Ambientato nella placida periferia americana dei primi anni Sessanta, Mothers’ Instinct ci presenta Alice e Céline, due vicine di casa e migliori amiche che rappresentano il prototipo della famiglia a stelle e strisce. Vivono in case unifamiliari a due piani con prati curatissimi separati da una siepe sempreverde, hanno dei mariti di successo e dei figlioletti coetanei tra loro inseparabili.
Un idillio d’altri tempi che viene brutalmente spezzato quando il piccolo Max, figlio di Céline, cade dal balcone mentre cerca di appendere una casetta per gli uccelli, perdendo la vita sul colpo. La tragedia scuote le fondamenta di questo microcosmo fino ad allora idilliaco, con Céline che sprofonda in una profonda depressione arrivando a incolpare Alice, testimone della tragedia, di quanto accaduto. Ben presto quella che era una grande amicizia si trasformerà in qualcosa di molto più inquietante e pericoloso, con l’ombra del sospetto che finirà per allontanarle sempre più.
Mothers’ Instinct, donna contro donna – recensione
Il regista Benoît Delhomme arriva al lungometraggio dopo una carriera consolidata come direttore della fotografia e suddetta esperienza si avverte nel suo esordio dietro la macchina da presa, con ogni inquadratura meticolosamente composta, i colori pastello degli abiti e delle ambientazioni e il fascino iconico degli anni Sessanta ricostruito con un’ammirevole cura per i dettagli.
Il film si apre con una sequenza che stabilisce immediatamente un tono tensivo, anche in una fase ancora apparentemente dominata dalla quiete, certo pur sempre precedente la tempesta: Céline raccoglie serenamente dei fiori nel suo giardino mentre Alice la osserva nascosta dietro la finestra, avvolta nell’ombra. Amiche-nemiche le due protagoniste di Mothers’ Instinct, che trovano ideale supporto dalle intense interpretazioni di Anne Hathaway e Jessica Chastain, ognuna perfettamente a suo (dis)agio nel rispettivo ruolo.
Il primo sospettato
E nel corso dell’ora e mezzo di visione, una durata una volta tanto idonea e non inutilmente allungata, si guarda a modelli alti, con lo spirito di Hitchcock che salta all’occhio anche del cinefilo meno navigato. La suspense, quei segreti che sembrano nascondersi in quelle case d’altri tempi, la gelosia e la paranoia che divorano lentamente ma inesorabilmente il legame tra queste due madri, una afflitta dal recente lutto l’altra dubbiosa sui strani eventi che stanno avendo luogo dal giorno della tragedia.
Va detto che ci troviamo di fronte ad un remake, con l’originale belga Doppio sospetto (2018) quale prima incarnazione del romanzo. Perché Mothers’ Instinct è infatti tratto dal libro Oltre la siepe della scrittrice Barbara Abel e forse la sua prima trasposizione risulta la più riuscita, con questo nuovo adattamento che ne risulta (in)volontariamente come una versione più patinata, a prova di grande pubblico anche per via del cast.
Qua si rischia a tratti di perdere un parziale equilibrio, con alcuni passaggi forzati e altri gratuiti che smorzano almeno parzialmente l’atmosfera. Ma quell’epilogo, rimasto immutato, ha mantenuto intatta la medesima potenza, regalandoci una volta tanto quel finale che uno non si aspetta, per quanto amaro questo possa essere.
Conclusioni finali
Qual è la verità in questo thriller che vede due madri, un tempo migliori amiche, ritrovarsi a sospettarsi vicendevolmente dopo una tragedia indicibile che ha colpito una di loro? Chi ha letto il romanzo alla base o visto il primo adattamento belga di qualche anno fa saprà già la risposta, per tutti gli altri la curiosità è tanta in questa versione americana che, pur perdendo ai punti il confronto con l’originale, si rivela accattivante quanto basta.
Se Mothers’ Instinct funziona è soprattutto grazie alle due vibranti performance di Anne Hathaway e Jessica Chastain, belle e brave nel dar vita a due donne consumate dal dubbio e dalla bramosia, e a quell’epilogo che funziona su più livelli. Anche al netto di alcune forzature narrative qua e là, comunque abilmente nascoste dalla raffinata messa in scena e dalla durata limitata, che dà poco spazio per pensare a suddette incongruenze.