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Irama presenta il nuovo album “Antologia della vita e della morte”: “Ho aperto la casella postale per riconnettermi con le persone. Ci sono cose che non sono riuscito ancora a metabolizzare” – Intervista

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Irama presenta il suo nuovo album “Antologia della vita e della morte” i uscita il 17 ottobre per Warner Music Italy. A tre anni dall’ultimo lavoro in studio, il cantautore torna con un progetto che segna una nuova e intensa tappa del suo percorso artistico. Un universo denso di immagini e suggestioni, in cui memoria e presente si intrecciano in un racconto viscerale ed emotivo. L’album è stato annunciato con un trailer intenso sui social capace di dare un’anteprima dell’atmosfera visiva dell’album. Una casa d’infanzia, ricordi, fotografie, lettere, un ricordo sospeso dove il tempo si ferma e riprendono forma i ricordi. Ad anticipare il disco è stato il singolo “Ex” ft. Elodie, uscito lo scorso 29 agosto. L’album si compone di 14 brani e oltre ad EX con Elodie, sono presenti anche altre due collaborazioni con Achille Lauro e Giorgia. Irama intanto, dopo il Live all’Arena di Verona, si prepara alla grande tappa del prossimo 11 giugno 2026, quando per la prima volta Stadio San Siro di Milano. Noi di SuperGuidaTv abbiamo incontrato l’artista: ecco cosa ha raccontato.

Irama presenta il suo nuovo album: intervista

Partiamo dal titolo, “Antologia della vita e della morte”. Come nasce l’idea di costruire un disco attorno a questo titolo e da dove nasce il titolo?

In verità prima nasce il disco poi si segue il titolo, che deriva dalla mia ammirazione che ho sempre avuto per De André e poi era anche per me una conseguenza logica, anche perché è un insieme di racconti di vita e morte e il disco è ricco di racconti di questo tipo, una sorta di dualismo che è eterno che fa parte dell’uomo, basti pensare a livello simbolico per descrivere la vita, cioè l’equilibrio tra l’oscurità e la luce, il bene e il male, e il disco racchiude tante canzoni che trattano appunto di vita e tante che trattano invece delle sfumature della morte. 

A proposito di morte e al saper dire addio: tu a cosa hai detto addio? 

Mi è capitato spesso purtroppo di dire addio penso come a tutti noi. Non ho mai imparato perché forse l’età o forse anche il fatto che a livello personale non sono mai stato pronto a lasciare andare le cose, faccio molta fatica anche a lasciare andare questo disco per me è stato un po’ un processo, ci ho messo tanti anni. È stato bello vedere in questi anni che le persone venire ai concerti, quindi mi sembrava anche giusto lasciare andare e far entrare in questo caso non solo a livello metaforico ma anche a livello fisico, le persone dentro la mia casa. 

Nell’album emerge come tema centrale proprio un richiamo al passato, al ricordo alla nostalgia: come mai? Ci sono degli artisti, degli album o dei singoli brani del passato che possono averti ispirato?

La casa è perfetta per il concetto di ricordo, è un luogo dove i ricordi alleggiano, dove rimangono. In questo caso è la casa d’infanzia, quindi un luogo dove entrare significa, vuoi per gli odori, per i quadri, per tutto, rivedere la propria vita, quindi il concetto di casa oltre ad essere intimo, secondo me è il luogo perfetto per celebrare, avere il tempo anche di curare e di coltivare i ricordi. Ce ne sono stati veramente tanti di artisti del passato, la musica è fatta di ricordi 

A differenza del passato, per la prima volta in questo album porti non una ma ben due collaborazioni femminili: Elodie e Giorgia. Come mai?

Ho collaborato poco con voci femminili, ma in generale non ho collaborato tanto io in verità. Ho fatto poche collaborazioni. Mi sembrava giusto fare collaborazioni femminile, è stata una cosa molto naturale, mi è piaciuto veramente tanto anche perché poi hanno delle voci splendide e anche una personalità molto forte nel caso di Giorgia è stato bello sentirla cantare questa canzone, spero arrivi alla gente, a me piace tantissimo il pezzo e lei secondo me era perfetta per interpretarla e per cantarla Giorgia non è che abbia bisogno di tante presentazioni comunque la conoscete bene lo stesso vale per Elodie, secondo me ci siamo incontrati in un mondo che era un territorio di entrambi, diciamo che mentre al contrario della canzone di Giorgia che è una canzone più che segue un il filo conduttore di tutto l’album, quella con Elodie secondo me è più un incontro tra noi due. Ed è il motivo per cui è uscita anche prima come canzone, è bello però, sono contento, non è che mi sia focalizzato sul genere maschio-femmina però in quelle canzoni mi sarebbe piaciuto collaborare con quelle artiste, è stato molto naturale e sono contento. 

