La protagonista di La doppia vita di Madeleine Collins è una donna divisa tra la carriera e tra due vite parallele, entrambe segnate dalla maternità. A Ginevra è conosciuta come Margot, la compagna stressata di Abdel e madre della piccola Ninon, una dolce e fragile bambina bisognosa di attenzioni. Lì lavora in città come traduttrice mentre a Parigi invece è per tutti Judith, ossia l’elegante e ammirata consorte di Melvil, un famoso direttore d’orchestra.
Con quest’ultimo ha avuto due figli e proprio uno di loro, l’adolescente Joris, comincia a intuire che la madre gli stia nascondendo qualcosa. Per Margot / Judith sarà l’inizio di un processo che potrebbe mettere forse definitivamente fine alla sua duplicità e che rischia di mandare in tilt la sua psiche, già compromessa dal continuo alternarsi di realtà.
La doppia vita di Madeleine Collins: essere o non essere – recensione
Il titolo italiano vorrebbe forse richiamare il capolavoro di Krzysztof Kieślowski, ovvero La doppia vita di Veronica (1991), mentre in originale recitava soltanto il nome di questa protagonista che muta a seconda dell’occasione. Un percorso tortuoso quello affrontato nei cento minuti di visione, a tratti scomodo e respingente, e che trasforma quest’inganno in un’ossessione sempre più estraniante e destabilizzante, un vero e proprio viaggio negli abissi della mente dalle conseguenze imprevedibili.
Il cinema di Chabrol fa capolino, con un torbido approccio noir a insinuarsi nell’anima tensiva di una storia che non offre mai risposte certe, ma lascia alla sospensione del dubbio e all’impatto traumatico delle menzogne troppo a lungo perseguite il compito di traghettare la storia e i suoi personaggi in un epilogo che apre un ulteriore nuovo capitolo, per costruire un domani sulle mescolate ceneri di passati condivisi.
Domande in cerca di risposte
La sceneggiatura si compiace e trae piacere nel mostrare una protagonista ambigua, che si impegna in quei piccoli sotterfugi quotidiani e in scappatoie improvvise per celare quella verità, che vuole nascondere in primis anche a se stessa. Un gioco torbido che si fa forza sulle contraddizioni, pronte a demolire le illusorie certezze che la Nostra si era pur costruita in quel lasso di tempo segnato da lunghi viaggi all’estero, avanti e indietro, destando o meno sospetti o cercando accettazioni di sorta.
Un quadro affabulatorio che non risparmia nemmeno le persone a lei più vicine, a cominciare proprio da quei genitori che ignoravano alcuni passaggi chiave nella vita della figlia. Figlia che trova intensità emotiva nella struggente performance di Virginie Efira – recuperate la sua suora peccaminosa di Benedetta (2021) per comprenderne al meglio la bravura – che offre il giusto, sofferto, tormento a una figura controversa ma indubbiamente affascinante nelle sue pur insostenibili contraddizioni.
Il regista Antoine Barraud, anche co-sceneggiatore, intreccia in La doppia vita di Madeleine Collins diversi temi: i molteplici ruoli che la vita obbliga a recitare di fronte agli altri, spinti qui all’estremo, e le difficoltà dell’essere donna in un mondo a traino patriarcale, argomento spesso centrale nel cinema contemporaneo. Si guarda a Hitchcock , ma l’anima mystery viene smussata in una resa dei conti forse meno incisiva del previsto, che chiude sì compiutamente il cerchio ma appare fin troppo tronca.
Conclusioni finali
Tra chi preferisce non vedere e chi invece ha visto forse anche troppo, la protagonista si divide tra due uomini e due vite. Ma saranno proprio i figli avuti dalle rispettive relazioni a complicare le cose e a metterla davanti alle proprie responsabilità, in un crescendo di tensione e paranoia che la porrà di fronte a una decisione, una volta per tutte.
La doppia vita di Madeleine Collins è un dramma psicologico dall’anima tensiva, con il progressivo sfaldamento di quella realtà specchiata che si frantuma sotto il peso delle bugie e delle responsabilità mai assunte, in un gioco che mina la mente già fragile di una donna vittima delle proprie scelte. Messo in scena con raffinata veemenza, il film esaspera la sua premessa fino ad un epilogo secco, non parimente incisivo a quanto visto in precedenza.