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Night in Paradise, recensione del film in streaming su Netflix

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Night in Paradise, film scritto e diretto dal coreano Hoon-jung Park e in streaming su Netflix, rende subito chiaro che carte vuole giocarsi. Ci sono infatti una catena gerarchica criminale, alcuni regolamenti di conti, improvvisi strappi di violenza. L’opera, presentata in anteprima al Festival di Venezia del 2020, perde però molto rapidamente la bussola di quelle che sono le coordinate dietro un gangster movie dalle giuste premesse abbandonate subito dopo un interessante prologo.

Night in Paradise: la recensione

Night in Paradise ha un principale problema: si annacqua di una vena sentimentale che va a sgomitare ritagliandosi la maggior parte dello spazio in un film che dura oltre le due ore. Si fa infatti presto ridondante il posticcio avvicinamento tra i due protagonisti dell’intreccio, sarebbe a dire Tae-gu e Jae-yeon (Uhm Tae-goo e Jeon Yeo-been), chiamati a convivere nel ritaglio di una sorta di revenge story molto prolissa e bagnata nel sangue senza consapevolezza del tempo e del modo dell’agire.

Anche Hoon-jung Park pare non avere piena padronanza dello strumento registico, tarantolato dietro una macchina da presa in costante frenesia che non permette mai a ciò che si trova davanti l’obiettivo di sedimentarsi e di mostrarsi, soprattutto a causa del contrasto tra ciò che viene ripreso e il modo in cui il regista lo riprende. Si vortica attorno e si incede addosso a personaggi dalla natura verbosa, sotto la quale si cela poi una sostanziale mancanza di tridimensionalità. A partire dai capi banda circondati dalle proprie tribù, criminali che sono come un teatro dei burattini pronti a menare le mani in ogni singolo momento, ma ai quali questo privilegio è negato dalle persistenza del melò di un film che si sottrae sempre a se stesso.

Opinioni sul film Night in Paradise

Quando in Night in Paradise la violenza esplode, si avverte la bontà di fondo di una rappresentazione che – in potenza – sarebbe in grado di valorizzare questo elemento come il cardine del suo racconto. Nella pratica, questa messa in scena si rivela in realtà troppo affascinata e autocompiaciuta nel dispensare vendetta, ipnotizzata dai colpi di pistola che scarica sui corpi che sono pezzi di carne da crivellare (come nella noiosa e ripetitiva coda finale del film).

Nel suo procedere per incastri fortuiti fatti combaciare a forza e rapporti amorosi sorti nella più scontata delle declinazioni (cioè la convivenza forzata), l’opera di Hoon-jung Park smentisce in tutto e per tutto le buone iniziative dell’apertura con una delusione progressiva che presto si fa totale.

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