Qual è il tuo rapporto con la morte e con l’aldilà se credi in qualcosa? 

Mia sorella una volta mi ha risposto in una maniera molto intelligente, mi ha fatto divertire. Dice che non sono credente ma spero che ci sia qualcosa. Io ho un rapporto forse ancora tenebroso con la morte, non sono pronto, poi chi lo è veramente? È sempre una cosa difficile, è una cosa naturale, forse ho imparato a avvicinarmi alla perdita più cresco, più vivo è normale, fisiologico avvicinarsi a questo sentimento perché inizi a perdere le persone intorno a te, spesso è una cosa che io non vivo bene, ma la vivo in maniera strana. Io non sono in grado di metabolizzare le cose e le metabolizzo dopo anni quindi spesso mi trovo a soffrire, a raccontare la cosa e poi dopo anni scoppio e sto male e lì di solito scrivo una canzone che è l’unica forma che ho sincera per parlarne come feci con Ovunque Sarai o come feci con altre canzoni e come sto facendo con altre canzoni in questo momento. Quindi ho un processo un po’ strano che non è molto naturale quindi sto ancora imparando, mi accorgo che devo ancora imparare un po’ ad addomesticare i miei sentimenti per quanto possibile sia.  

Tempo fa hai aperto una casella postale chiedendo ai tuoi fans di scriverti delle lettere. C’è qualche lettera che ti ha colpito e che hai utilizzato per qualche brano? Perchè hai sentito questa esigenza? Avevi raccontato che volevi riconnetterti con i tuoi fans. 

Le poste erano incazzate nere, mi hanno chiamato almeno sette volte incazzate perchè non riuscivano a tenere tutte le lettere e quindi sono sclerati dicendo venitele a prendere perché non sappiamo cosa fare. Poi chiamavano il mio numero, qualcuno mi aveva chiamato dicendomi: venite a prendere le lettere, sono tue. Io ho chiesto scusa per il caos che ho creato, è stata una cosa incredibile. Avendo scritto il disco e avendo legato questa cosa all’uscita del disco, ovviamente non ho scritto all’ultimo un brano legato alle lettere, però ci sono cose che mi hanno colpito, che mi hanno ispirato, poi sono cose comunque intime che loro mi hanno scritto, quindi non voglio neanche raccontarle, però diciamo che ti accorgi che è che è normale, che siamo tutti uguali, tutti proviamo alla fine gli stessi sentimenti e lì mi fa venire in mente cos’è la canzone, cos’è la musica. Secondo me la canzone cioè quello che penso crescendo è che la canzone non sia altro che un dettaglio che tutti noi abbiamo dentro e che però non ci accorgiamo di avere e l’artista secondo me te lo propone ed è lì che tu dici wow, come hai fatto a scrivere questa cosa perché in verità ce l’abbiamo tutti e viviamo tutti la stessa vita, viviamo tutti le stesse cose, gli stessi sentimenti, solo che secondo me la canzone è quel dettaglio che ti mette di fronte alla verità che ti dà in pasto una cosa che tu magari non ti sei mai accorto che hai sempre avuto in tasca. 

La scelta di aprire una casella postale è un voler riconnettermi con le persone volevo trovare una forma un po’ più reale, cioè la lettera per esempio per me è una cosa completamente diversa da un messaggio, ha un tempo differente nello scriverla, spedirla, c’è una cura secondo me, un’emotività completamente diversa da quello che viviamo oggi che è mandare un sms o scrivere una cosa senza pensare, quindi in primis pensavo che fosse la forma perfetta per scambiarci una riflessione e seconda cosa era un modo per riconnettermi con le persone ed è anche un po’ il concept che è quello, il concept dell’album che verte intorno alle lettere comunque, che sono tante appunto è un’antologia di racconti, anche di lettere e anche infatti una cosa estetica secondo me che va nella stessa forma che mantiene la stessa forma sono i francobolli, ogni canzone è rappresentata da un francobollo, quindi diciamo che il concept della lettera per me è principalmente una cosa per riconnettermi con le persone e seconda cosa è proprio la forma dell’album rappresentava quello che è il disco. 

