Un filo arancione che attraversa tutto il racconto: la nostalgia. Non quella triste, che pesa sul petto come una malinconia blu, ma quella calda dei tramonti, dei ricordi di bambina che ti fanno sentire a casa. È così che Noemi descrive la bussola emotiva del suo nuovo tour, un percorso che unisce radici, inquietudini contemporanee e un bisogno urgente di contatto umano, specialmente quello con il suo pubblico. «Ho nostalgia della sicurezza che avevamo da adolescenti» racconta la cantante durante l’incontro con la stampa dopo il concerto che ha avuto luogo ieri a Firenze.
Noemi in concerto a Firenze: le emozioni del tour
Una sensazione che oggi sembra svanita nel rumore costante delle guerre in corso, del clima di instabilità e soprattutto di quell’algoritmo dei social che, come dice lei, «ti costruisce intorno un mondo che non sai più se è reale o no». Eppure, su quel palco, Noemi cerca di recuperare una forma di pace possibile: «Mi dispiace per i ragazzi di oggi: noi davamo la pace per scontata. Oggi non lo è più».
È da qui che nasce la scelta di portare sul palco un brano come “Generale”. Una canzone che non consola, che non semplifica la questione, ma che racconta la guerra guardandola negli occhi. «Volevo un brano che parlasse davvero della pace, non uno slogan. De Gregori lo fa attraverso quattro quadri che sono vere scene di vita. E parla direttamente a chi la guerra la fa, anche per mestiere». Il pubblico risponde con un applauso lunghissimo, quasi liberatorio.
L’incontro con la contemporaneità: “Bianca” e il gioco delle identità
La serata scorre su registri diversi. C’è il tema della pace, ma c’è anche la leggerezza ironica di “Bianca”, nata dalla collaborazione con Riccardo (Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari), una delle penne più fresche della scena musicale attuale.
«Mi piace perché mi fa tirare fuori colori nuovi della voce, senza snaturarmi» spiega Noemi. La canzone, con la sua melodia “un po’ dalliana”, parla delle piccole bugie che ci raccontiamo nelle relazioni, delle identità che cambiamo per una sera, dei nomi inventati dati per gioco.
«Riccardo una volta l’ha fatto davvero: una sera ha detto di chiamarsi in un altro modo. È divertente la libertà di vivere un’identità farlocca per una notte». “Bianca” diventa così uno specchio dei rapporti di oggi: fluidi, incerti, pieni di tentativi e scuse. «Siamo tutti bravi… ma tutti tranne che noi» canta.
Educazione affettiva, identità e il coraggio di parlare ai ragazzi
Quando il discorso scivola su “Una nessuna centomila”, l’artista si fa più netta: «Sono favorevole all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Le medie sono l’età giusta: la scoperta inizia lì». Lo dice ripensando alla propria adolescenza, vissuta con genitori “fricchettoni terribili”, capaci di un dialogo aperto, ma consapevole che non per tutti è così semplice. «Parlare con un professore di fiducia può essere meno imbarazzante che parlarne a casa. È un tema fondamentale, e troppo spesso accantonato».
Europa, fragilità e nuove paure
A chi le fa notare che la pace non è mai stata garantita, neanche quando era bambina, risponde con lucidità: «Il punto è la percezione. Gli equilibri europei allora non erano così in pericolo. L’Europa era un sogno più forte, molto più coeso». Oggi, dice, vede meno unità tra i leader, meno forza politica: «Questo ci rende più fragili». Una riflessione che porta sul palco come un sottotesto invisibile, ma sempre presente.
La scaletta: tra brani mancanti e quelli ritrovati
Non c’è “La borsa di una donna”, uno dei pezzi più amati del suo repertorio, e lei sa che molti la aspettavano. «La amo, ma in questo tour volevo più leggerezza. Quel brano appartiene a una parte splendida ma pesante della mia vita. Però sì, lo inserirò. Magari nella parte acustica».
Ci sono invece aggiustamenti, inversioni, sperimentazioni: «Mi piace legare “Briciole” al pezzo di Janis Joplin. E “Senza lacrime” funziona benissimo dopo “Donna bugiarda”». C’è anche la chiusura funk de “La fine”, altra sorpresa: un pezzo leggero nella forma ma pieno di immagini poetiche, come «la foresta che dà ossigeno mentre tu chiudi le finestre».
Le artiste e l’eterno invito al cambiamento
La conversazione si allarga sulla musica fatta dalle donne: perché alle artiste donne si chiede sempre di cambiare, di evolversi, mentre agli uomini molto meno? «Forse è la nostra natura» risponde l’artista. «Le donne attraversano più ruoli, più cambiamenti, anche fisici. Gli uomini, quando trovano la loro cifra, tendono a restare lì». Esagera sorridendo, ma non troppo: «Pensa a Madonna, Lady Gaga… le donne si trasformano. Gli uomini molto meno: Springsteen, Ed Sheeran… restano più lineari».
Il pubblico, l’emozione e il bisogno di contatto
Uno dei momenti più intensi della serata è quando decide di attraversare la platea cantando tra il suo pubblico. «È bellissimo vedere come gli altri vivono una tua canzone. All’inizio ho visto una signora che piangeva. Mi sono chiesta cosa stesse rivivendo». Per lei questo contatto è tutto: «La musica mi dà un posto nel mondo. Sul palco so chi sono, più che nella vita normale. Canto e sto bene, anche quando arrivo triste». E poi c’è un dettaglio che la colpisce più di tutti: la quantità di uomini presenti. «Gli uomini, per una cantante donna, sono difficili. Non vengono facilmente. Avere tanti uomini che mi cantano le canzoni… ecco, questa è una cosa rara. Ed è bella».
La nostalgia per Noemi che non è tristezza
Alla fine, il filo che tiene insieme tutto è ancora lei: la nostalgia. Un sentimento che non spegne, ma scalda. Che non trattiene, ma invita a guardare il mondo con un passo più lento. «Non è tristezza. È un filtro. È il modo in cui guardo le cose. Forse siamo tutti un po’ nostalgici, oggi» sorride. E forse è proprio per questo che il pubblico, ieri sera, aveva gli occhi lucidi ma la voglia di ballare. Una nostalgia arancione, come un tramonto che non smette di tornare.