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K.O: botte da orbi nel nuovo action francese di Netflix – Recensione

K.OK.O
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Bastien una volta era un campione di MMA ma una tragedia ha posto fine alla sua carriera: durante un incontro all’interno della gabbia, ha infatti involontariamente ucciso il suo più grande rivale Enzo. A due anni da quel drammatico giorno Bastien conduce una vita da eremita, in una catapecchia sulla costa; proprio lì riceve la visita della vedova del suo compianto avversario, la quale gli chiede aiuto per rintracciare il figlio adolescente Léo, scomparso nel nulla a Marsiglia.

Il ragazzo, un piccolo spacciatore, lavora in realtà anche come informatore per la coraggiosa poliziotta Kenza, la quale è da tempo sulle tracce di una crudele gang locale, colpevole di aver ammazzato suo fratello. Proprio Léo è stato testimone di un brutale omicidio e regolamento di conti tra le band cittadine e si trova ora in grave pericolo. Toccherà a Bastien unire le forze con la risoluta Kenza per ritrovarlo prima che sia troppo tardi.

Fino all’ultimo K.O. – recensione

Tutto molto elementare fin dal titolo in K.O., produzione francese recentemente sbarcata nel catalogo Netflix conquistando fin da subito l’attenzione degli abbonati. Un film che non va per il sottile nella rappresentazione di una schematica lotta tra il bene e il male, con i protagonisti prossimi ad affrontare dei cattivi spietati come non mai, in una corsa contro il tempo avara di sorprese.

Se approcciata senza troppe aspettative, la ora e mezza (scarsa) di visione sa come intrattenere nella sua pura, oltranzista, anima di genere. Botte da orbi e violenza assortita in un aggiornamento moderno del polar, nel quale l’imponente Ciryl Gane le dà di santa ragione. Ex campione UFC, con il suo fisico massiccio è una vera e propria macchina da guerra apparentemente inscalfibile, impegnato in coreografie action di discreta fattura.

Un film senza mezze misure

Se la sceneggiatura come introdotto non brilla per originalità, con diverse forzature nella gestione dei legami tra le varie figure principali e intonazioni caricaturali più o meno volontarie, la regia di Antoine Blossier – anche autore della sceneggiatura – si rivela dinamica e incalzante, trovando sempre il modo e l’angolazione giusta con cui riprendere quanto accadente in scena. E con quella resa dei conti finale che richiama a un grande cult a tema come Distretto 13 – Le brigate della morte (1976) di John Carpenter, anche lo spettatore più smaliziato avrà pane per i suoi denti.

Certo i suddetti risvolti forzati a tratti rischiano di rovinare l’atmosfera, tra inverosimiglianze e accessi di stupidità atti a trainare il racconto verso tale epilogo, che in fin dei conti ripropone i classici cliché, tra vendetta, perdono e redenzione, in un viaggio catartico dove la lotta tra la vita e la morte si risolve semplicemente nel sopravvivere a uno scontro dopo l’altro.

Conclusioni finali

Un ex lottatore MMA caduto in disgrazia dopo una tragedia che l’ha visto direttamente coinvolto deve salvare il figlio orfano di un compianto rivale, finito in brutti giri e ora in grave pericolo. Unirà le forze con una tenace agente di polizia, pronta a tutto pur di sgominare una potente gang marsigliese.

Un action duro e puro, elementare nella gestione narrativa e nello scavo dei personaggi ma solido al punto giusto nel dinamismo action, con godibili sequenze a tema. Il protagonista Ciryl Gane, campione UFC dal fisico gargantuesco, è implacabile vendicatore dei torti subiti in un film che sa cosa può e cosa vuole offrire, senza cullare inutili alt(r)e ambizioni di sorta.

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