Il percorso di avvicinamento allo stadio passa anche attraverso questo album. A che punto sei e quale vestito pensi che indosseranno i brani che porterai live?

La musica è super organica e questo disco è super suonato, è perfetto secondo me per la forma live e ormai sono andando in questa direzione da un po’ di tempo e in questi tre anni diciamo che ho vestito in mille modi i pezzi, ho suonato sempre di più, ho aggiunto sempre più musicisti anche alla band, mi piace proprio la forma canzone, sono vicino ai musicisti, lo sono sempre stato ma adesso ancora di più, arriverò ad avere 30 musicisti. Secondo me sul palco ma perché penso che sia il modo più bello per esprimere la musica live, almeno per mio gusto a livello soggettivo, ho già in mente cosa fare, sto iniziando a programmarlo, a prepararlo, mi stanno cercando di tenere con i piedi per terra perché forse per me io farei delle cose fuori di testa ma non è legale spesso quindi devo cercare nei limiti di legalità di fare la cosa più indimenticabile possibile. Spero sia uno show che si ricordino le persone e si godano, perché sarà bello farlo insieme a loro .Ci saranno anche dei inediti oltre a quelli ancora devo uscire. 

Tra le canzoni c’è Circo, come è nata? 

Circo è una storia che mi sono inventato, parla di questa ballerina che viene cacciata dagli dei per invidia e poi nonostante lei trovi un amore mortale, gli viene portato via anch’esso da Venere. La canzone racconta dell’invidia, della gelosia però in verità in fondo il concetto che va a esplorare è quello dell’utopia, della perfezione, cioè il fatto che spesso noi vediamo in altri le vite perfette ma in verità sono piene di crepe e non ce ne riusciamo a rendere conto perché abbiamo la vista offuscata da questa gelosia. Mi piaceva sviluppare questo concetto nella canzone, ovviamente il testo riporta anche degli spicchi sociali della realtà dell’artista, il pubblico che è pronto a vedere l’artista cadere perché diciamo che a volte il pubblico fa anche d’agonia nel circo, per esempio quindi vuole vedere se l’artista riesce a rimanere in equilibrio o cadere ed è anche un bello spunto, una bella metafora che è una diramazione della canzone ma non è il vero senso del brano, il vero senso della testo è quello che ti ho raccontato, questo secondo me è un ramo, una parte della vita però anche della morte delle persone. 

Giorno è la traccia che chiude il disco. In che modo lo hai voluto chiudere? Con quale riflessione? Questo disco è l’apertura di una nuova era o è più la chiusura di qualcosa che c’è stato prima? 

Questo disco, è sempre un’apertura di qualcos’altro. Secondo me poi c’è una teoria bellissima sull’universo che dice: l’universo è un essere senziente e noi siamo un ricordo latente della nostra stessa esistenza. Gli album si avvicinano a questo concetto, sono un po’ come un ricordo latente dell’artista, noi spesso siamo già proiettati a tre anni dopo e il disco invece è qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle ma che sta vivendo magari in un presente per altri quindi oggettivamente il disco è sempre un continuo incremento, una continua crescita, un continuo sviluppo. Fa parte del percorso e il percorso in questo caso è molto più organico molto più suonato, sta andando molto in quella direzione lì.  

Giorno è una canzone che mi piaceva per chiudere l’album, con il giorno per non essere sempre cupo, se no mi sparavano. Mi piaceva più che altro più che a livello di linguaggio, perché la canzone in sé tratta di una cosa un po’ spigolosa cioè più il concetto vicino alla morte, secondo me che alla vita, è un concetto degli attacchi di panico anche del rifiuto dell’aiuto, nel cercare qualcosa. Però il vestito invece secondo me rappresenta quello che è un nuovo giorno e ti dà un’intenzione ,una musicalità totalmente differente da quello che arriva prima e mi sembrava una giusta chiusura, una degna chiusura per l’Antropologia della vita e della morte. 

Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel mettere insieme l’album visto che comunque eri impegnato con il tour, e quanto ti è servito a metabolizzare? 

