo ho raccontato, ci siamo sentiti più di una volta e sono nate delle collaborazioni molto sincere, molto oneste. Non sono semplicemente delle sessioni studio fatte da turnisti, ma sono degli aiuti venuti proprio da questi grandi professionisti. Quindi il fatto di riuscire a contribuire a questa causa musicale con il loro rapporto è senza dubbio un valore aggiunto per quest’album. Con loro poi c’è un rapporto anche di… non voglio dire amicizia, ma sicuramente un rapporto spero di stima e magari verranno coinvolti anche in prossimi progetti, spero.
Sei partito come DJ affermandoti nella scena dei club, poi nel 2023 hai deciso di cambiare rotta. Ecco, cosa ti ha spinto a lasciare la console e a metterti a nudo come cantautore?
La voglia di fare, la voglia di fare musica, la voglia di esprimersi. Era arrivato secondo me il momento di fare un passo indietro sulla carriera elettronica e di indagare un po’ di più in me stesso. Quindi mettersi un po’ più a nudo, parlare anche del proprio vissuto, di cose più personali per certi, insomma, versi, proprio per rimanere in tema letterario. E in questi versi ho cercato di raccontare me stesso, raccontare quello che ho visto, quello che ho provato un po’ sulla mia pelle in questi anni di produzione, che sono stati anche anni abbastanza sofferenti, anni dove ho dovuto fare i conti con delle scelte importanti, soprattutto poi con me stesso. Quindi anche anni dove ho dovuto continuamente provare a migliorarmi, sia sul piano proprio tecnico, ma anche, per esempio, la sfida del canto è stata sicuramente una cosa molto importante, una sfida personale, che spero di aver, non dico vinto, ma quantomeno pareggiato.
In questo album dai voce a una figura che definisci il sognatore. Ecco, quanto c’è di te in questo personaggio?
È tutto. Questo è un disco, come dicevo, molto personale, un disco autobiografico, ogni canzone parla di una cosa che ho vissuto, che ho visto, che ho provato, e il sognatore credo sia parte di me, ma è parte poi di tutti noi. Alla fine il sogno è la vita stessa, quindi dobbiamo viverla al massimo e dare sfogo a questa figura sognante che è dentro di noi, perché magari noi la lasciamo spesso anche un po’ da parte, per certi versi, ma noi dobbiamo invece darle più spazio, perché il sognatore poi ci valorizza appieno. Utopia, frontiere da attraversare, addi e ritorni.
I tuoi testi sembrano quasi dei piccoli film interiori. Ecco, da dove nasce l’ispirazione e ti piacerebbe scrivere per il cinema?
Ti rispondo già all’ultima domanda, sì. È una mia ambizione. E lavoro, tra l’altro, a vari cortometraggi. Per ora ho musicato vari cortometraggi e mi piacerebbe molto andare nel cinema, quindi fare musica per il cinema. Credo sia una forma d’arte bellissima quella di unire immagini e composizioni. Sui testi è stato fatto un lavoro molto intenso. Sono testi anche abbastanza duri. Trattano temi di isolamento, di alienazione dal mondo, di solitudine. Ho ripercorso un po’ anche il fatto di essere figli unici. Io sono figlio unico. E’ una cosa che inevitabilmente la senti addosso dopo un po’ di anni.
L’utopia di un mondo anche migliore. I temi sociali, come in “Terra di utopia” e “Nell’attimo della realtà”, sono canzoni che pongono delle domande, dei quesiti. E anche dei tarli in testa che forse non avranno risposta, però l’importante è averle queste domande. Cercare di indagare su questi mali e rendere magari più consapevoli le persone. Credo che sia importante farlo anche con la musica. Quindi scendere nel dettaglio e dare un messaggio agli ascoltatori.
È un disco comunque ricco e stratificato. Come ti immagini portarlo in live?
Ci stiamo lavorando e il problema sarà proprio questo. Riuscire a portare tutto questo disco in una veste live, quindi dal vivo. Però credo che saremo ben attrezzati. Abbiamo una band strutturata, siamo in sette. Dobbiamo fare molto i conti anche con tutta la parte elettronica, quindi di sequenze che c’è dietro. Però sarà un live sicuramente impostato molto sull’esecuzione dal vivo. Un live molto rock. Quindi un live deciso, pronto per affrontare il palco. Lo spero.
Hai già in mente delle altre collaborazioni?
Ho in mente delle collaborazioni, magari per un prossimo album, non lo so. Però ovviamente sono solo ipotesi. Quindi per ora le tengo per me.
Un featuring che sogni?
Ti direi Peter Gabriel e penso spesso a Santana. Non so perché, mi piace tantissimo Santana, mi piacerebbe anche molto collaborarci. Ovviamente sogni utopici.
Senti, nell’ultimo Festival di Sanremo il cantautorato è tornato prepotentemente. Ecco, cosa ne pensi tu? E il Festival di Sanremo lo sogni?
È un grande segnale. Credo che gli ascoltatori si siano un po’ stancati di sentire e vedere la musica un po’ come gossip. Oggi si parla più di quello che c’è attorno alla musica mainstream e non tanto al contenuto. Invece con Sanremo, con gli esempi di Lucio Corsi e Brunori, si è tornato a mettere al centro della musica e degli eventi, di un evento poi così importante, il contenuto. Quindi la parola, la musica, i testi. E non è un caso che le persone poi abbiano apprezzato appieno questa cosa. Quindi credo che ci sarà un po’ un ritorno di questa wave, di questa immagine. Poi personalmente, se proprio devo dire questa cosa sul Festival di Sanremo, non l’ho mai sognato. Nel senso che ho sempre avuto altri miti e riferimenti musicali. Però chi lo sa.
Quindi ci rinunciamo se ci chiamano?
È ovvio che andrebbe preso in considerazione. Però se devo dire che era proprio un sogno nel cassetto, no. Però una cosa che sarebbe bella sarebbe fare il direttore artistico. Giusto per avere delle aspettative così basse, delle ambizioni terrene. Però non si sa mai. Non bisogna mai dire mai nella vita. Soprattutto poi quando sei soggetto al mondo artistico.