Io ho 29 anni, sono molto giovane però da quando sono bambino sono dentro a questo processo, non mi sono mai fermato, sono sempre stato in tour quindi tra un po’ sono 10 anni che giro e questa cosa un pochettino ti allena. Certo ti toglie lo spazio un po’ di vivere la quotidianità a volte di vivere cose normali, e per ritrovarlo spesso devi cercare un po’ di toccare il fondo come ho scritto anche in alcune canzoni ed è un po’ la benzina per il serbatoio di un artista.

A volte si tende a forzarla, non bisogna farlo però è una cosa che secondo me si fa e quindi diciamo che in questo periodo ho cercato il più possibile di mantenere il contatto con la realtà, di viaggiare, di scappare anche quando per tre giorni vado all’estero, vado in un pub, sto lì tutta la notte, cercavo di vivere in maniera diversa. Quindi da una parte vivevo questa vita dove ero in tour, e dall’altra parte vivevo questa vita dove scappavo e facevo una vita completamente diversa con intenzioni completamente diverse, e questo mi ha permesso di scrivere, di avere benzina, di raccontare storie, di studiare anche parallelamente, chiamare musicisti, studiare i generi, sapere come farlo. Tutto questo, la musica, ha bisogno di tempo e oggi siamo in un mercato dove sembrano le vite dei cani, un anno sembrano passati sette anni, quindi prendersi tre anni sembra una follia. Quindi da una parte è tutto più veloce dall’altra parte secondo me è un peccato perché comunque per fare musica bisogna studiare, è importante arricchirsi e l’ho fatto, mi sono messo ci ho messo un po’ più di tempo, per questo motivo e non solo anche perché ci tenevo che fosse perfetto, non sarà mai perfetto è un’utopia sono un folle e forse è anche una scusa perché sono insicuro e ho paura di deludere chi mi vuole bene e che ascolta le miei canzoni, e quindi ho deciso di far entrare a un certo punto nella casa e raccontare il disco.

Su quanto mi è servito a metabolizzare? Non lo so se mi è servito a metabolizzare, è una cosa molto personale questa ti dico la verità, vedi ho pure chiuso le braccia però ti dico che ci sono cose che non sono ancora in grado di metabolizzare, ci stavo pensando di recente che mi sono successe un po’ di cose pesanti, magari metabolizzerò. Questa domanda è molto pesante e ti dico che ci sono cose che non ho ancora metabolizzato e a volte si, le scrivo nelle canzoni e non le ho ancora metabolizzate. 

Ci racconti del brano Polvere che hai raccontato di aver scritto per la prima volta con la chitarra e non col piano e l’altra Mi Mancherai Moltissimo che hai definito la tua preferita? 

Mi Mancherai Moltissimo è la mia canzone preferita del disco, è una canzone che ha un peso per me gigante, è un argomento che va trattato secondo me con i guanti. Ho cercato di farlo con totale rispetto per quanto si possa il più possibile. Ho cercato di staccarmi il più possibile. Raccontare questa canzone è sempre pericoloso perché entri in un territorio molto difficile e non voglio mancare di rispetto a nessuno, non voglio neanche addentrarmi troppo in questo particolare voglio che sia poi la canzone a parlarne. Quello che posso dire è che secondo me oltre al peso emotivo che mantiene questa canzone, quello che mi piace è la musica, che è stata fatta insieme a Davide Rossi che è un musicista gigante. Ci siamo messi insieme a fare la parte strumentale, mi ha seguito tantissimo, abbiamo fatto un lavoro che a me emoziona tanto, è la mia preferita. 

Polvere, si è la prima volta che scrivo su chitarra è stato bello, è stato diverso. Comunque è una canzone che mantiene la forma canzone che sono abituato a scrivere, quindi con melodie un pochettino più britanniche, sempre il modo che ho di approcciare alle canzoni di questo genere, però ha un vestito completamente organico, a un certo punto c’è proprio una band che suona e abbiamo tenuto proprio tutto organico, è proprio tutto suonato perché volevo che mantenesse quell’animo live. 

L’aspetto estetico di questo disco a partire dalla copertina qui in qualche modo apri le porte di questa casa dei ricordi. Quali dettagli hai voluto mettere e che non potevano mancare? 

La casa a un certo punto era quasi un essere senziente e mi piaceva questa forma che aveva preso la casa, era quasi una persona che sa di tutto quello che hai vissuto e ti conosce a fondo. Mi è piaciuta l’introduzione che dava spazio proprio ai musicisti, all’Arena ho voluto proprio annunciarli come se fossero gli ospiti della casa, come se fossero parte della mia vita e quindi raccontare anche dei piccoli aneddoti su di loro. Diciamo che il concetto di casa verteva proprio sul fatto di entrare nella mia vita privata e presentare anche gli ospiti come ospiti sacri, come persone che facevano parte della mia vita e nel caso del concerto ho invitato le persone che hanno fatto parte nel mio percorso facendo proprio canzoni che erano legate a quello che era il percorso, non per celebrare ma per vivere come per congelare dei ricordi e riviverli insieme alle persone che sono venute a vedermi. 

La copertina invece? 

La copertina è l’interno della casa, quindi entri nel vivo della casa e le canzoni sono quelli che sono i ricordi, le memorie, l’antologia stessa. Un insieme di racconti che vivono nella casa, i dettagli decisivi come il serpente il serpente che fa parte ormai di un immaginario che fa parte di me da tanto, poi il serpente è proprio una questione che mi ha sempre attratto perché ha questo dualismo come l’Antologia della vita e della morte, il serpente per esempio per alcune culture è il simbolo del male ma non rappresenta solo come nel cristianesimo un simbolo negativo ma rappresenta anche il simbolo del bene. Quindi il serpente aveva secondo me oltre una forma che mi rappresentasse quindi identitaria, aveva anche un senso proprio logico con la vita e la morte per me. Le foto che ho messo sono foto molto specifiche della mia infanzia, quindi molto dirette, sono foto mie ho messo una foto in particolare, mi sembrava giusto mettere quella sul retro. 

Emotivamente com’è lasciare andare questo disco, a fronte anche del tempo che hai dedicato a questo progetto? 

A livello musicale e artistico io non ho mai avuto imbarazzo o un freno, ce l’ho sempre avuto un pochettino a livello personale a raccontare e anche a livello di comunicazione. Il contatto con gli esseri umani, io ho sempre avuto un po’ per indole, un po’ per educazione un po’ per famiglia, ho sempre avuto un po’ di difficoltà a mostrare tanto di privato nell’aspetto pubblico e il lasciare entrare è sempre stato un mio difetto. 

Sono passati 10 anni: rispetto a quell’Irama lì quanto è rimasto in questo disco? Quanto è lasciato andare? Quanto c’è di nuovo? 

È sempre tutto nuovo e c’è tanto anche di quella che è la direzione musicale che sto portando avanti da qualche anno, e questo disco secondo me è in grado un di consolidarla come un sigillo, una lettera. Tutto quello che erano i dischi di prima, il percorso, quello che ho scritto quindi c’è tanto di me, spero che arrivi. Non voglio neanche troppo rendere artefatta la cosa perché è un qualcosa di molto naturale, quando divento una cosa troppo pensata inizio ad annoiarmi perché mi allontano da quello che è la musica, divento una dinamica che secondo me non riguarda gli artisti, ma non deve neanche riguardare gli artisti  il marketing, lasciamo fare alle aziende e anzi noi dobbiamo ribellarci secondo me al marketing, dobbiamo essere quelli un po’ anticonvenzionali. 

Gli instore: hai voluto fortemente incontrare il tuo pubblico in diversi appuntamenti. Come mai ci tieni così tanto?

Ci tenevo tantissimo perché sono tanti di anni che non incontro i fans per un disco e secondo me era arrivato il momento di farlo, ho cercato di mettere tappe strategiche. Non saranno semplici instore perché ci saranno delle sorprese, non vedo l’ora di farli. L’esigenza mia è quella che è arrivato il momento, secondo me è importante incontrarsi dal vivo, siamo persone, è importante vedersi negli occhi io non vedo l’ora di farli, ho chiesto proprio di organizzare questo evento, di vederci e ho voluto fare delle cose speciali perché non fossero soltanto dei firmacopie, che comunque non c’è niente di male, però volevo dare qualcosa in più volevo che le persone venissero a fare un’esperienza. 

Musicalmente invece che tipo di lavoro c’è stato, che tipo di ricerca ti ha portato e qual è il suono di questo album? 

Secondo me il fil rouge di questo disco è l’organicità, il fatto che c’è tanta musica organica c’è tanto pianoforte, tanti archi, sono tutti suonati, tutti veri, più cresco più mi allontano dalla forma beat, bella, bellissima a me annoia per esempio musicalmente per quanto riguarda i miei lavori non in generale perché poi sono un fruitore anche di tutt’altra musica, ascolto di tutto però per quanto riguarda i miei lavori mi piace proprio l’idea di sentire lo strumento e di avvicinarlo a una forma live, mi emoziona di più proprio sentire uno strumento vero. La ricerca c’è in tutti gli ambiti, sia a livello di musicisti che a livello di generi, di suoni, di melodie, anche di testi, anche di storie, che quello non si smette mai. Io sto continuando a farlo anche adesso di recente mi sono innamorato di un artista che si chiama Camarón de la Isla. Venendo a noi, si, continuo a studiare, a cercare.

Achille Lauro, perché? È la traccia di apertura dell’album poi. 

È molto sessuale come traccia, è molto cruda, nasce a Los Angeles e poi si sviluppa insieme a Lauro. Con lui mi sono trovato benissimo, c’è proprio rispetto, amicizia. Io e lui stiamo proprio bene, abbiamo fatto questa canzone che è un po’ pazza sicuramente, ha delle sonorità rock, alcune country. Secondo me era un’apertura perfetta per l’album, molto arrogante, poi non lo nascondo, anche quello fa parte di me, è una canzone un po’ cruda, veritiera, mi piaceva entrare a gamba tesa con quella canzone per poi raccontare tutto un disco molto più intimista in verità e molto più profondo, però era una bella introduzione in quel mondo assolutamente. 

Posizionarla anche come prima traccia dell’album, è un po’ come dire, che Irama di “PamPamPamPamPamPamPam…” c’è ancora?

Quella traccia nacque che ero in mezzo a tutti i miei amici latini e stavo ascoltando da un sacco un sacco prima il Dembow che in Italia non esisteva. Ho voluto portarla in italiano, ovviamente è leggera perché se tu scrivi un testo profondo del Dembow sei un cretino. È giocosa però è stata un’esplorazione di genere è stato proprio un divertimento. Il Dembow è un genere che lì è fortissimo e che adesso sta spaccando in tutto il mondo e sono contento perché a me diverte.

Arizona sì, è più leggera però in verità sono la realtà secondo me più vicine, io quando sento anche solo il ritornello ho preso più ispirazione da Lenny Kravitz, che mi piace tanto devo dire che è un altro artista che stimo tanto e invece la sonorità sì, è più country è un pochettino più blues è stata un po’ trascinata comunque dal fatto che fossi a Los Angeles, ero influenzato da quello stile lì e quindi mi è venuto un po’ naturale catturarlo. Non escludiamo il ritorno, vediamo ma quella parte è importante perché secondo me la leggerezza deve esserci. Adesso vediamo per esempio quest’estate non ho fatto uscire niente, anche l’estate scorsa, cioè io non sto più facendo proprio volontariamente uscire una canzone perché artisticamente in questo momento non sentivo l’esigenza e non volevo fare party, fare musica fare quel tipo di musica, che stimo e rispetto e ho cavalcato e che abbiamo spaccato. Magari un giorno torno, mi diverto però deve essere organico. Avevo una canzone, non l’ho mai fatta uscire, quest’estate ce l’avevo una canzone leggera, non so è che adesso mi rappresenta un po’ di meno durante il tour sì, però adesso sono lontano un po’ da quel tipo di canzone, però magari uscirà anche quello se avrò voglia di divertirmi. 

San Siro, i tuoi fans come devono prepararsi per essere accolti in questa casa? 

Sto studiando, non voglio spoilerare tutto però sto studiando cosa fare e come farlo non so come dirtelo senza spoiler come faccio a raccontarlo? 

Una promessa che ti porti verso questo San Siro che magari non spoilera proprio una promessa tipo? Una promessa che fai a te stesso?

Non saprei quale potrebbe essere la promessa. Posso dire che c’è una grande faida tra chi vuole ancora il mondo leggero e chi invece dice no. 

Sarai tra gli ultimi a esibirsi al San Siro come lo conosciamo oggi. 

Lo demolisco io, è una promessa!

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